Albertazzi e la cattiva coscienza (di classe)

Molti compagni, leggendo questo articolo, sono sicuro, storceranno il naso. Qualcuno maledirà l’autore, altri diranno che sono diventato un fascista, un opportunista e finanche un bordighista (per quei 2 o 3 che sanno ancora chi fosse Bordiga).
Ebbene, allora voglio iniziare in medias res, senza dare alibi alle fandonie.
Albertazzi era fascista, per di più operante nella RSI e fucilatore di partigiani. E, udite, udite, non si era neppure pentito.
Su questi dati, conosciuti da decenni, si è accesa sui social network una discussione che ha coinvolto molti compagni, antifascisti, tutti in buona fede, su una questione che a me pare una cartina al tornasole dell’eterno meccanismo del drappo rosso.
I l drappo rosso, come si sa, è quello che viene sventolato davanti al toro durante la corrida per farlo innervosire. Il Toro carica il drappo e non si cura del bandolero che lo trafigge.
Insegue un nemico immaginario mentre quello vero lo ammazza.
Albertazzi era un fascista, dunque, per di più non pentito (1). Era fascista Repubblicano (e non repubblichino. Termine che non ho mai amato. I nemici si combattono, non si disprezzano, perché il disprezzo è l’altra faccia della nostra impotenza). Come lo erano Dario Fo, Ugo Tognazzi e come lo sono stati moltissimi che nel dopoguerra si orientarono verso lidi, in apparenza, molto diversi. Era fascista così come lo era stata una larghissima parte del popolo italiano.
Vorrei ricordare, ad esempio, la figura di Nicola Bombacci, tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, fucilato dai partigiani a Dongo, assieme a Mussolini. Traditore? Rinnegato? Possiamo usare tutte le parole che vogliamo, ma non possiamo cambiare il passato e non possiamo dimenticare che, a volerla davvero srotolare, la matassa appare davvero complicata e maledettamente intrecciata.
Ecco, ad esempio, ragionare seriamente sul fatto che un regime come quello fascista sia durato venti anni.
E ne sarebbe durati altrettanti se avesse avuto capacità mediatorie reali in politica estera. Ricordo che il regime franchista, regime puramente reazionario-clericale, senza nessuna capacità politica e senza nessuna presenza di un partito come quello fascista (il partito franchista aveva ben poche somiglianze con quello fascista e, in pratica, nessun peso), perdurò fino al 1976, grazie alla capacità di Franco (politico assai mediocre, molte spanne sotto Mussolini) di orientarsi nel mutato clima della guerra fredda.
Ecco, dicevo. Un regime come quello fascista ebbe vita lunga e questo fu possibile NON SOLO attraverso la persecuzione o la repressione, ma attraverso una opera di propaganda efficace, una politica, a parole, diretta verso la società.
Insomma, al di là e oltre le facili ironie o le complesse situazioni che un regime come quello fascista pongono in merito alla cosiddetta “opinione pubblica”,(2) negare che il fascismo abbia avuto qualcosa che assomiglia perlomeno ad un gradimento di massa a me pare negare una evidenza al di fuori di ogni ragionevole dubbio.
Questo sentimento coinvolse una fetta ampia della popolazione e non solo le classi che sostennero l’ascesa del fascismo.
E’ evidente, quindi, che indicare l’area dove attecchì il fascismo come molto più ampia di quanto, nella vulgata “del popolo italiano sottomesso”, si sia affermato farebbe crollare un vero e proprio mito interclassista: ovvero l’antifascismo.
Perché se noi non ricollochiamo il fascismo all’interno del contesto dello scontro di classe post-prima guerra mondiale e, a quello ben più ampio, dello scontro inter-imperialistico USA -GB- EUROPA, il fascismo diventa un fenomeno incomprensibile, riempito di tutto quel ciarpame appiccicato dalla stampa post- seconda guerra mondiale (Mussolini pazzo, Hitler psicopatico, gerarchi bravi padri di famiglia etc…etc..).
E invece il fascismo fu affare ben più serio che della mera reazione delle classi dirigenti, e anche più complesso di una semplice negazione della “libertà”.
Libertà che ormai siamo abituati a declinare nel concetto più che anglosassone, prettamente americano.
La libertà della “coca-cola” direbbe Giorgio Gaber (3).
Ma per la massa contadina ed operaia, quella parola aveva un significato che forse noi non riusciamo, oggi, neppure a capire.
E spesso quella libertà aveva da comprendere anche la pura sopravvivenza. Certamente era una libertà collettiva non quella di essere liberi di consumare o assumere quei comportamenti tipici delle società a capitalismo avanzato dove la distruzione delle tradizioni è parte integrante del mettere a profitto qualunque spazio possibile (sussunzione dell’esistente).
Questa è quella che chiamiamo libertà, oggi.
Dunque, il fascismo, fu una risposta complessa, nello stesso tempo all’imperialismo USA che ormai, dopo la prima guerra mondiale, trionfava con livelli di vita (in termini di consumi individuali) a distanze siderali dal resto dell’Europa (4), al colonialismo maturo (imperialismo) britannico e alla necessità di contenere il naturale espansionismo tedesco (che, in genere, preferiva rivolgersi verso est).
Ovviamente la terza via fascista era una illusoria propagandistica (e inesistente) scelta economica. In realtà le strutture economiche portanti non furono intaccate e la “libera” impresa idem. In questo, però, il nazionalsocialismo fu assai più radicale andando a trasformare l’economia tedesca rafforzando enormemente i trust ma anche mettendosi esso stesso “in attività” (vedi ad esempio le Reichswerke Hermann Göring) (5).
Tuttavia, quando si afferma che questa posizione fascista fosse tutta “propaganda” si afferma una banalità. Tutti i governi fanno propaganda. E che un governo sia o meno installato al suo posto con le elezioni o con un colpo di stato, ma anche con la rivoluzione, esso mente, ingigantisce, cerca di convincere, plasma, e via dicendo. Sempre e comunque. Necessariamente.
Certo, la propaganda dei paesi democratici è diversa, più complessa e sottile. Insinuante. Lascia spazio ad apparenti prese di posizioni libere ed anticonformiste. Certamente è soggetta a maggiori controlli “liberi” (sempre meno, malgrado l’esponenziale aumento dei mezzi di comunicazione di massa).
Non voglio affermare che sia la stessa cosa. Ma riflettere sul compiacimento che troppo spesso appare sulla bocca di tanti nostri contemporanei. Convinti di vivere nel migliore di mondi possibili.
Dicevo, questa illusoria terza via era una risposta alla crisi epocale data dalla prima guerra mondiale e da quella vera e propria ecatombe di proletari, che mise il segno fine alle politiche liberiste di fine ottocento.
Da quel grumo di caos, speranze rivoluzionarie, reazioni violentissime, occupazioni, alla fine vi fu la presa di potere (semilegale) del fascismo con la sconfitta drammatica della classe operaia.
Ma quel regime non poteva fare più a meno delle masse, della partecipazione, seppure passiva, della popolazione italiana.
Non era e non fu un regime meramente reazionario. Ma fu coscientemente antiliberale.
E’ curioso che il fascismo venga additato, oggi (6), non per la distruzione della classe operaia, dei sindacati, ma per le guerre coloniali, per la dichiarazione di guerra alla Francia etc.. Come se, nello stesso periodo di tempo, in questi campi, veri e propri regimi criminali come quello inglese non facessero altrettanto o molto peggio o come se le guerre intereuropee siano state una novità nel millennio passato.
Certo il fascismo arrivò tardi, quando il colonialismo militare stava lasciando il posto a nuove e meno costose modalità (e assai più redditizie) e la sua era una visione ottocentesca del dominio coloniale.
Ritorno quindi a quanto dicevo prima: fu vero consenso? Per quanto io possa aver capito da quello che in 30 anni ho letto, questo fatto è difficile da accertare, (7) ma è anche vero che sia difficile da negare, al netto del significato della parola “consenso”, che una fetta della popolazione italiana acconsentì o fu ampiamente favorevole, in un clima politico e culturale completamente diverso da quello di oggi, al fascismo.
Del resto, vorrei sapere, nell’Europa e Italia attuale, quanta parte della popolazione non risulti spesso completamente acritica di fronte al fiume di informazioni che gli arriva da un sistema ormai completamente in mano a grandi concentrazioni finanziarie. (8)
A fronte dei mezzi dispiegati nel mondo odierno, i fascismi novecenteschi sembrano quello che sono.
Ovvero fenomeni storici.
Venendo quindi al nocciolo della questione, voglio precisare che il sottoscritto non è diventato fascista e che, se fosse stato per me, gli Albertazzi, ma anche tutti gli altri, avrebbero meritato, al tempo cui lo meritavano, pene ben più severe che quella appioppate dalla cosiddetta “amnistia Togliatti” (la quale, ad onor del vero, era stata pensata per altri motivi). Ma, appunto, questo sarebbe dovuto accadere al tempo in cui doveva. Il passato non si cambia e personalmente non ho mai amato la “storiografia del rancore” la quale spesso non è altro che la dichiarazione di una distruttiva impotenza.
Il discorso del “ Che” all’Onu rimane, per chi scrive, quello che dovrebbe essere l’agire di un rivoluzionario, senza problemi di compassione o lacrime di coccodrillo,(9) tutto il resto sono le lacrime senza senso sulla fucilazione, ad esempio, del “povero” Giovanni Gentile o l’esecrazione per il linciaggio post-mortem dei cadaveri dei gerarchi, (10) da parte di tristi figuri che oggi cercano di riciclarsi come quelli a sinistra del pd renziano.
Dunque la questione su Albertazzi a me interessa perché è rappresentativa della situazione della sinistra italiana, anche quella che si pensa estrema e come si dice “antifascista militante”.
Un militante, però, anzi uno studioso militante, avrebbe sempre l’obbligo di chiarire e di chiarirsi chi sia l’avversario principale e distinguere fra i vari ruoli.
Dunque, il fascismo storico è finito e, in quei termini, perlomeno nei prossimi secoli, non potrà tornare.
Tanto più nella situazione attuale dove, sotto la copertura dei diritti universali, le nazioni sono state tutte messe al servizio del capitale finanziario. Un capitale che accetta tutto, nei comportamenti privati: Gay pride, discussioni sulle droghe libere (ma solo a condizioni di controllo sociale), “mi vesto come mi pare”, etc…
Tutto eccetto due questioni: la critica al capitalismo come stato di natura e il sostegno a politiche nazionali autonome e, perché no, anche autarchiche.
Figuriamoci quindi, nella situazione attuale, se il fascismo come opzione di stato nazionale (di potenza, ovviamente, ma anche propagandisticamente sociale) aggressivo potrebbe essere minimamente, non dico tollerato, ma pensato, da un sistema che ha bisogno di consumatori non pensanti, non votanti, non partecipanti e assuefatti al peggio e da un sistema transnazionale che permetta a forze senza più radicamento di sorvolare e devastare, come locuste un paese dopo l’altro.
In poche parole il fascismo degli Albertazzi è morto. Morto per sconfitta militare e obsolescenza. Ma il sistema attuale non è certo quello pensato da chi volle abbattere quel regime.
Quello odierno nasce invece dalla sconfitta totale dell’antifascismo di classe e resistenziale.
Della opzione della lotta armata per abbattere un regime e costruire un nuovo stato, non uno purché sia, ma per costruirne un altro completamente diverso, non è rimasto nulla.
E quindi, comunque la pensiate, io credo che sia giunto il momento di mandare in soffitta non Marx, come ebbe a dire Giolitti, ma l’antifascismo liberale (strana bestia) e con lui il fascismo storico.
Ambedue non hanno più nulla a che fare con l’oggi.
Non a caso, uno dei “valori” di cui il neocapitalismo favorisce la crescita e che coltiva è quello dell”antifascismo”, ovviamente declinato depurandolo dei connotati di classe e di ogni problematicità. Un antifascismo soprattutto “etico” e “liberale” nato e cresciuto nell’Italia degli anni ’60 e del centrosinistra dove capitalismo, democrazie, antifascismo “buono” e resistenza “sui generis” sembrava che fossero un unicum.(11) Il fascismo attuale, quello “ridondante” di Casa Pound, etc… sembra fatto apposta per essere messo all’indice dal borghese benpensante.
Il problema è che questo tipo di fascismo è una caricatura di quello storico (il quale tra l’altro si fece Stato e certo non avrebbe apprezzato le case occupate, le teste rasate degli skinheads e la musica….rock) e allo stato attuale ha capacità di egemonia politica pari a zero.
A differenza che negli anni 60/70 inoltre non è più neppure manovalanza per i lavori sporchi (12) e pure la destra “perbene” che storicamente intratteneva rapporto con queste frange preferisce non accostarvisi più di tanto.
A me pare che in realtà questi gruppi siano estremamente funzionali ad attivare quello che per pare “l’antifascismo etico”. La città si indigna, l’Anpi protesta. I c.d. “centri sociali” fanno casino (così si prendono 2 piccioni con la fava del “doppio estremismo”).
E, ovviamente, la “sinistra perbene” si copre il capo con la lotta al fascismo (ma senza esagerare, però). Questa è una trappola ideologica pericolosa e rischia davvero di far dimenticare o passare in secondo piano il nemico, l’avversario reale.
Che in Italia si chiama PD, ma si chiamava già PDS-DS-PCI. Ovvero la struttura di potere a guardia del capitalismo. Prima quello “buono”, ora quello finanziario tout-court.
Che in Europa si chiama Neoliberalismo e “austerity”, che a livello globale si chiama imperialismo.
Le “sinistre perbene” che hanno sostenuto, con l’impari scambio di concessioni meramente mercificate nel campo dei diritti individuali (spesso ridotti a simulacri per “progressisti ricchi”), l’intero percorso regressivo degli ultimi quaranta anni.(13)
l fascismo fu affar serio, dunque, serio come chi lo combatté fino dagli inizi e proseguì fino alla sua disfatta. Ma è affare da passare agli storici, con tutta la sua complessità.
Si dice da anni che il “paradigma antifascista” sia ormai tramontato. Credo che se si voglia davvero provare ad uscire dalla bottiglia, per dirla con Wittgenstein, sia l’ora di accettare questa sfida “L’antifascismo” (liberale) è morto. Pur avendo avuto una sua nobilita al tempo del Duce (Ma il liberale Gobetti si schierò con gli operai e i consigli non con il capitalismo finanziario) esso è servito, con il “bau bau” sul fascismo “cattivo”, a far circolare una vulgata interclassista che ha creato il mito della guerra buona. (14)
Una narrazione esclusivamente militare-patriottica (15) che ha volutamente e scientemente eliminato il carattere politico e rivoluzionario di quel conflitto (del resto Togliatti insegna che era meglio il Re oggi che una rivoluzione domani. Sempre più realisti del Re).
Ecco, in tutto questo e in un mondo come quello odierno, davvero rilanciare lo sdegno per un Albertazzi fascista può essere utile allo scontro politico?
Siamo oggi di fronte ad una sfida per la quale gli attrezzi del mestiere hanno necessità di essere cambiati, anche in maniera molto dolorosa rispetto alle nostre credenze, ai nostri studi, alle nostre convinzioni. E dove il vero fascismo (se con questo termine ormai inadeguato, rispetto ad una realtà storica complessa e inattuale, intendiamo uno solo degli aspetti di quel fenomeno) molto probabilmente si nasconde da altre parti. Non facciamo dunque come il toro che continua a caricare il drappo rosso, mentre il torero lo trafigge e lo uccide.
E’ il torero, dunque, quello da caricare.

Andrea Bellucci

Diffondi e fai leggere

Crescita politica

(1) Gravissima cosa in un paese dal pentimento facile come l’Italia che ha tenuto in galera Curcio per decenni senza che questo avesse ammazzato un cristiano, mentre lasciò fuori l’infame Barbone, il killer di Tobagi, che dopo aver ucciso il giornalista fece arrestare tutti i suoi compagni. Oppure, siccome Moretti non si è mai pentito di aver costituito le BR, si risolve la cosa sostenendo che fosse a libro paga dei servizi. Strani operatori questi che si fanno 20 anni di galera in nome del servizio…..segreto.
(2) Si è preferito parlare di “spirito pubblico” in merito ai regimi fascisti, più che di “pubblica opinione”                                                                                                          (3) Giorgio Gaber “si può” 1976.                                                                                      (4) Chi non ricorda i film muti (comici) dei primi anni del ‘900, dove si vedono lavatrici, lavastoglie, televisori, autovetture, addirittura camper e roulottes?. Per queste tematiche vedi E. Tooze, Il Prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell’economia nazista, Garzanti, 2006.
(5) Vedi E. Tooze, op.cit.
(6) L’assurdità del “male assoluto” di Finiana memoria. http://goo.gl/18lj6n, ovvero come da fascisti si diventa servi.
(7) Vedi il fondamentale lavoro di E.Collotti, Fascismo, fascismi, Sansoni, 1989.
(8) Un piccolo esempio nostrano? Il rientro in patria di 2 fucilieri di marina, accusati di duplice omicidio di innocenti pescatori e riportati con onore in Italia su un volo di Stato. Senza che la stampa abbia fatto presente che per un reato del genere, in India (paese sovrano e potenza nucleare, ma evidentemente non degna di considerazione reale) si rischia la condanna a morte. Per la strage del Cermis, la parte della potenza di quart’ordine è toccata a noi. Con relativa informazione adeguata al padrone di turno.   (9) https://www.youtube.com/watch?v=kHgDE0b11DY
(10) http://goo.gl/Y9lgij.
(11) L’economista di riferimento del ventennio 1980/2000, ovvero Vera Zamagni, addirittura, in una sua opera di un quindicennio fa, parlava di coincidenza fra capitalismo e democrazia!! vedi V. Zamagni, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2000.
(12) Ma anche questo aspetto della manovalanza la dovrebbe dire lunga sulla reale potenza dei fascisti anche di quegli anni. Infatti negli anni ’70 la destra extraparlamentare cercò di sottrarsi a questa stretta. Ma aveva fatto male i conti. E dopo la caccia al “terrorista rosso”, iniziò quella al “nero”.                                            (13) Quaranta e non trenta anni come dice la vulgata “anni ’80”. La svolta moderata comincia negli anni 70, una volta accomodati i diritti in qualche legge a vantaggio dei “comunisti democratici”
(14) Vedi Jacques R. Pauwels, Il mito della guerra buona. Gli Usa e la seconda guerra mondiale, Datanews, 2003
(15) Ovviamente C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella resistenza, Bollati Boringhieri, 1991