Il progetto della destra (e della sinistra) sull’Università – e sulla scuola – poggia su strumenti apparentemente forti e inoppugnabili quali la reintroduzione del merito e la valutazione da parte di apposite agenzie indipendenti, supportati dal rafforzamento del principio di autorità.
Per quanto riguarda il merito[1] va dato atto alla “sinistra” di avere impostato secondo parametri di “valutazione oggettiva” il problema, introducendo con Luigi Berlinguer l’aziendalizzazione delle scuole, sviluppando su questo punto una strategia convergente con la destra.
La “valutazione oggettiva” dovrebbe permettere, attraverso la concorrenza dell’offerta formativa, di selezionare il merito degli insegnanti e della scuola, come quello degli studenti sulla base del prodotto, ovvero del numero di studenti che verranno valutati come soggetti che si sono formati, che hanno ottenuto una formazione “alta”, in grado di competere con quella di altri studenti, sia sul mercato del lavoro del paese che a
livello internazionale[2]. E tuttavia l’origine della conoscenza negli studenti non è il “prodotto” di una struttura, quanto l’acquisizione da parte loro della capacità di conoscere.
Non si può “pesare” il prodotto di una scuola sottoponendo a test studenti di diverse età come si trattasse di pesare i bambini prima e dopo la poppata per vedere quanto latte ha dato la mamma, se e quanto sono aumentati di peso a causa di ciò, e tantomeno stabilire su questa base il valore dei dirigenti e degli insegnanti che hanno lavorato alla loro formazione, intesa come acquisizione e costruzione della personalità, invece che
esclusivamente come somma numerica di nozioni ingurgitate.
La valutazione dell’attività del docente e del dirigente scolastico è scientificamente pensabile come pratica che verte non tanto sul dato “oggettivo”, certamente utile per alcuni aspetti dell’attività, quanto sui principi interpretativi e sugli esiti a lungo termine del lavoro svolto, poiché rappresenta la costruzione di rappresentazioni attraverso una connessione autentica tra gli eventi, il modo e le esperienze formative, il vissuto dei destinatari dell’insegnamento, considerati sia come singoli che come appartenenti a una comunità. Gli esperti ministeriali, pervasi dal furore aziendalistico rielaborano gli strumenti di valutazione[3] al fine di esaminare la qualità, l’efficacia o l’innovatività dell’insegnamento in relazione agli obbiettivi prefissati, con la pretesa di rendere tale giudizio oggettivo per definizione.
I parametri utilizzati sono perciò quantitativi e numerici ed espungono con somma cura i contenuti del sapere e la sua efficacia in termini di formazione della personalità dello studente, di aspirazione e capacità a soddisfare le sue potenzialità ad accedere ai gradi più alti dell’istruzione a combattere le diseguaglianze sociali.
Questa attitudine viene giudicata elemento non suscettibile di valutazione “economica” e quindi ininfluente. La valutazione funziona come un potere, un potere che pretende di normare e regolamentare il sapere. Essa si spaccia per neutra e obiettiva mentre è il prodotto di una volontà particolare che cerca d’imporsi a una realtà, anche contro di essa. Pretende di essere obiettiva attraverso giudizi espressi in cifre che mascherano la
soggettività, la relatività, l’arbitrarietà dei valori posti e imposti.
Occorre ricordare che valutare è determinare il valore, presupponendo una scala di valori, distinguendo tra quelli positivi e quelli negativi. Bisogna dunque fissare innanzi tutto i parametri di riferimento: essi sono posti prima del giudizio, poiché vi presiedono, in quanto poggiano su una valutazione precedente su ciò che vale e su ciò che non vale, in rapporto al fine assegnato all’istituzione scuola che espunge da se la formazione della personalità dello studente in quanto fine economicamente non valutabile. Ne risulta una gerarchia dei valori imposta, un atto di volontà e dunque di potere. Ritorna così il principio di autorità sotto forma di autoritarismo.[4]
Ma non basta. Occorre mascherare il carattere soggettivo e relativo dei valori posti in un momento dato, trasformando ogni determinazione qualitativa in determinazione quantitativa, attraverso la generalizzazione di conteggi allo scopo di giustificare una classificazione, una gerarchia di parametri tutt’altro che oggettivi come l’efficienza, la prestazione o l’innovazione, attingendo a modelli tipici dell’impresa privata. Occorre ricordare che la valutazione è sempre soggettiva e relativa e cerca di nascondersi dietro una sorta di “matematica dozzinale”.
Si comprende così la ragione della generalizzazione di dati numerici, utilizzati per dare una patina di obiettività a ciò che spesso dipende da un atto di potere. Tale è la ragione dell’uso degli indicatori numerici che sono divenuti, ad esempio, nell’ambito della ricerca scientifica, il “numero totale delle citazioni”, il “numero di citazioni per articolo”, il “fattore d’impatto massimo della disciplina”, ecc.[5]. E’ il trionfo del linguaggio stesso della visione manageriale, applicato a un mondo che ha poco a che vedere con quello dell’impresa privata, perché la libertà d’iniziativa, la libertà della ricerca e la libertà di spirito gli sono connaturati.
La valutazione è lo strumento di questa visione manageriale. Essa intende amministrare, burocratizzare, normalizzare il dettaglio delle attività e delle pratiche di cultura, sottomettendole prevalentemente a criteri di efficienza produttivistica o industriale. Dietro la falsa obiettività delle cifre non c’è che conformismo, sottomissione all’ordine qualunque esso sia, alle scelte momentanee del potere. La valutazione così intesa non si coniuga con la trasparenza, in quanto deve essere coperta la ragione dei valori posti e imposti come se fossero sottintesi. Se la volontà che li pone diventasse visibile, l’arbitrarietà apparirebbe allo scoperto; si ricorre allora al valutatore anonimo con lo scopo dichiarato di proteggerne l’obiettività[6].
Una volta utilizzati questi parametri la correzione attraverso un riesame dell’efficacia dell’attività formativa diviene impossibile, perché inutile per definizione. Scompare così la funzione della scuola e dell’Università come luogo di formazione dell’individuo, come comunità nella quale si forma la sua personalità, come formazione sociale nella quale dovrebbe svilupparsi e crescere la rimozione di quegli ostacoli di carattere economico e sociale che producono la diseguaglianza.
L’intero documento da cui è tratto questo brano dal titolo La destra e la sinistra contro la scuola pubblica in Italia comparirà sul sito dell’ UCAD’I in preparazione. Chi fosse interessato può richiederlo scrivendo a: crescitapolitica@ucadi.org
[1] D. Checchi, A. Ichino, G. Vittadini, Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici, Proposta preparata per l’INVALSI da 4 dicembre 2008.
[2] Ibidem
[3] Su questi aspetti si veda il dossier L’idéologie de l’évaluation, “Cités”, n. 37, 2009/1 [4] Per una critica radicale a questa impostazione L. Russo, Segmenti e bastoncini, Milano, Feltrinelli, 1988, passim
[5] M. Blay, L’évaluation par indicateurs dans la vie scientifique : choix politique et fin de la connaissanc., “Cités”, n. 37, 2009/1, 15-25
[6] Y. C. Zarka, L’evaluation: un pouvoir supposé savoir, “Cités”,n. 37, 2009/1, 113-123.
Crescita Politica
Giovanni Cimbalo