Italia differenziata

Il Ministro Calderoli è al lavoro su un altro dossier identitario: l’autonomia differenziata voluta dalle Regioni ricche del Nord Italia. Questo obiettivo è stato individuato nell’ambito del gabinetto di crisi insediato dalla Lega dopo il Consiglio federale che ha valutato la sconfitta elettorale e predisposto la strategia per il rilancio del partito. Non si spiega altrimenti la costituzione di un proprio organismo che cerca di dettare l’agenda del governo, tanto più che la scelta è dichiarata.
Al momento i neofascisti sembrano accettare di onorare l’impegno di programma verso gli alleati che incrina l’unità della nazione e dovrà essere compensata dal presidenzialismo. In tal modo il Governo neofascista si prepara a ridisegnare le istituzioni del paese non senza mettere in conto che possano insorgere possibili contrasti, mentre i sinistri “governatori” della sinistra balbettano.
La concessione autonomia differenziata per le Regioni che ne hanno fatto richiesta è da sempre uno dei cavalli di battaglia della Lega che l’ha adottata dopo aver abbandonato l’idea della secessione, ma conserva alla base il principio ispiratore dell’egoismo campanilistico che è una delle sue ragioni fondanti: trattenere sul territorio le risorse prodotte il modo che il paese conservi e rafforzi un accesso allo sviluppo e al benessere differenziato.
Questo obiettivo viene perseguito ancora oggi nonostante che la crisi dell’industria tedesca non rappresenti più come prima la ragione fondante di un ritmo accelerato di sviluppo e di crescita delle regioni del nord e che almeno in parte le ragioni dell’autonomia abbiano perso di importanza e prospettive.
Malgrado quanto è avvenuto la Lega non ha aggiornato la sua analisi economica e gli scenari previsti sono rimasti quelli di dieci anni fa. La sconfitta elettorale, dovuta all’allentamento della tenuta territoriale a nord del partito, superato nei consensi dai cugini di Fratelli d’Italia, non è stato capito dai leghisti e il partito non ha “elaborato il lutto”, aggiornando l’analisi, preferendo individuarne le cause del tracollo elettorale nel fallimento dell’allargamento a sud del partito che certamente ha indebolito la tenuta territoriale, ma costituisce un fattore sovrastrutturale di crisi.

Il progetto Calderoli

Il ministro si è affrettato a dichiarare che la sua è una bozza di quella che dovrà essere la legge quadro, e ricordato che le materie da trasferire sono ben 23. Gli squilibri che ciò produrrebbe sono del tutto evidenti se si pensa che sarebbero di competenza regionale la scuola, l’energia, la logistica, i trasporti e tutto ciò che è espressamente indicato nell’art. 116 della Costituzione.
Un accordo capace di soddisfare tutte le Regioni è certamente difficile da raggiungere: pesano le critiche delle regioni del sud, soprattutto Campania e Puglia, ma anche della Calabria gestita dal Centro destra. Il consenso delle Regioni è essenziale perché la legge di trasferimento delle competenze deve essere negoziata sulla base di un accordo: l’intesa viene tradotta in un disegno di legge che passa prima in Consiglio dei ministri poi all’esame delle Camere per “mera approvazione” a maggioranza assoluta. Questa procedura non consente al Parlamento di incidere sull’intesa, violando la Costituzione, poiché se una Regione e il governo fanno un’intesa su competenze e finanziamenti il Parlamento può solo dire sì no come se fosse un trattato internazionale.
Lo scontro si concentra sulla definizione dei ‘livelli essenziali di prestazione’ (Lep) che ogni Regione deve assicurare e in relazione ai quali occorre calcolare i trasferimenti di fondi dallo Stato a una singola Regione per ‘coprire’ la competenza ceduta. La bozza Calderoli prevede che i Lep siano definiti “entro 12 mesi” dall’approvazione delle leggi che recepiscono le intese e che nel frattempo i trasferimenti siano calcolati secondo la ‘spesa storica’ sostenuta dallo Stato per quella competenza: questa è da sempre la proposta leghista che fa salvo il vantaggio acquisito dalle regioni del Nord poiché negli anni la spesa storica è stata inferiore rispetto al Nord.
Il problema politico è costituito dal fatto che nessuno si è dichiarato contrario all’autonomia differenziata, le materie che possono essere oggetto di trasferimento sono previste in Costituzione e non si possono toccare. Questa situazione è stata improvvidamente creata dalla sinistra con la riforma del Titolo V attuata nel 2001 con la maggioranza risicata di un voto.
A creare perplessità e a suscitare sconcerto è il fatto che viene fissato il termine di un anno oltre il quale, se i trasferimenti non vengono approvati e i Lep non vengono stabiliti, con decreto del Presidente del Consiglio, le funzioni possono comunque essere trasferite alla Regione, applicando il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti. In tal modo la tagliola leghista viene riproposta e resa automatica, sfuggendo ad ogni controllo parlamentare e da parte dei cittadini chiamati a subire una scelta che
incide profondamente sui loro diritti e sulla qualità della vita d le libertà.

Una manica di imbecilli

Solo ora le opposizioni si accorgono che la procedura ipotizzata dalla bozza limita il ruolo del Parlamento, prevedendo “un solo ruolo di ratifica”. Fino ad ora non se ne erano preoccupati nella presunzione di essere sempre loro a gestire come maggioranza le istituzioni ed ora si accorgono di quale danno si fa quando si modificano improvvidamente le regole costituzionali e si abbattono le garanzie dello Stato di diritto e dichiarano sconsolati: “Prima proponevano la secessione, poi il federalismo fiscale, ora l’autonomia differenziata, non è che possiamo dire che ci fidiamo con certezza”, dichiara Michele Emiliano. “È impossibile immaginare qualunque percorso senza partire da una legge cornice che stabilisca quali possono essere le materie oggetto d’intesa. È escluso ad esempio che scuola, energia o trasporti possano
esser oggetto di una delega alla Regioni. Il rischio è quello di una Babele”, ma per sostenere questo bisogna avere la maggioranza. Poi anche in questo caso ci sono quelli che si sono già arresi come in toscano Giani che non ha mai brillato per coraggio e intelligenza: “Sono anni che questo percorso va avanti e procederà, perché è già nei fatti” e rivendica per la sua Regione la competenza sui beni culturali e la geotermia. C’è infine che si illude ancora di poter porre “condizioni precise” con “una legge quadro, nella quale vengano definiti i livelli essenziali di prestazione, i fabbisogni standard e la
spesa storica, e poi il coinvolgimento del Parlamento”.
A nostro avviso rimane invece solo da battersi per sottoporre la legge quadro e l’intero processo a referendum lasciando la parole ai cittadini e conducendo una campagna di informazione che renda partecipi e consapevoli i cittadini tutti.

La Redazione