Istruzione al macero

Da oltre venti anni, indipendentemente dalla maggioranza di governo in esercizio, la scuola italiana è stata sottoposta ad un continuo intervento distruttore. L’ultimo intervento positivo sul mondo dell’istruzione è stato quello dei nuovi programmi della scuola elementare (ora scuola primaria) del 1985, coronato con la legge n° 148 del 5 giugno 1990. Da quel momento in poi il mondo della formazione ha sempre più frequentemente perso le caratteristiche di un investimento per il futuro della società, per assumere la veste di una fonte di risparmio Si è cominciato con la riforma degli Istituti Professionali: il “Progetto 92”. Il presupposto teorico era che l’evoluzione delle moderne prestazioni lavorative esigeva lavoratori con una maggiore cultura di base e più flessibili; come sempre avverrà in seguito, un’operazione di altra natura veniva coperta con una ragionamento apparentemente condivisibile. All’epoca l’Istruzione Professionale non prevedeva ormai da un lustro un’intensa attività pratica a tutto scapito dell’apprendimento culturale generale, ma, al contrario, a metà degli anni ottanta, epoca ancora di investimenti nella scuola, erano stati introdotte nuove specializzazioni molto articolate e complete di una formazione scientifica di base; avevano un unico difetto: costavano troppo!
Il vero declino generale ha inizio però a metà dell’ultimo decennio del secolo. Mentre partiva il primo tentativo, poi abortito, di riforma complessiva del segmento terminale dell’istruzione media (senza essere più intervenuti in quello intermedio, fermo alla riforma del 1962), prendeva avvio il “dimensionamento” delle unità scolastiche. Obiettivo dichiarato: la razionalizzazione della rete scolastica in vista dell’introduzione
dell’autonomia delle istituzioni. Tutti e due i corni del problema producevano risparmi, per la verità non molto consistenti. La riduzione del numero delle sedi scolastiche produceva una riduzione dei presidi e dei segretari amministrativi, mentre l’introduzione dell’autonomia significava scaricare sulle singole scuole compiti un tempo espletati dall’amministrazione nelle sue sedi periferiche provinciali; ovviamente a parità di organici nelle segreterie e riduzione degli apparati dei provveditorati.
Il vero risparmio si verificava, però, con il progressivo aumento del numero di alunni per classe, in barba al lavoro di cura sui singoli allievi (tuttora, con oltre trenta alunni per classe, si ciancia di percorsi didattici personalizzati) e in totale dispregio delle norme di sicurezza. Un’ulteriore accelerazione si aveva nei primi anni del nuovo millennio. Fino ad allora le scuole (soprattutto superiori) avevano usufruito di un “contributo straordinario” del Ministero finalizzato all’ammodernamento degli strumenti didattici: aule linguistiche, laboratori, informatizzazione, etc. Il governo delle tre “i” (tra le quali, giova ricordarlo, figurava l’informatica) toglieva del tutto in un colpo solo questo contributo.
Restava il “contributo ordinario”, ovverosia le risorse finanziarie che permettono alle scuole (tutte) di acquistare quanto necessario al loro funzionamento: dalla carta e la cancelleria, ai programmi informatici per gestire alunni e personale, dal materiale informativo ai registri, dalle schede degli alunni alle spese postali. Il Ministro Moratti ha iniziato a ridurlo progressivamente, seguita dal Ministri Fioroni; il neo-Ministro Gelmini
l’ha azzerato del tutto.
Per farla breve da anni, molti anni, non c’è manovra finanziaria del Governo (qualsiasi Governo) che non tagli le spese per l’istruzione. E poi ci si stupisce (meglio, si fa finta di stupirsi) che l’interno ammontare delle risorse del Ministero sia destinato alle spese per gli stipendi dei lavoratori. Il messaggio subliminale è che per essi si spende troppo, ma la realtà è che tutte le altre spese sono state tagliate, con il risultato che i docenti italiani sono quelli pagati peggio d’Europa e che l’Italia è il paese al penultimo posto nell’OCSE per le risorse impegnate per l’istruzione in rapporto al PIL.
Ma non è solo il fronte finanziario ad essere stato posto sotto attacco. Anche quello didattico e degli ordinamenti ha conosciuto un’analoga progressiva devastazione. Già si è accennato al “Progetto 92” per gli Istituti Professionali, con il quale veniva introdotto un biennio “simil-Brocca”, inserendo materie di “cultura generale” omogenee ad un modello concepito per i licei a tutto scapito delle materie di indirizzo, quelle per le
quali gli studenti sceglievano quel canale formativo. Ma questo colpiva un settore e non l’insieme dell’istruzione pubblica.
Alla metà degli anni novanta è venuta in auge, auspice il Ministro Berlinguer, la scuola pedagogica della terza Università di Roma, in particolare gli ineffabili Vertecchi e Domenici. Sotto le loro ali prende corpo un tentativo di riforma della scuola secondaria superiore, abortito è vero, ma che ha lasciato dei residui tossici a lento rilascio. Il primo, quello della “valutazione oggettiva”, un ossimoro analizzato in altro articolo di questo
numero. Resta da aggiungere che questa impostazione metteva velatamente, ma neppure tanto, sotto accusa la professionalità dei docenti.
Il punto più lacerante e foriero di conseguenze, però, è un altro: l’assunto di partenza. La considerazione, cioè, che il sistema scolastico italiano fosse tutto da buttare. La scuola superiore del paese necessitava (e necessita) di ampi interventi migliorativi, ma per farli occorre analizzare punti deboli e punti di forza (come si dice nel gergo della qualità). Porre come presupposto la totale inadeguatezza non solo era sbagliato, perché essa continuava ad essere una delle migliori al mondo (come prova la quantità di cervelli esportati in altri paesi avanzati), ma era anche miope, perché non permetteva di cogliere i dati peculiari del nostro sistema formativo.
Ed è per quest’ultima ragione che si andò alla ricerca di un sistema alternativo che fungesse da modello di riferimento. “Ironia” della sorte la scelta cadde sulla scuola anglosassone, quella peggiore esistente sul mercato della formazione.
Il tentativo fallì, inciampando su di un ostacolo minore ed estraneo alla didattica, ma da allora la convinzione che fosse tutto da rifare non ha abbandonato il legislatore che si è cimentato su varie opzioni nel corso delle legislature. Nel frattempo la continua riduzione delle risorse finanziarie e degli organici ha cominciato a produrre i propri effetti deleteri ed a distanza di un decennio e poco più si iniziano a vedere le
conseguenze inevitabili del depauperamento.
Ormai è vero che i diplomati in Italia non sono più del livello conosciuto solo tre lustri or sono. Con buona pace degli intellettuali revisionisti e dei Ministri improbabili la colpa non risiede nell’influsso malefico dell’”egualitarismo sessantottesco”, ma nella distruzione sistematica del tessuto cooperativo della classe docente, sempre meno motivati dagli stipendi tra i più bassi dei paesi dell’OCSE.
In questo quadro di per sé poco allegro ha fatto irruzione due anni fa la coppia Tremonti-Gelmini. Ogni processo già avviato ha subito un’accelerazione vertiginosa ed in due anni sono stati distrutti gli ultimi residui simulacri di efficienza del sistema formativo italiano, in nome di un dissennato risparmio. In questo breve lasso di tempo sono stati azzerati i contributi ordinari alle Istituzioni Scolastiche, cioè quei soldi che servivano al loro normale funzionamento quotidiano, con il risultato che nelle scuole di base i genitori sono chiamati a sopperire comprando carta, cancelleria, carta igienica,  etc.; facendo leva su di un assunto pedagogico inesistente, il maestro unico, è stato modificato pesantemente e negativamente l’unico settore dell’istruzione italiana
riconosciuto di valore a livello internazionale, la scuola primaria, con un attacco mortale al tempo pieno, con la conseguenza che la permanenza a scuola dei bambini è tornata ad essere un doposcuola affidato a cooperativa finanziati dai genitori; e quest’anno, sistemata la scuola di base, la stessa cura è toccata alla scuola superiore.
Primo paravento: la scuola secondaria è troppo vecchia e da anni, decenni si cerca di modernizzarla. È vero ma questa, come detto da più parti, non è una riforma, ma un taglio camuffato, che investe Istituti Tecnici ed Istituti Professionali (di questi ultimi si prospetta la cancellazione), mentre i licei vengono rafforzati.
Secondo paravento: i nostri studenti passano troppo tempo sui banchi di scuola.
Falso, gli studenti italiani facevano 601 ore di lezione l’anno contro una media OCSE di 703 ore; così ora staranno meno sui banchi e più tempo ai videogiochi, visto che la fascia sociale che frequenta questi Istituti non è certo quella più benestante, che gode di spazi idonei allo studio ed alla gestione del tempo libero, biblioteche casalinghe ben fornite, supporti di adulti per l’istruzione. Terzo paravento: il sistema scolastico era troppo costoso. Falso, l’Italia spende per ogni studente della scuola secondaria di secondo grado 312 dollari in meno della media OCSE.
È così che sono state ridotte le ore complessive di insegnamento, ovviamente a scapito delle ora di laboratorio fondamentali per l’Istruzione Tecnica e per l’Istruzione Professionale (ma nei documenti si continua ad affermare la centralità della “didattica laboratoriale”), ma già tanto per attrezzare nuovi laboratori e più moderni non ci sono i soldi. Così il Governo delle tre “I”, riduce il peso dell’Informatica e quello dell’Inglese,
mentre la scuola deve farsi Impresa (ma come?) per reperire le risorse che le sono necessarie per sopravvivere.
Si sono ridotte le specializzazioni, come se il lavoro modernizzandosi, necessitasse di un minor numero di professionalità. Si sono introdotte materie estranee ai profili professionali, riducendo le materie più attinenti alle specializzazioni. Si sono abolite le qualifiche professionali triennali negli Istituti Professionali (qualifiche riconosciute a livello europee), togliendo quel traguardo intermedio che invogliava allo studio alunni
tendenzialmente soggetti a dispersione scolastica. E via dicendo. Un disastro.
Ma c’è un’ultima notazione che merita di essere fatta. La fretta di ascrivere a bilancio i risparmi previsti ha, come sempre, partorito gattini ciechi. Mai, da anni, gli organici della scuola si completavano dopo quasi un mese dall’inizio delle lezioni, come sta succedendo. Mai prima d’ora si era aperto un conflitto tra il Ministero e il Consiglio di Stato sulla determinazione degli organici: quest’ultimo ha intimato il 30 settembre di rivedere le piante organiche ed il Ministero si rifiuta perché l’intero sistema entrerebbe nel marasma totale. Mai una modifica del sistema dell’istruzione è stata avviata con minore informazione di docenti, studenti e famiglie, come è successo ora. Per di più tutta l’operazione è partita in modo illegittimo anticipando le operazioni a molto prima che i regolamenti venissero pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e fossero quindi Legge dello Stato.
Ma, si sa, ormai le regole valgono solo per i fessi.

Saverio Craparo