L’Europa si svena per gli oligarchi ucraini

Gli oligarchi ucraini che trafficano con le forniture belliche e gestiscono i finanziamenti dell’Ue e degli Stati Uniti e degli altri Stati donatori per l’ordinaria gestione delle attività statali si fregano le mani, pregustando il piacere che proveranno nel riempirsi le tasche con la cresta che faranno alle risorse che il loro paese riceverà: i compagni di merenda di Zelensky scommettono sulla continuazione del conflitto e banchettano sui morti e sui feriti dell’una e dell’altra parte.
Ma da dove viene tutto questo denaro, complessivamente 250 miliardi di dollari? Il sostegno finanziario alla guerra in Ucraina è articolato su più livelli: il primo è costituito dal finanziamento necessario alle spese ordinarie dello Stato, spese che vanno coperte tenendo conto delle difficoltà che lo Stato ucraino ha nel riscuotere le imposte (pensioni,
stipendi, ecc.). Il secondo capitolo di finanziamenti riguarda il funzionamento dei servizi essenziali e soprattutto di sanità e scuola. Il terzo i finanziamenti necessari alla fornitura di armi.
La prima voce di spesa è stata coperta fino ad ora da un finanziamento della Banca Mondiale di 1,34 miliardi di dollari erogato nell’ambito del progetto Peace (Public Expenditures for Administrative Capacity Endurance) della Banca mondiale: un prestito erogato grazie a una garanzia dei governi del Giappone, degli Usa, della Norvegia e della Svizzera.
Ma ora non basta più. Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario  Internazionale ha dichiarato: “L’Ucraina ha bisogno di un ulteriore sostegno finanziario. Per il 2024 valutiamo che questo ammonti a circa 42 miliardi di dollari. Se l’è guadagnato adottando misure severe. La parte del Paese che non è sotto assedio va molto bene. Kiev sta riscuotendo tasse a un livello che fa invidia ai Paesi non in guerra ,pari al 36% del Pil. Per quest’anno prevediamo una crescita del 4,5% e ha ridotto l’inflazione al 5%.
Ma quelle tasse bastano appena a sostenere il costo della guerra e a pagare gli stipendi di chi combatte, per tutto il resto (scuole, ospedali, pensioni ecc. non avanza un soldo e quel resto costa appunto 42 miliardi. Per reperire questa somma Zelensky conta su USA e Ue: 8,5 miliardi da Washington, che spende già molto per le forniture militari dirette, e 18 miliardi sono attesi da Bruxelles; al resto ci penseranno la Gran Bretagna e gli altri “donatori” compreso il Fmi, già informale padrone del Paese da prima della guerra; (donatori è scritto tra virgolette perché in parte questi soldi sono
prestiti, ancorché sia assai improbabile che l’Ucraina possa restituirli).
Regno Unito, Giappone, Canada e istituzioni internazionali, come il Fondo monetario internazionale, hanno già garantito all’Ucraina circa 10 miliardi di euro per il 2024. Si conta di reperire una parte dell’altro denaro occorrente collocando sul mercato titoli di stato ucraini che necessariamente richiederanno alti tassi perché poco garantiti dall’incerto esito della guerra. Assumono quindi un ruolo centrale i 50 miliardi di euro da spalmare su 4 anni stanziati dal Consiglio d’Europa il 1 febbraio dopo un duro confronto con Orban.

Trucchi contabili a Bruxelles

Lo scoppio improvviso della guerra Ucraina ha richiesto all’Unione europea uno sforzo finanziario che in un primo momento è stato affrontato ricorrendo ai fondi di emergenza. Tuttavia a due anni dall’inizio della guerra si è reso necessario trovare nel bilancio comunitario le risorse necessarie a sostenere lo sforzo bellico come Unione, al di là di ciò che i singoli Stati hanno messo a disposizione unilateralmente. Il quadro dirigente delle istituzioni europee è consapevole di aver condotto i popoli d’Europa a sostenere una guerra della quale sono poco convinti, come emerge dai sondaggi effettuati nei diversi paesi. Forse solo nei Paesi baltici l’intervento a sostegno dell’Ucraina gode dei favori della maggioranza dell’opinione pubblica.
Dovendo reperire le risorse necessarie i leader europei hanno deciso di muoversi all’interno delle pieghe del bilancio e di erodere altre voci, per stornare le risorse verso il finanziamento della guerra. L’attenzione è caduta sul comparto al quale p destinato 1 / 3 della spesa complessiva del bilancio dell’Unione che è costituito dai fondi destinati al
sostegno dell’agricoltura comunitaria (PAC).
Per realizzare economie di spesa si è provveduto al taglio di sostegni, bonus, provvidenze di vario genere, indirizzando verso il finanziamento della guerra e il sostegno all’Ucraina le risorse così reperite. Se nonché nel mettere in atto questa manovra i dirigenti Bruxelles, di memoria corta, hanno dimenticato che chiedevano altri sacrifici al settore agricolo per effetto dell’attuazione della politica green che per gli agricoltori comporta maggiori spese a sostegno delle loro attività, la perdita di forniture di gasolio e di energia a prezzo politico, la limitazione delle superfici coltivabili, con
obbligo di rotazione quadriennale per alcune di esse, norme onerose da attuare in materia di benessere animale e condizioni ottimali per l’allevamento- A tutto ciò si aggiunga una complicazione anche eccessiva delle attività burocratiche necessarie ad ottenere i sostegni comunitari erogati, l’emanazione di norme particolarmente punitive per quanto riguarda la tutela della concorrenza, derivanti dagli accordi di partenariato sottoscritti con paesi terzi estranei all’Unione.
Su questo settore produttivo già così penalizzato si è abbattuta infine la concorrenza sleale degli oligarchi ucraini che controllano il mercato alimentare di quel paese, i quali dopo aver ottenuto “corridoi di solidarietà” per le merci ucraine, affinché le merci ucraine potessero, attraversando l’Europa via terra, utilizzare i posti del nord del continente per
raggiungere i mercati, hanno approfittato del fatto che nel compiere questa operazione le merci si trovavano in territorio comunitario, per provvedere alla loro vendita sul mercato interno, facendo concorrenza ai prodotti dei paesi attraversati, peraltro gravati da maggiori costi, dovendo rispettare le norme comunitarie particolarmente stringenti in materia di tutela della qualità del prodotto e delle modalità con le quali esso è coltivato (esente da fertilizzanti e anticrittogamici, vietati dai dagli ordinamenti comunitari. ma che consentono è di molto di alzare il livello di produttività dei suoli) ai quali i produttori ucraini non sono obbligati. Ma ce di più il prodotto ucraino collocato sul mercato è spesso un prodotto che costa meno ma è inquinato dagli eventi bellici, perché come è noto i due contendenti sul campo di battaglia non si risparmiano l’uso di sostanze chimiche, defoglianti, proiettili a uranio impoverito e quant’altro non fa certo bene alla
salute.
Tutto questo era davvero troppo egli agricoltori hanno perso la pazienza, tanto più che lo stesso furbo ragionamento hanno fatto molti dei governi nazionali, i quali dovendo reperire risorse e tagliare sulla spesa hanno anch’essi fatto calare la mannaia sul settore agricolo, pur di reperire risorse.
In particolare il governo tedesco si è esposto ben 17 miliardi di euro di forniture militari e di aiuti all’Ucraina, con il risultato che i problemi di bilancio sono stati così grandi da richiedere trucchi contabili che poste sotto la lente della Corte Suprema di Karlsruhe hanno finito per sollevare lo scandalo e rischiare di produrre la caduta del governo.
Ce n’è a sufficienza per spiegare e motivare la compattezza con la quale gli agricoltori tedeschi sono scesi in piazza, hanno occupato le strade, hanno invaso Berlino; ce n’è abbastanza per capire perché gli agricoltori francesi hanno fatto altrettanto, come quelli spagnoli, i belgi, gli olandesi e parte di quelli italiani, che benché colpiti da provvedimenti più lievi, perché furbescamente il governo Meloni ha evitato di adottarne di eccessivamente gravosi, si sono visti comunque danneggiati dalla concorrenza dei prodotti agricoli ucraine dagli accordi bilaterali di libero scambio sottoscritti
dall’Europa A riprova di quanto diciamo facciamo notare che Macron, volendo calmare la piazza, ha proposto l’approvazione di una legge che tutela li produzione nazionale, specificamente rispetto a quella Ucraina, è altrettanto ha promesso di fare a livello comunitario, incontrando il consenso dei manifestanti che hanno fatto rientrare la protesta. A questa soluzione guardano con crescente interesse altri governi.
È ora di smetterla di mentire alle popolazioni d’Europa e dire chiaramente come stanno le cose nel momento in cui li si chiama a sacrificare il loro benessere, avendo l’onestà di ammettere quanto costa guardare con favore all’ingresso nell’Ue. di un paese guidato da una banda di oligarchi e di barbuti pope ortodossi ribelli al Patriarcato di Mosca e accoliti di un’inesistente Patriarcato ecumenico che vive in un quartiere di Istanbul (il Faner) una vita virtuale, sognando l’egemonia sul mondo e che per raggiungere questo scopo non esita a fomentare come fa il suo compare Killer Patriarca
di Mosca una guerra fratricida scatenata da Putin, le cui vittime sono due popoli, quell’ucraino e quello russo.

La guerra parallela

Mentre sul fronte e nel paese gli eserciti nelle due nazioni si combattono, ricorrendo a ogni arma della quale possono disporre, un’altra guerra in corso all’interno dell’Ucraina e riguarda lo scontro ingaggiato dal governo con la Chiesa Ortodossa Ucraina affiliata al Patriarcato di Mosca. Contro questa chiesa è stato presentato il progetto di legge
8371 sulle modifiche alla legge dell’Ucraina “Sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose per stabilire restrizioni all’esercizio della libertà di professare religione o credo necessarie per proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico, la vita, la salute e la morale, nonché i diritti e le libertà di Altri cittadini”.
Le norme contenute nel provvedimento si rivolgono alle confessioni religiose che hanno la loro sede centrale in un paese che ha aggredito l’Ucraina o che ne occupa porzioni di territorio. A tale confessione religiosa viene impedito l’esercizio del culto, la registrazione degli statuti e laddove fossero già registrati se le vieta l’efficacia. Si vieta l’ingresso di nuovi aderenti nella confessione religiosa e si specifica che il “divieto dell’attività di un’organizzazione o associazione religiosa comporta la risoluzione dell’organizzazione o dell’associazione religiosa e delle loro attività, lo scioglimento
dei loro corpi, cellule e altre parti strutturali. In caso di divieto di organizzazione o associazione religiosa, proprietà, fondi e altre attività che si svolgono nella loro proprietà vengono trasferiti nella proprietà dello Stato, che è indicato nella decisione del tribunale. Il trasferimento di tali proprietà, fondi e altre attività nella proprietà dello Stato è fornito dal corpo centrale del potere esecutivo, che implementa la politica statale nella sfera di religione in conformità con la procedura stabilita dal gabinetto dei ministri dell’Ucraina. In caso di divieto di un’organizzazione o associazione religiosa, un contratto di locazione o di smaltimento per altri motivi immobiliari in cui l’organizzazione o l’associazione religiosa pertinente (o la loro parte strutturale) è una parte, verrà chiusa, come indicato nella decisione del tribunale“.
In applicazione di questa legge i tribunali ucraini stanno convalidando le decisioni dell’esecutivo di sequestro di monasteri chiese ed edifici e beni di proprietà della Chiesa Ortodossa Ucraina legata al Patriarcato di Mosca, provvedendo in una successiva fase a trasferirne la gestione alla Chiesa Ortodossa Ucraina Nazionale (autocefala), riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli. All’intervento sugli immobili si accompagna la repressione di ministri di culto e primati di questa Chiesa inquisiti con le motivazioni più diverse, in alcuni casi, imprigionati ed impediti nell’esercizio del culto, malgrado che la Chiesa abbia preso le distanze dal Patriarcato di Mosca e abbia condannato l’invasione decisa dalla Russia del territorio ucraino.
L’adozione di provvedimenti di questo tipo viola palesemente le norme dell’Unione europea e quelle dello Stato di diritto alle quali l’Ucraina dice di aspirare prova ne sia che si candida all’ingresso nell’Unione dimenticando che una delle condizioni perché quest’iter si concluda positivamente è costituito dall’accettazione dell’eaquis comunitario, e quindi dell’obbligo dello Stato di garantire la tutela della libertà religiosa dei singoli, come delle confessioni religiose.
Si potrebbe obbiettare che lo stato di guerra giustifichi in qualche modo questo tipo di politica securitaria, ma alla luce dell’evolversi del conflitto intra – religioso in Ucraina e del ruolo che esso ha avuto nell’esplosione del conflitto, ci sentiamo di poter affermare che questa scelta illiberale del regime ucraino rivela il bluff costituito dalla dichiarata
aspirazione del paese ad aderire ai valori nell’occidente al quale si chiede di svenarsi per l’Ucraina.

La Redazione