L’enigma Argentina

L’elezione dell’ultraliberista e populista Milei è frutto della stanchezza della società argentina verso la classe politica del paese, prigioniera del bipartitismo argentino, frutto delle degenerazioni di destra e di sinistra del peronismo, delle sue ambiguità, delle scelte contraddittorie che accompagnano questa particolare ideologia politica in materia economica e sociale. L’inflazione del paese marcia al 150%, la povertà e le disuguaglianze dilagano, malgrado che il paese goda di grande ricchezza e varietà di risorse naturali, una popolazione con un elevato grado di alfabetizzazione, disponga di un sistema agricolo ben sviluppato ed una solida base industriale che ne fa uno dei paesi più sviluppati dell’America Latina (dopo il Brasile e il Messico).
Tuttavia la fragilità della sua struttura economica ha fatto sì che il paese fosse vittima di ripetuti fenomeni speculativi ad opera della finanza internazionale, in particolare nel 2001, nel 2014, nel 2019, che ne hanno depredato le risorse economiche, mettendo in ginocchio la sua economia e riducendo enormemente il terrore di vita della  popolazione.
Per dare un’idea di quanto l’inflazione abbia inciso ed incida sulla situazione economica del paese basti ricordare, ad esempio, che all’inizio del 2014, con un’inflazione del 28%. Il Peso argentino ha subito una svalutazione del 14% in una sola seduta che l’ho portato ad un minimo di 834 pesos per dollaro, il che rappresenta il valore più basso dai tempi della crisi nel 2001-2002. Con un’inflazione dei prezzi al consumo cresce al ritmo del 30% annuo il paese è perennemente sull’orlo di una nuova crisi finanziaria, tanto che nel 2018 ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale un prestito ponte di 30 miliardi di dollari per liquidare gli interessi dei titoli di debito pubblico a breve scadenza. Questa manovra ha prodotto l’aumento del costo del denaro, salito al 33%, nel tentativo di rivalutare il peso e di fermare la speculazione internazionale.
Questa situazione è largamente dovuta al fatto che l’economia argentina è caratterizzata da un oligopolio che gestisce la distribuzione nazionale delle merci, per cui il mercato del paese è controllato dalla francese Carrefour, dalla cilena Disco e dall’agendina Coto, che determinano i prezzi senza che mi sia una reale possibile concorrenza. Il risultato è come abbiamo detto un’inflazione che viaggia al 150%.
Questa situazione è alla base della proposta di Milei di dollarizzazione dell’economia argentina. Utilizzando immagini demagogiche e proposte paradossali come quella dell’abolizione della Banca Centrale Argentina Milei è riuscito a creare l’illusione che sia possibile adottare il dollaro come moneta nazionale, in modo che i produttori di beni e
servizi vedano retribuito il loro lavoro in una moneta solida, non soggetta ad  un’inflazione così devastante.

Un paese attonito e sconcertato

Ciò che risulta incomprensibile agli argentini e che in loro è uno dei paesi al mondo che gode della maggiore produzione agricola e di un florido allevamento, in particolare di bovini, al punto che l’Argentina è uno dei maggiori esportatori di carne bovina e ovina del mondo. Il paese produce soia mais e frumento nella Pampa (uno sterminato territorio pianeggiante ed irriguo), in quantità tale da poter sostenere l’allevamento ed esportare larga parte del prodotto e riesce a destinarne una parte consistente del prodotto ad una florida industria alimentare. I cereali il latte e la carne bovina rappresentano la base dell’alimentazione della popolazione ma è difficile disporne a causa dei bassi salari e dell’inarrestabile inflazione.
Il paese possiede una considerevole quantità di petrolio e gas è una industria petrolchimica abbastanza sviluppata che insieme alla produzione di soia e all’industria metalmeccanica costituisce la base economico – produttiva del paese; l’esportazione di petrolio, che dispone di giacimenti concentrati nelle province di Néquén e Bahia Blanca, è pari al 20% del totale e solo una parte è riservata all’industria petrolchimica.
La produzione manifatturiera dell’argentina partecipa alla formazione del prodotto interno lordo per il 17,5% e, insieme al commercio e a quello pubblico, è il settore con la maggiore occupazione, seguita dall’edilizia. L’industria argentina si divide in industria agraria, dominata dall’industria alimentare e della lavorazione della carne, mentre,
passando ad altri settori, l’industria più importante è quella automobilistica, seguita da quella chimica, metallurgica e infine cartaria. L’area industriale più importante del paese si estende dalla Gran Buenos Aires fino a Córdoba, passando per Rosario. Altri centri rilevanti sono Tucumán, San Luis e la Terra del Fuoco. A causa delle privatizzazioni l’industria navale ha perso notevole importanza e posti di lavoro. L’industria turistica è abbastanza sviluppata ma soffre delle difficoltà di comunicazione che caratterizzano il paese e delle quali si dirà.
Questo apparato produttivo non è supportato da adeguate infrastrutture che ne permettano l’efficienza. Un tempo l’Argentina era uno dei paesi del continente americano con la più vasta rete ferroviaria che nel tempo ha ridotto a 37.740 km le proprie percorrenze dismettendo 12.000 Km. Il sistema pubblico dei trasporti è stato integrato da una rete dei pullman che percorrono il paese, gestite da compagnie private che hanno consegnato il paese al trasporto su gomma, anche per quanto riguarda la circolazione delle merci.
In un clima pre-elettorale nel settembre del 2023 il Parlamento ha approvato un disegno di legge proposto dal candidato Massa che prevede la totale esenzione dalle imposte pubbliche per i redditi da lavoro dipendente per la gran parte della popolazione, lasciando l’imposta solo per i redditi superiori di 15 volte il salario minimo federale, ovvero i redditi superiori a 1,77 milioni di pesos al mese Ma se il provvedimento ha fatto guadagnare consensi al proponente tra gli impiegati pubblici e quelli a reddito fisso non è bastato per guadagnargli il favore della gran parte degli elettori, convinti dalle proposte di totale deregulation di Milei. Questo squilibrio, questo dissesto costante del paese, l’ineguale distribuzione della ricchezza, generano negli argentini un senso di frustrazione totale, che ha le sue origini e le sue cause in una proposta politica incapace di affrontare i problemi della popolazione le cui carenze vengono da lontano.

Un paese affascinato del peronismo

La colonizzazione del paese è stata fino agli anni ‘20 da una oligarchia costituita dai grandi allevatori e commercianti di carne e dai grandi proprietari terrieri, che gestiva un proletariato rurale debito all’allevamento e all’agricoltura, al quale si affiancò ben presto una classe operaia impiegata soprattutto nell’industria alimentare e una classe media urbana costituita dagli impiegati pubblici, alimentate da una massiccia emigrazione proveniente dall’Europa, mentre l’economia era controllata da capitali britannici e statunitensi proprietari di circa il 50 % delle imprese. La composizione del proletariato contadino e urbano si alimentò attraverso l’emigrazione, spesso politica, di lavoratori esuli dall’Europa di orientamento socialista, anarchico anarco sindacalista e comunista che portarono nel paese le loro esperienze di lotta. Questa particolare composizione di classe dette vita organizzazioni operaie solide, tra le quali la FORA Federazione Obrera Regional Argentina che condusse delle lotte radicali e giunse ad organizzare ben mezzo milione di lavoratori. Successivamente venne costituita la Confederacion General de Tabajo (CGT). Il movimento sindacale argentino condusse intense lotte arginate solo attraverso il ricorso a governi dittatoriali come quello di José Felix Uriburu che prese il potere nel 1930.
La risposta del movimento sindacale non si fece attendere, tanto che si assistette a dure lotte che si protrassero fino al 1942 quando per effetto del patto Ribbentrop-Molotov si produsse una scissione nel movimento sindacale. Ad approfittarne fu Juan Domingo Peron, un colonnello esponente del Grupo de Oficiales Unidos (GOU) per dar vita al movimento justicialista che sviluppò il suo programma durante la sua prima presidenza della Repubblica (1945-1955) con l’apporto ideologico e di immagine di sua moglie Evita Peron. I suoi seguaci, erano chiamati descamisados, ad indicare simbolicamente la provenienza dagli strati sottoproletari e popolari della società. Peron dette vita ad un movimento politico sincretico e populista che unisce principi socialisti al patriottismo, individua come terza via economica il corporativismo fascista dando vita ad una forma di “socialismo nazionalista” di orientamento conservatore sotto il profilo
etico ed ideale.
In economia peronismo utilizza le teorie keynesiane e dirigiste, istituendo un sistema economico con forte presenza dello Stato che opera il regime di economia mista privato-pubblico, non disdegnando di ricorrere a piani quinquennali di programmazione economica per governare l’accumulazione. Nacquero così aziende pubbliche che attraverso una politica di welfare assistenziale svolsero un’attività di sostegno all’attività sindacale di operai e dipendenti privati. In politica estera il peronismo si caratterizzò per la presa di distanza dalla politica degli Stati Uniti nel subcontinente sudamericano, promuovendo posizioni terzomondiste, di neutralismo e di non allineamento nei confronti dei due blocchi sovietico e americano. Il successo del peronismo venne favorito dalla crescita economica congiunturale dovuta a una fortissima richiesta di prodotti agricoli e do allevamento da parte di tutti i paesi belligeranti ed allo spostamento della produzione industriale nelle aree che non erano teatro di guerra. Negli anni che vanno dal 1943 al 1945 Peron alleandosi con i sindacati realizzò quando non era stato fatto nei precedenti decenni di lotta di classe: assicurazioni obbligatorie per incidenti sul lavoro e malattie professionali, la giornata lavorativa di otto ore, lo statuto dei lavoratori giornalieri, la tredicesima mensilità, le ferie retribuite, l’estensione del sistema pensionistico, il riconoscimento ufficiale dello status giuridico dei sindacati, ecc. Questa sua politica fece sì che quando i suoi avversari cercarono di destituirlo incarcerandolo ma egli riuscì a ribaltare la situazione. Nel 1946 Perón vince le elezioni, con una lista appoggiata dai settori sindacalisti sia nazionalisti che socialisti. Il suo Governo può godere di una congiuntura favorevole, grazie alle abbondanti riserve di oro e valuta straniera, a un saldo commerciale positivo e a un mercato interno in espansione e procedendo quindi a una redistribuzione della ricchezza, che fa guadagnare consenso al suo regime il che gli consente di liberarsi dell’appoggio delle forze di sinistra e sindacali che lo avevano sostenuto.
Con il primo piano quinquennale, si nazionalizzano il Banco centrale, le imprese dei servizi pubblici (ferrovie, acqua, gas, telefoni) sottraendole al controllo dei gruppi anglo americani e si dà impulso all’edilizia popolare e all’alfabetizzazione delle classi più povere. Tutto questo, mentre la Costituzione del 1949 riconosce il diritto di sciopero,
alla salute ed all’istruzione, affida il monopolio del commercio estero da parte dello Stato.
Il peronismo inizia la sua crisi con la morte di Evita Duarte, la moglie di Perón, che abile propagandista del marito e del movimento, personificava il legame del regime con il popolo. Così nel 1955 un colpo di Stato militare, sponsorizzato dalla Chiesa cattolica che non accettava l’introduzione per legge del divorzio, depone Perón che deve fuggire all’estero. Da allora inizia un susseguirsi i colpi di Stato che porteranno l’Argentina verso la guerra civile: il partito peronista viene posto fuorilegge insieme ai partiti della sinistra e ai comunisti.
Nel 1962 nascono il movimento di guerriglia dei Montoneros, l’Ejército Guerrillero del Pueblo (di ispirazione guevarista), le Fuerzas Armadas Peronistas ed altri gruppi, che nel 1967 danno vita alla OLAS (Organizacion Latonoamericana de Solidaridad) che racchiudeva tutti i movimenti anti-imperialisti latinoamericani appartenenti alle più
diverse estrazioni politiche. Il declino economico e sociale dei Governi che si susseguirono negli anni sessanta, incalzati anche dall’attività di guerriglia dei Montoneros, aprì la strada al ritorno di Perón nel 1973 che morì il 1º luglio 1974.

Tra post-peronismo e dittatura

Questa sommaria ricostruzione della parabola peronista ci fa capire quanto sia composita e sfaccettata l’influenza e l’eredità peronista nella vita politica argentina. La morte di Perón alla quale succede la sua seconda moglie Isabelita lascia un sistema politico balcanizzato nel quale ben presto si inseriscono i militari instaurando la dittatura e una feroce repressione. Venne creata l’Alianza Anticomunista Argentina (AAA) che nel periodo 1973-75 assassino più di 400 persone e prese il via “Operazione condor”, voluta da Kissinger, finanziata, pianificata è organizzata dagli Stati Uniti di concerto con i servizi segreti degli Stati sudamericani e soprattutto del Cile dove il golpe del 1973 aveva portato al potere colonnelli. Nel 1976 un golpe organizzato dalle forze armate portò al governo un triunvirato do generali, presieduto da Videla ed ebbe inizio una feroce dittatura che portò alla scomparsa di più di 30 000 persone. Coloro che erano anche semplicemente sospettate di essere di sinistra venivano sequestrate e arrestate e portate in centri clandestini di detenzione, torturate e spesso uccise, i cadaveri occultati o scaricati in mare con i cosiddetti voli della morte di aerei Hercules dell’esercito argentino che scaricavano persone ancora vive nell’oceano. Le donne incinta venivano fatte partorire e i loro bambini sottratti e dati in adozione clandestina a famiglie dei militari. Il personale militare che condusse l’operazione venne addestrato nella School of the Americas, finanziaria dagli Stati Uniti. Il regime crollo nel 1982 solo a seguito sconfitta argentina nella guerra delle Falkland che screditò il regime militare.
Nel 1983 venne ripristinato un governo democratico del paese ed eletto presidente Raul Alfonsin, Il nuovo governo si impegnò a rendere conto dei desaparecidos, pose sotto il controllo civile le forze armate e consolidò le istituzioni democratiche. I membri delle giunte militari vennero processati. Il fallimento nella risoluzione dei problemi economici endemici e l’incapacità nel mantenere la fiducia dell’opinione pubblica portarono all’abbandono anticipato di Alfonsín, sei mesi prima che scadesse il suo mandato e di fatto avviarono una crisi nella gestione economica del paese che da allora permane. Nel 1991 per fermare la penetrazione l’iperinflazione venne imposta la parità di cambio Peso-Dollaro, si ricorse al mercato, smantellando le barriere del protezionistico e le regolamentazioni che proteggevano l’industria nazionale, e venne sviluppato un programma di privatizzazioni. Se è vero che questi provvedimenti portarono a un significativo aumento degli investimenti privati internazionali, va detto che contribuirono a provocare la recessione del paese perché le sue attività economiche non erano più protette. il debito estero salì alle stelle così la disoccupazione, la corruzione, il malcontento sociale raggiunsero i massimi livelli.
Nel 2001 l’Argentina venne travolta da una crisi economica profonda causata dalla recessione scatenatasi in conseguenza della crisi finanziaria asiatica del 1998 che portò anche ad una crisi istituzionale. Il paese fu costretto ad ammettere che gli era impossibile far fronte ad impegni economici presi con gli altri Stati e si assistette quindi al default delle sue obbligazioni internazionali. L’ancoraggio del peso al dollaro venne abbandonato e ciò incoraggiò il ritorno dei beni a valori reali, producendo un grande deprezzamento del peso è una crescita spaventosa dell’inflazione, con conseguente blocco dell’economia, aumento dei disoccupati e dei nuovi poveri, crisi di liquidità dal sistema, aumento della criminalità e diffondersi di atti di vandalismo contro banche ed esercizi commerciali, instabilità sociale.

Il tentato risanamento economico dell’Argentina

Nel 2002 l’economia dell’Argentina cominciò a stabilizzarsi in coincidenza con l’elezione a Presidente di Nestor Kirchner, venne ristrutturato il debito in default e ripianato quello con il FMI e si procedette alla nazionalizzazione di alcune imprese di interesse pubblico Fondamentale per la ripresa economica fu il cosiddetto “boom della soia”: la conversione di molte vaste aree agricole alla produzione della soia e le forti esportazioni conseguenti (pesantemente tassate dal 2008), determinarono una crescita economica e un flusso di valuta straniera, tuttavia il debito verso l’estero rimase alto.
Per due mandati successivi a presiedere l’Argentina fu Cristina Kirchner, moglie del presidente, che si impegnò al risanamento dell’economia del paese ma il calo dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali portò ad all’accentuarsi della crisi; nel 2014 esplose la crescita drammatica dell’inflazione al punto che nel luglio di quell’anno
venne annunciato il secondo default del paese. Con le elezioni presidenziali del 2015, venne eletto Mauricio Macrì che adottò politiche di ispirazione liberiste, a cominciare dalla liberalizzazione del cambio del peso argentino, il cui valore di cambio col dollaro era stabilito per decreto governativo ed erano stati posti pesanti limiti alla possibilità per i cittadini di acquistare valuta straniera. Questo ha portato alla scomparsa del mercato nero delle valute, contestuale ad una svalutazione nominale del peso di oltre il 40%.

L’alternativa BRICS

L’elezione nel 2019 alla presidenza Alberto Fernàndez, accompagnata da Cristina Fernàndez de Kirchner. Ha confermato le scelte politiche delle precedenti amministrazioni che individuavano una possibile soluzione dei problemi argentini nell’ambito di una soluzione “regionale”, comune agli altri paesi del Continente, anche approfittando del ritorno al potere in Brasile del Presidente Lula.
La componente di sinistra del peronismo, guidata dalla Kirchner, individuava nei legami regionali e in quelli dell’ingresso dell’Argentina il 1 gennaio 2994 nei Brics la soluzione ai grandi problemi dell’economia del paese.
Attraverso più stretto legame con il Brasile, con il quale intercorre un grande volume di scambi economici e commerciali il governo argentino pensava di fare blocco, anche utilizzando l’aspirazione dei Brics a sostituire il dollaro come moneta di riferimento. Questo progetto preoccupava non poco gli Stati Uniti che hanno riversato su Milei il loro sostegno. Per comprendere tuttavia come il presidente eletto ha conquistato crescenti settori della società, rompendo la logica bipartitica fra peronismo di destra e di sinistra, bisogna partire dalla complessa procedura che regola l’individuazione delle candidature presidenziali.
Dopo una prima fase di primarie aperte, simultanee e obbligatorie, attraverso un sistema ibrido, si procede alla selezione dei candidati, ponendo un limite alla proliferazione di piccole forze minoritarie (essendo necessario raggiungere una sogli di almeno l’1,5% dei voti validi). Si procede così all’organizzazione del primo turno: per essere eletto Presidente, il candidato più votato deve ottenere il 45% dei voti oppure il 40% e deve esservi una differenza di 10 punti con il secondo candidato. Altrimenti, i due candidati con il maggior numero di voti passano al secondo turno. Milei, sia al primo che al secondo turno, ha ottenuto circa il 30% dei voti (rispettivamente 29,86% e 29,99%). vincendo nel cuore della regione agraria argentina, dove l’opposizione sociale ed economica al peronismo di centro-sinistra è nata durante le proteste di massa del 2008 contro un cambiamento del regime fiscale sulle esportazioni di grano, e dove nel 2015 è stata costruita una nuova maggioranza di centro-destra, che è riuscita a compensare il peso del peronismo nella periferia popolare e popolosa della città di Buenos Aires (il cosiddetto ’conurbano’).
Nelle province di Córdoba, Santa Fe e nel sud di Entre Ríos, La Libertad Avanza ha vinto contro il candidato sostenuto dalla destra peronista ed è riuscito a conquistare una parte dell’elettorato peronista, come dimostrano le sue vittorie nelle province tradizionalmente peroniste del nord-ovest, come Salta, Tucumán e La Rioja – in queste ultime due ha vinto le primarie e ha ottenuto un buon risultato al primo turno (34,9% e 37,6% rispettivamente). Ciò significa che il peronismo ha perso potere di fronte al malcontento, che Milei ha saputo invece capitalizzare. Solo nella provincia e nella città
autonoma di Buenos Aires la vecchia struttura bipartitica ha mantenuto una certa rilevanza, con circa il 70% dei voti divisi tra il peronismo e la coalizione di destra.
Ciò vuol dire che Milei rappresenta un rinnovamento della destra in Argentina Che è riuscito a scardinare l’organizzazione elettorale articolato su due coalizioni quella dominata dal terrorismo della Kirchner Interrompendo un ciclo durato 12 anni, e l’altra di centrodestra guidata dal partito Proposta Repubblicana (PRO) di Mauricio Macrì. Un leader di estrema destra, che ha criticato duramente i leader di entrambe le coalizioni come una «casta politica», è riuscito rappresentare il malcontento e a prendere il potere in un contesto di profonda crisi economica e di conflitto aperto tra le varie fazioni che
compongono le principali coalizioni elettorali.
Il nuovo Presidente è un vero outsider arrivato al potere grazie ad una macchina elettorale debole, il movimento La Libertad Avanza, creato nel 2021 per sostenere la sua candidatura alle elezioni legislative nella città di Buenos Aires. è riuscito a stabilire un rapporto relativamente stretto con un elettorato depoliticizzato. Convinto della forza del contatto diretto ha fatto affidamento su un piccolo gruppo composto da sua sorella, da una manciata di giovani specialisti di social media e da alcuni braccianti politici di secondo piano che hanno negoziato con i leader conservatori locali o con i leader emarginati dai partiti tradizionali, al fine di garantire un’estensione nazionale a La Libertad Avanza. La debolezza di questa struttura è stata dimostrata dai risultati mediocri del partito alle elezioni provinciali nelle quali non è riuscito a conquistare un solo governatorato. In altre parole Milei è un leader individualista senza organizzazione, senza struttura militante e senza quadri politici.
La sua campagna elettorale è stata basata tutta sulla retorica su una forma e un contenuto offensivo delle sue infettive nei confronti degli avversari definiti con un linguaggio triviale di volta in volta merde, ladri di merda, bastardi e chi più ne sa ne
metta. Dietro queste invettive agisce con più efficacia la sua vicepresidente, Victoria Villarruel, Contrari alla tutela dei diritti umani alla democrazia, e che rivendica l’eredità dei generali golpisti e della “guerra sporca”.
Milei è il Presidente con il programma di riforme più ambizioso della storia  dell’Argentina, ma non dispone delle risorse e della forza per portarlo a termine. Per riuscirvi avrà bisogno di creare una coalizione con i peronisti di destra del (PRO) che lo hanno sostenuto apertamente al secondo turno compensando la debolezza del suo movimento La Libertà Avanz,a fornendo manodopera per monitorare i seggi e accompagnando il trasferimento dei voti dalla destra classica a quella nuova di Milei,
prova sia che al secondo turno il 92 % degli elettori dalla destra tradizionale ha votato per Lui. Coloro che lo hanno votato rappresentano sia i settori produttivi e medio-alti delusi da Juntos por el Cambio, sia i «piccoli» settori economici inferiori con lavori informali. Questi settori hanno una visione negativa del settore pubblico, della stabilità del posto di lavoro dei dipendenti pubblici. Tuttavia un’ampia percentuale dei suoi elettori non sostiene le politiche di austerità che sarebbero necessarie ma colpirebbero le fasce popolari. Ad esempio, secondo alcuni studi, un’ampia maggioranza ritiene che lo Stato debba fornire buone pensioni di anzianità, che sono una delle principali voci di spesa del bilancio pubblico argentino. Anche se la diffusione geografica e sociale del voto copre tutto il paese Milei è arrivato alla presidenza senza nessun controllo sui provinciali e con un blocco di soli 38 deputati su 257 e 7 senatori su 72. La sua debolezza istituzionale lo rende dipendente dagli accordi con altre forze politiche, in particolare con il PRO e i suoi alleati e con i settori peronisti dissidenti del peronismo ufficiale.
Quali risorse avrà a disposizione per gestire la protesta sociale che probabilmente emergerà di fronte ai tagli al bilancio pubblico e ad altre riforme che colpiscono il potere dei sindacati? Milei ha vinto in tutte le province tranne tre con oltre 11 punti di vantaggio sul candidato peronista (55,7% a 44,3%). La sua vittoria si è estesa a 352 degli oltre 500 distretti elettorali del Paese, tra cui dipartimenti, comuni e partiti (entità territoriali a metà strada tra comuni e province).
I giochi sono aperti.

La Redazione