“Tremate, tremate, le streghe son tornate!”

“ Il 1968 ci perseguita! ” – scrive Miriam Mafai in un suo articolo pubblicato su “La Repubblica”[1] . Sì perché questa data è un autentico spartiacque, capace di distinguere un prima ed un dopo, rispetto al quale individuare i grandi passi avanti della società e i suoi più considerevoli progressi. Non possiamo dimenticare come le più importanti riforme del nostro Paese nacquero proprio nel clima culturale di quegli anni.
Riconducibili alle conquiste del ‘68 le occupazioni delle Università e i moti operai, la Legge sul divorzio e lo Statuto dei lavoratori, e la strage di Piazza Fontana. Gli anni della “rivoluzione” sono anche indissolubilmente legati ai movimenti ambientalisti e femministi e quindi anche alla conquista della “libertà sessuale”. E’ alla libertà sessuale che oggi, da più fronti, politici e non, politologi e commentatori vari si riferiscono per
interpretare gli odierni fatti di cronaca. Tanto che viene naturale chiedersi che cosa di quegli anni sia rimasto oggi. Possiamo dire che i comportamenti attuali siano davvero l’esito di quelle battaglie? Il femminismo è quello interpretato oggi dalle ragazze dell’era berlusconiana? Cosa pensano le giovani di ieri di quelle di oggi?
Approverebbero certi comportamenti oppure li troverebbero sguaiati e volgari?
Per cercare di comprendere l’era attuale va ricordata la diffusione in Italia, dopo appena venti anni dalle battaglie del ’68, delle tv commerciali. E’ da questo momento in poi che pian piano ha inizio l’opera di involuzione sulla quale molti si sono soffermati a riflettere.
Così la filosofa Michela Marzano, affrontando la problematica del rapporto uomo-donna, usa in modo ricorrente la parola “regressione” convinta che questo sia il termine capace, meglio di altri, di fotografare la situazione del nostro Paese. Mentre l’Italia, guardona e scostumata di questi anni, manda in crisi gli sforzi del ‘68, le altre nazioni industrializzate si vedono impegnate nella tutela della libertà sessuale, da coniugare con codici improntati al rispetto della femminilità. Ciò non vuol dire che solo l’Italia abbia costumi dissoluti, certo è, però, che le istituzioni e le più alte cariche dei vari Stati si sono imposti una linea di condotta non certo paragonabile alla nostra. Nel suo libro la Marzano, analizzando gli aspetti relazionali, indaga sulle altre realtà europee e scrive che “la virilità prepotente continua ad essere una specie di imperativo categorico per i nostri ragazzi” mentre le giovani sono chiamate ad “interiorizzare la sofferenza … trasformando il corpo in cassa di risonanza delle difficoltà relazionali”[2].
L’affermazione del Presidente del Consiglio, secondo il quale ci vorrebbero troppi soldati antistupro per proteggere le troppe belle donne, ne è una degna conferma. E’ sola una delle tante scherzose esternazioni del Signor B, grottesche ed ineleganti,che trasudano machismo ed impertinenza. E’ una frase sconcertante che rimanda ad una pericolosa allusione fra bellezza e violenza, proprio mentre la Santanché si fa ferma sostenitrice del fatto che le donne ben possono indossare le minigonne, senza rischiare alcun tipo di allusione o di molestia.
Una frase detta in modo sorridente e scanzonato, proprio mentre si alzano gli scudi contro il velo, colpevole di calpestare la dignità della donna. Nasce spontaneo chiedersi che cosa queste persone intendano per “dignità” e “femminilità”. Forse è femminile solo ciò che appaga il Sultano, mentre non lo è tutto ciò che non gli suscita fermenti? Ed ancora: proprio mentre si parla di merito e di valore nelle università dove gli studenti fuori corso sarebbero, secondo recenti leggi, da cacciare dalle facoltà, si candidano in posti di prestigio e di responsabilità persone che non sempre hanno la necessaria preparazione e competenza. Fa amaramente sorridere che uno statista – perché questo dovrebbe essere un primo ministro – si spenda per raccomandare giovani al “Grande Fratello” o all’”Isola dei famosi”. Ma in Italia non dobbiamo meravigliarci; “Lui” non è un uomo delle istituzioni, è piuttosto un imprenditore ( ed infatti minaccia azioni legali nei confronti dello Stato, come se lo Stato non fosse anche lui! ) impegnato a vendere la propria merce, quella che ha confezionato pian piano negli ultimi vent’anni e dalla quale ora non può e non vuole prendere le distanze.
La condizione della donna nell’era berlusconiana è ben fotografata dal documentario di Lorella Zanardo, “Il corpo delle donne”. Le donne sono merce da esporre in una delle tante vetrine televisive o meglio, per riprendere una immagine del corto, sono gambe da appendere al soffitto come prosciutti. E se nella prima repubblica circolavano bustarelle con banconote, oggi si scambiano appalti con prestazioni sessuali, e ciò che
più lascia stupiti, è che tutto ciò avvenga con il consenso dei genitori, supervisori degli affari delle loro figliuole. Perché, come dice anche Lerner3, il solo passo in avanti che si è fatto nella rappresentazione della donna, è dato dalla tecnologia, oggi in grado di scolpire corpi anonimi, ben plastificati, dove ci sono visi ma non più volti, occhi ma non più sguardi, bocche ma non più labbra. Insomma ormai lontani i tempi in cui Anna
Magnani disse al truccatore che voleva nasconderle le occhiaie che “ci aveva messo anni a farsele venire”.
I volti perfetti, quelli che “vanno bene” – vanno bene non si sa nemmeno rispetto a quale parametro e per che cosa – sono anonimi privi di vulnerabilità e di emozione, scontati ed insignificanti, gli uni sfumati negli altri senza possibilità di distinguo alcuno. Sono cioè volti che appartengono a corpi femminili e non a donne, la cui unica missione è sedurre ed ammaliare, conquistare e farsi conquistare. Non sono però i volti dell’Italia
vera: non sono i volti scavati dalla fatica delle operaie di Termini Imerese o di Pomigliano, né quelli arrabbiati delle operaie dell’Omsa, né quelli stanchi e delusi dei giovani dell’Onda o dei tanti ricercatori che se ne vanno in cerca di gratificazioni che in Italia non trovano.
Le donne italiane , sono quelle che il 13 febbraio sono scese in piazza, nelle tante nostre Piazze da Roma a Milano, da Trieste a Napoli, da Ancona a Bologna, da Firenze a Potenza. Ognuna di loro, madri, disoccupate, studentesse, precarie, nonne e nipotine, ma anche padri, fidanzati, fratelli, compagni preoccupati e intimoriti dalla mentalità del “cosifantutti”, scendono in un’unica agorà capace di guardare con speranza ed ammirazione ai fratelli albanesi ed egiziani e di mostrare fiducia verso le tante altre piazze, quelle che da Londra a Tokio, da Ottawa a Singapore sostengono ed incoraggiano il movimento italiano; movimento che parte dal basso, con spontaneità e forse anche con un pizzico di spregiudicatezza, che non vuol dire comunque mancanza di organizzazione. Ognuna di queste donne interpreta un disagio, declinato diversamente a seconda della estrazione sociale e della dimensione collettiva in cui sono inserite. Le donne napoletane hanno problematiche diverse da quelle delle casalinghe e mogli della Fincantieri di Ancona o di Genova, ma tutte convinte della
necessità di dover “insorgere” e di farlo adesso.
La consigliera regionale, Nicole Minetti, nella rubrica da lei gestita, “ Il magico mondo di Nicole” sul quotidiano on line “Affaritaliani”, fa proprio un richiamo alle giovani studentesse impegnate ogni giorno nello studio e nell’impegno universitario e chiamate quotidianamente a “giocare un ruolo non ancora definito nel mondo”. La riflessione prosegue con una presa di distanza dalle tante piazze gremite di donne, giacché la
25enne si chiede se abbia senso “urlare che le donne sono diverse se abbiamo lottato per la parità dei sessi?”
perché, dice con un po’ di sarcasmo che infondo… ”Puffetta… godeva allegramente della sua beata condizione di unica femmina del villaggio, e Biancaneve viveva addirittura con sette uomini. Invece, non ho ricordi di una principessa manifestante, e nemmeno di una fiaba che iniziasse con “C’era una volta in piazza..” Evidente come queste frasi siano una distorsione delle conquiste del ’68. Dimentica la Minetti che parità non significa per forza di cose uguaglianza di trattamento; in altri termini bisogna valutare come il “villaggio”si comporta nei confronti della Biancaneve di turno, se la considera come oggetto di appagamento, essendo pure in minoranza, come probabilmente Gargamella non esiterebbe a dire, oppure se la valuta in relazione alla sua propria specificità. Le donne non sono uguali, non possono essere trattate allo stesso modo degli uomini, se non altro perché sono anche madri, educatrici dei figli e casse di risonanza di valori e pensieri. Una specificità non da poco![4]
E mentre nella farsa quotidiana vanno in scena maschere di pirandelliana memoria, dove corpi fatti di silicone si muovono dentro tubini neri che accentuano movimenti ancheggianti e sinuosi, quali possono essere i rapporti fra i sessi se, come dice Sgarbi, in odore di futuro Ministro della Cultura(!?) “le donne vanno solo con i ricchi e i potenti”? Non si va più alla ricerca né di emozioni, né originalità, ma solo di soddisfazione ed
appagamento. Nella logica del consumismo si è da molto tempo dimenticato come il desiderio non sia possesso, ma prima di tutto rispetto; un rispetto capace di ammettere la prospettiva della complementarità e dell’alterità.
Ognuno in quanto persona ha una propria specificità che nessuno può comprare né annientare. E’questo “resto”che rimane unico e solo bagaglio d’esperienza e di personalità, che rende unici e comunque inviolabili.
Questo, più della incorruttibilità dei corpi, è ciò che sarebbe da preservare in un tempo di “regressione”[5]. In questo contesto di squallore, decadenza e di degrado, nasce spontaneo chiedersi il motivo per cui molte donne si disinteressano della loro stessa dignità. Perché qualcuna di loro dice che “un lavoro da mille euro al mese, non me lo voglio mica trovare, io!”? Ed ancora, perché accettano di “mascherarsi” con il solo scopo di piacere al maschio, che ovviamente anche lui non è più uomo? Il tutto come se la persona vivesse solo nella misura in cui possa dirsi orgogliosamente oggetto di sguardi concupiscenti e maliziosi!
Perché se ovviamente il ’68 ci insegna che non c’è nulla di male a far la velina, e che piuttosto anche questa è una delle tante espressioni del talento femminile, ad allarmare è la preoccupante mancanza di stima e di consapevolezza se per far carriera l’unica strada praticabile sia quella dell’appagamento del “drago”di turno.
Qui nessuno vuole giudicare i comportamenti delle donne, libere di disporre in modo pieno ed esclusivo del proprio corpo; si tratta piuttosto di interrogarsi su quale margine di libertà sia concesso ad una donna se per far carriera le viene proposto un unico sistema di comportamento. Nonostante a volte sia difficile credere che lo studio e il talento autentico siano ancora strade praticabili non dobbiamo cedere ai ricatti dei vari potenti; perché se le donne non cedessero alle logiche del compromesso non ci sarebbero così tante proposte indecenti.
Ancora una volta è tutta una questione di lotta di classe! Tutti gli sforzi vanno incanalati per riabilitare la nostra immagine e quella del nostro Paese perché non si scrivano più articoli come quelli del “New York Times”[6] dove si analizza la situazione italiana in termini di “ruolo decorativo delle donne” e si prosegue nel fotografare il nostro Paese come un “enorme esperimento sociale, un laboratorio politico per un regime basato
sul controllo mediatico” da considerare con attenzione, affinché questo made in Italy non venga esportato altrove. I giudizi sulla stampa estera sono a dir poco impietosi, proprio mentre nel carnevale di Dusseldorf appaiono carri carnevaleschi che mettono alla berlina il Bel Paese facendoci rimpiangere il tradizionale stereotipo dell’italiano “pasta-pizza e mandolino”.
Oggi urge riprendere da parte delle donne tutte, la consapevolezza delle proprie possibilità e del proprio ruolo all’interno della società ribellandosi alle soluzioni facili e di compromesso. La manifestazione di domenica[7] è fatto nuovo all’interno del panorama italiano, uno slancio di vitalità che da molto tempo mancava nel nostro Paese e che potrebbe essere un primo importante passo in avanti per scrollarsi di dosso un regime che ha distrutto tutte le conquiste che donne e uomini avevano ottennuto con le lotte degli anni Settanta, sia dal punto di vista economico e sociale, che sul lato dei diritti. Siamo pronte a lottare per riconquistarli tutti.

[1] Miriam Mafai, Le donne e la libertà ai tempi del Cavaliere, “La Repubblica” del 9-2-2011.
[2] Da Sii bella e sta zitta di Michela Marzano.                                                                    [3] Leggi anche Le donne e il Don Rodrigo del Duemila di Gad Lerner da “La Repubblica” del 25-4- 2009.                                                                                                [4] Vd “Affatitaliani.it – il primo quotidiano on line” rubrica Il favoloso mondo di Nicole di Nicole Minetti
[5] Per maggiori approfondimenti vd anche “La Repubblica” del 7-11-2011, Il sogno tradito delle partigiane di Liliana Cavani, p.4                                                                     [6] Da “The New York Times”, The women’s decorative role, di Chiara Volpato, 27-1-2011.
[7] Per conoscere dei diversi punti di vista sulla manifestazione del 13-2-2011 , vedi anche ll diritto e il rovescio di una mobilitazione da “Il Manifesto” del 3-2-2011

Letizia Solazzi