Tra squilli di trombe e rulli di tamburi e picchetti d’onore la premier ripercorre le strade del Duce e volge la propria attenzione all’Africa. Dice di farlo con uno spirito nuovo, quello del partigiano cattolico Enrico Mattei, il quale si distinse però per una lotta strenua contro le 7 sorelle, per rompere il loro monopolio petrolifero, e di questa scelta rimase vittima. La premier dice di volgersi all’Africa con sguardo nuovo, intenzioni paritarie, tuttavia ha convocato 23 nazioni africane nell’aula solenne del Senato della Repubblica per presentare loro vaghi piani di intervento, senza per altro averne discusso preventivamente con loro, come le ha fatto cortesemente notare il Presidente dell’Unione africana Azali Assoumani, Hanno partecipato alla kermesse anche i rappresentanti di numerosi paesi del Golfo arabico, la Banca Mondiale e altri organismi internazionali, nonché Ursula von der Leyen, Roberta Mezzola e Luis Michel, alla disperata ricerca di voti nell’imminenza delle elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’Unione europea.
Spostando l’attenzione sul piano sostanziale rileviamo che l’intento della premier, sostenuta dal proprio partner Eni, è stato quello di occuparsi principalmente di reperire gas e mettere in piedi coltivazioni per la produzione di biocarburante, sottraendo terreni utili ad un’agricoltura di sostentamento, che è uno dei bisogni primari delle popolazioni africane nella loro lotta contro la fame.
Al di là della vaghezza dei programmi il piano Mattei si presenta povero di risorse, perché dispone di tre miliardi di euro sottratti agli stanziamenti per il contrasto ai mutamenti climatici, e due miliardi e mezzo sottratti alla cooperazione internazionale, spalmati su quattro anni. Il solo fatto qualificante, per la premier, è costituito dalla realizzazione di una cabina di regia presso la Presidenza del consiglio, sotto il suo diretto controllo che assicurerà al suo entourage di fiducia composto da 19 persone il controllo finanziario e politico delle iniziative.
La natura dirigistica di questa operazione non deve stupire. Il “Piano Mattei” non contempla progetti ex novo, ma iniziative già avviate: ingloba infatti gli accordi con l’Algeria per garantire l’approvvigionamento di gas naturale all’Italia e all’Europa dopo la sospensione dei rifornimenti energetici dalla Russia, già definiti da Draghi nell’aprile del 2022; alcuni dei progetti di cooperazione e sviluppo da attuare in Africa col sostegno dell’Eni, già previsti nei piani industriali dell’azienda, prima della definizione del “Piano Mattei”, come la produzione di biocarburanti in Kenya; altri piani previsti nell’ambito del fondo migrazione, del fondo africano di sviluppo e da accordi bilaterali con singoli Stati del continente.
Un piano fuffa
Eppure il problema degli investimenti in Africa è serio e costituisce un impegno necessario, perché serve a contrastare la crescita costante di investimenti e presenza politica e militare, sia cinese che russa, nel continente. È da tempo infatti che questi due paesi investono in Africa, massicciamente e con caratteristiche operative in parte diverse.
I cinesi si distinguono per una politica di crediti facili ai paesi africani e per investimenti nelle infrastrutture in cambio di un periodo di gestione loro affidato per recuperare il costo dell’intervento. Grazie a queste iniziative sono state costruite ferrovie, strade, porti aeroporti, che costituiscono delle strutture stabili, inamovibili, che gli Stati destinatari acquisiscono ora e per il futuro. La costruzione viene fatta prevalentemente da manodopera cinese e comunque rappresenta un arricchimento strutturale di questi paesi in quanto fornisce infrastrutture che facilitano e agevolano lo sviluppo complessivo del territorio, ma di fatto infeudandolo alla politica cinese. Grande l’interesse della Cina anche per le estrazioni petrolifere e minerarie e per quelle di terre rare. La Cina da questi rapporti ricava complessivamente una penetrazione per le sue merci a bassa tecnologia nei mercati locali, di fatto coprendo le necessità del commercio minuto.
La Russia si distingue invece per un intervento che poggia prevalentemente sulla creazione di buone relazioni grazie alla fornitura di derrate alimentari, principalmente di grano e cereali, forniti gratuitamente o a prezzi di favore, alle quali si affianca un interesse per le attività minerarie ed estrattive. Questa presenza è sostenuta attraverso l’appalto della fornitura degli armamenti necessari ai diversi governi e dal sostegno, quando occorre, attraverso truppe mercenarie organizzate in compagnie come la Wagner, che è solo la più famosa e nota di una galassia di organizzazioni di mercenari al servizio del Cremlino.
Non è un caso che nessuno dei paesi del Sahel che vedono il governo di regimi militari e dittatoriali sia stato presente a Roma, rendendo palesi le difficoltà di approccio al problema.
C’è da aggiungere e con il rafforzamento dei BRICS e ancor più con il loro allargamento aumenteranno gli attori interessati a intervenire in Africa dove da tempo è presente in
misura e con un ruolo sempre più rilevante l’India, con i propri prodotti e i propri investimenti, la Turchia che sembra essersi specializzata nella realizzazione di aeroporti, i paesi arabi, estrattori di petrolio, che cercano buone occasioni per i loro investimenti e che stanno acquisendo una sempre maggiore capacità di intervento economico e finanziario, come testimonia l’ingresso nei BRICS.
Il fatto è che l’Italia giunge buon ultima in Africa e, anche se è riuscita a far dimenticare, almeno in parte le tragiche conseguenze delle proprie avventure coloniali, perché la generazione di coloro che ne subirono i danni è ormai morta e perché più recenti tragedie hanno costellato la storia dell’Africa, oscurandone il ricordo, sconta tuttavia la cattiva fama di altri, e soprattutto della presenza post coloniale francese, che ha fatto danni enormi e seminato odi e diffidenze, che oggi appaiono difficilmente superabili, e che consentono sia alla Cina che alla Russia di essere visti come interlocutori privilegiati di un rapporto costruttivo e utile allo sviluppo dell’economia di questi paesi; anche perché russi e cinesi non fanno distinzione tra i regimi politici che reggono questi Stati, ma intrattengono relazioni basate sul reciproco interesse. Ciò non toglie che pur con tutti questi difetti l’azione italiana di penetrazione nell’economia africana sarà fortemente contrastata sia dalla Francia che dall’Inghilterra, come dagli Stati Uniti, che pur essendo di fatto assenti dal continente e non avendo una propria politica per l’Africa, vedono con sospetto l’ingresso di qualsiasi nuovo attore sul campo.
Constatata l’assenza di capitali di investimento dei quali l’Italia non dispone, il programma per l’Africa, pur valido strategicamente, avrebbe dovuto essere sostenuto da una preventiva concertazione con l’Unione europea, evidenziando gli interessi comuni nell’area più che mediante l’offerta a qualche politico europeo in cerca di voti di una passerella sulla quale esibirsi, il che avrebbe consentito certamente una maggiore disponibilità di capitale di investimento.
Sarebbe stata inoltre necessaria una tessitura diplomatica di relazioni bilaterali con i singoli paesi mirante a coinvolgerli nella messa a punto e programmazione degli interventi, inaugurando così veramente una nuova metodologia di relazioni effettivamente paritarie. Ma malgrado la tanto decantata competenza e abilità diplomatica della Meloni le strutture del paese e la sua diplomazia non dispongono dell’attitudine a lavorare in questa direzione, prive come sono di una visione strategica delle relazioni internazionali di lungo periodo.
Quella suggerita è una visione strategica mentre invece il governo italiano sembra guardare a risultati immediati e interpreta l’iniziativa come uno strumento per far sì che l’immigrazione trovi un argine attraverso l’ottenimento dai paesi cooperanti in cambio di investimenti dell’adozione di politiche restrittive e di controllo del flusso migratorio. Il fallimento evidente di questo intento è testimoniato dal fatto che ad essere assenti dalla kermesse romana erano proprio i paesi che detengono il controllo delle vie carovaniere di transito dei migranti dal centro Africa verso l’Europa, senza contare dell’assenza di un paese come la Nigeria che con il suo sviluppo demografico esplosivo costituisce il serbatoio dal quale fuoriescono e si alimentano i flussi migratori.
La Redazione