Sballottati

Ora è ufficiale! La batosta subita dal provincialotto supponente ed egocentrico è veramente di quelle che lasciano il segno. Il PD mai è andato così male. La vittoria di Sala a Milano è una magra consolazione, perché il distacco dal candidato di centro-destra, Parisi, è rimasto intorno a qualche migliaia di voti e perché si è tirato dietro una parte della sinistra, reduce dall’amministrazione Pisapia; un modello di alleanze da sempre avversato dall’azzoppato di Pontassieve.
Vale la pena di ricordare che lo sbandierato successo al primo turno di Cagliari è anch’esso ascrivibile a un’alleanza con la sinistra, di cui Zedda fa parte. Ma è bene per l’immagine del risultato elettorale attaccarsi a quel parziale successo ambrosiano (aver mantenuto un comune vinto cinque anni fa con ben altri margini da Pisapia), perché i candidati ultrarenziani di Roma (Giachetti) e di Napoli (Valente) hanno ottenuto risultati deprimenti, oltre ogni più funesta aspettativa.
Ma i dolori del giovane premier-segretario non finiscono qui; e neppure nella sconfitta di Torino, bruciante in quanto del tutto inattesa solo due settimane fa. È vero che il Comune di Bologna è rimasto ad un Sindaco del PD, che si è distinto per aver ignorato un referendum che aveva chiesto di interrompere i finanziamenti della scuola privata e aver gestito la città nel modo peggiore possibile. Costui, per raccattare voti a sinistra si è recato in CGIL a firmare pubblicamente il referendum contro il Jobs Act, ha “scoperto all’improviso” il disagio del quartiere della Bolognina, ma sopratutto ha potuto beneficiare di un’avversaria leghista al ballottaggio, risultata vincente di poche migliaia di voti rispetto a un candidato cinquestelle impresentabile e perciò ce l’ha fatta di misura. I risultati di Trieste e di Pordenone che hanno cambiato colore a favore del centro-destra, sono scomparsi dai commenti per coprire una vice segretaria del partito arrogante quanto lui che gestisce in modo disastroso la regione Friuli Venezia Giulia quanto il partito e che, orribilmente, appare ogni volta che c’è bisogno di rendere manifesta la spocchia degli ex rottamatori che hanno occupato il potere.
Pochi i comuni capoluogo conquistati al centro-destra, cioè due: Caserta, la cui giunta è stata sciolta un anno fa per collusioni camorristiche, e Varese, precedentemente governata dalla Lega Nord (sul centro-destra e sulla Lega sarà bene tornare). Sempre tra i capoluoghi è rimasto al PD il Comune di Rimini al primo turno e di Ravenna al secondo, per poche incollature, dopo che la visita congiunta del premier e della Boschi avevano notevolmente innalzato le quotazioni dell’opposizione, portando la città al ballottaggio. Le “buone notizie” finiscono qui. Di converso sono stati persi i seguenti capoluoghi: Benevento, Brindisi, Grosseto, Novara, Olbia, Savona (persi a favore del centro-destra), Crotone (a favore di una lista civica) e Carbonia (a favore dei cinque stelle).
Un’autentica beffa è giunta da un comune toscano vicino a Firenze: Sesto Fiorentino. Breve storia. Due anni fa Renzi aveva imposto senza primarie, la sua candidata, Sara Biagiotti, già suo assessore al Comune di Firenze. Dopo un anno la neoeletta è stata posta in minoranza da una parte del PD, con conseguente caduta della giunta. Voleva semplicemente imporre la costruzione di un inceneritore e prolungare la pista del vicino aeroporto per ingrassare alcuni componenti del “giglio tragico” e irrorare con i fiumi di scarico degli aerei la popolazione. In questa tornata il candidato del PD è stato sbaragliato da un candidato di Sinistra Italiana. Da notare che per tradizione a governare la città è stato il Partito Socialista prima e poi quello Comunista, poi PDS, poi DS e poi PD, ininterrottamente dal 1899; sì, proprio da 117 anni!
Se il giglio tragico piange, anche se come solito fa la faccia feroce minacciando epurazioni (sarà interessante vedere i prossimi dislocamenti interni di coloro che frettolosamente hanno abbracciato il carro del presunto vincente), il centro-destra non ha di che consolarsi. Milano dimostra che non è così scontato che unito possa vincere. Soprattutto è la Lega Nord che segna una battuta di arresto nella sua presunta ascesa. Così, con Salvini che non sfonda, Berlusconi in un mesto declino politico e personale, con Parisi non in grado di prendere lo scettro, con Meloni confinata nel Lazio, con i rampolli di Forza Italia cannibalizzati (Alfano, Fitto, Fini) e quelli senza spessore (Brunetta, Romani, Gelmini, Carfagna), lo schieramento è in cerca di una leadership credibile e spendibile. Avere vinto a Cosenza grazie al disastro di un PD sostenuto da Verdini e da Ala e dalle cosche mafiose politiche locali non costituisce certo un merito, ma dimostra che il caso di Napoli non è isolato e che l’appoggio verdiniano è mortale.
Il successo del Movimento 5 Stelle è innegabile ed è dovuto ad un’attenta strategia che ha puntato a quelle situazioni locali dove essi avevano candidati credibili e precisi obiettivi strategici. A Roma porre fine al malaffare, ma anche all’intreccio tra palazzinari, speculazioni immobiliari (il business delle Olimpiadi), la gestione delle partecipate, a cominciare dall’acqua e chi più ne ha ne metta. A Torino recidere i legami dell’asse tra i resti della Fiat e la vecchia nomenclatura PD, ben rappresentati dalla gestione della compagnia di San Paolo, che a sua volta controlla Banca Intesa, con l’obiettivo di mettere fine a quella gigantesca manipolazione della storia della città, riscrivendola e cancellando non solo le sofferenze delle periferie, ma anche il ricordo delle lotte operaie in modo che la popolazione giovanile con la disoccupazione al 40% non trovasse punti di riferimento per ricominciare a lottare. Da qui l’alleanza anche con le componenti di classe presenti sul territorio e i legami con la lotta dei No TAV.
Non c’è dubbio che la situazione che si è creata apre per le prossime elezioni politiche uno scenario da incubo per le forze politiche tradizionali, uno scenario ampiamente anticipato dai sondaggi, ma ora suffragato dai risultati delle amministrative: permanendo l’attuale legge elettorale (la cosiddetta “Italicum”) fortemente voluta dall’attuale sconfitto, al ballottaggio il PD non avrà possibilità di vincere e tanto meno le avrà il centro- destra, anche se unito in tutte le sue schegge. Se i cinquestelle arrivano al ballottaggio sono in grado di attrarre tutti i voti contro e creare la massa critica necessaria per sconfiggere il PD. Ne discende che la velocità imposta dal rignanese, all’insegna del fare senza alcuno spazio per la meditazione, per la mediazione (che è l’arte della politica), senza alcuna strategia di lungo periodo (che è la qualità dello statista), ha partorito una trappola mortale per chi l’ha progettata. Forte del 40,8% alle elezioni europee del 2014, convinto che quel margine non fosse erodibile, ha costruito un sistema che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto assicurare al vincitore (cioè “lui”) un dominio assoluto e incontrastato per lungo tempo. E ha perso.
Ma il baldo rignanese non demorde e si comporta come faceva da ragazzo quando giocava a pallone con i cuginetti: quando vede che perde porta via il pallone dicendo che è suo. Perciò scopre che la vittoria dei cinquestelle è frutto della voglia di cambiamento, esattamente quella voglia di cambiamento che lui vuole esprimere e rendere manifesta con l’approvazione delle riforme costituzionali. Perciò sul cambiamento lui, la sola persona della quale si può fidare, mette la faccia e punta al si al referendum, sicuro di poter vincere o comunque di poter giocare senza che comprimari e comprimarie inadeguati compromettano il suo successo: il delirio del dittatore, insomma, sicuro della sua insostituibilità.
Sfugge al bullo di Rignano e al gruppo dirigente (per la verità questa una considerazione è sempre sfuggita ai gruppi dirigenti del partitone) che quando si scrivono le regole, non le si devono scrivere nella prospettiva di una propria sempiterna vittoria per poter prevaricare le minoranze che emergono dalle elezioni, ma in funzione di garantire proprio quelle minoranze, nell’eventualità che divenissero loro i perdenti. Non dovrebbero, cioè, puntare a massacrare gli avversari in caso di propria vittoria, ma al contrario dovrebbero avere come obbiettivo quello di garantirsi di non essere massacrati in caso di sconfitta. Ma forse è vera utopia attribuire pensieri tanto profondi ai giovanotti ed alle giovincelle balzati dal nulla al potere in pochi istanti, senza essere eletti e grazie alle deficienze di un gruppo dirigente preesistente, alla cui formazione politica per anni non è stata dedicata alcuna attenzione e che è franato al primo urto di uno slogan privo di contenuto politico: la “rottamazione”.
Si credono eterni salvo poi svegliarsi all’improvviso inutili e perniciosi!

Saverio Craparo