OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n. 35, marzo 2017

Produzione – Gran fiato alle trombe per il dato fornito dall’ISTAT per l’andamento della
produzione e degli ordinativi in Italia per il mese di dicembre 2016: un balzo senza precedenti che non si registrava da anni. Il dato era del tutto anomalo e privo di qualsiasi ragionevole giustificazione nell’andamento reale della congiuntura, uno scarto statistico che andava approfondito prima di divulgarlo. Il mese di gennaio ha riportato tutti a rifarsi un bagno di realtà, riproponendo un andamento tutt’altro che felice per l’economia nazionale, sia in termini di produzione che di ordinativi. La strana fiammata è però servita a ritoccare al rialzo il miglioramento del PIL, portandolo alla soglia del fatidico 1% di aumento su quello del 2015.
Nucleare – Per lunghi anni i cantori italiani dell’energia elettrica da nucleare hanno additato l’esempio della Francia quale esempio virtuoso da seguire. La scelta francese di perseguire il tutto nucleare ha portato quel paese ed il suo ente elettrico, EDF (Électricité de France), ad enormi investimenti nel settore con rimarchevoli risultati. Quel paese produce il 78% della propria energia elettrica dalla fonte nucleare, mentre il Giappone, altra nazione con forte vocazione nuclearista, ne produce solo il 25% (ANGELO BARACCA, L’Italia torna al nucleare?, Jaca Book, Milano 2008, p. 63). Nel tempo la Francia ha acquisito un know how proprio che ne ha fatto il paese più avanzato nel nucleare civile: progettazione di un impianto per l’arricchimento
dell’uranio (Eurodif), realizzazione del reattore veloce più potente del mondo (Super-Phénix) e realizzazione di una propria filiera di reattori da vendere all’estero (EPR, European Pressurized Reactor). Cosa è successo a questi faraonici progetti? Cominciamo dall’ultimo. Il primo EPR commissionato alla Francia con Siemens Ag tedesca è stato comprato dalla Finlandia; la sua costruzione è iniziata nel 2005 e doveva concludersi in cinque anni, con un costo di 3,2 mld di €; in realtà forse sarà terminato l’anno prossimo (13 anni) ed il costo ad ora è lievitato del 66% (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_nucleare_di_Olkiluoto); tutto ciò non è certo incoraggiante in un mondo in cui la richiesta di reattori nucleari è in continua decrescita, se si esclude la Cina.
Per quanto concerne il progetto pilota degli anni settanta del secolo scorso, il reattore veloce più potente mai costruito, il Super-Phénix di 1200MWe situato a Creys-Malville, richiese 17 anni per la sua costruzione, è stato chiuso nel 1997: nel corso del suo esercizio il reattore ha prodotto elettricità per solo due anni, per il tempo restante o è stato scollegato dalla rete per raggiungere il livello ottimale di esercizio, o è stato chiuso per problemi amministrativi o, molto spesso, è rimasto fermo per guasti tecnici legati al sodio liquido che fungeva da scambiatore di calore, sodio che esplode al contatto con l’acqua, si incendia a contatto con l’aria e, divenendo radioattivo, corrode rendendole porose le tubature; nel complesso il reattore simbolo del successo nucleare francese ha prodotto energia elettrica per un totale di circa 2 mld di franchi e ne è costato 60
(https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_elettronucleare_Super-Ph%C3%A9nix). Eurodif (European Gaseous Diffusion Uranium Enrichment Consortium) fornisce l’uranio opportunamente arricchito per l’utilizzo nei reattori nucleari ad acqua leggera; l’impianto è in funzione dal 1979, ma quello che ci interessa è che nell’azionariato è presente anche ENEL, come pure ENEL ha partecipato per il 33% al progetto Super-Phénix; per anni coloro che hanno propugnato il ritorno al nucleare dell’Italia, Chicco Testa in
testa, ci hanno raccontato che i reattori erano tanto necessari che, invero, il nostro paese era costretto ad importare energia dalla Francia, tanto tecnologicamente avanzata. In realtà l’energia elettrica che la Francia forniva era la contropartita alle compartecipazioni, per altro assai dispendiose ai progetti Super-Phénix e Eurodif. Ma qual è l’ultima novità? La notizia è la seguente (JACOPO GILIBERTO, Rischio Francia sulle bollette, in Il Sole 24 ore, a. 152, n° 321, 22 novembre 2016, p. 20): “Molte centrali nucleari francesi sono spente per guai tecnici davvero seri. Così in Francia la corrente elettrica scarseggia. Quindi la Francia deve importare elettricità dai paesi vicini”, compresa l’Italia. Nessun commento necessita.
Brexit – Dal 23 giugno 2016, data del referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, la sterlina si è svalutata di circa il 25% (Il Sole 24 ore, a. 153, n° 69, 15 marzo 2017, p. 1). Nel 2014 la bilancia commerciale del Regno Unito ha conosciuto un deficit di 174.305,00 € ed essa è perennemente in rosso. Per un paese esportatore il ribasso della moneta è un vantaggio, ma non lo è di certo per un paese importatore. Per di più la Gran Bretagna è un paese che basa la propria prosperità sull’attività finanziaria ed una sterlina debole non attira i capitali per cui l’unica via d’uscita è una drastica riduzione dell’imposizione fiscale che ridurrebbe l’isola ad
essere un paradiso fiscale (quella recente dell’Italia sulla flat tax per i capitali esteri in entrata pare una contromossa preventiva). Si aggiunga l’annuncio del nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia, con la conseguente perdita del controllo dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord, ed è facile rendersi conto delle difficoltà in cui si dibatte la May.

chiuso il 19 marzo 2017
saverio