voi avete voci potenti lingue allenate a battere il
tamburo voi avevate voci potenti adatte per il
vaffanculo
Fabrizio de Andrè, “La domenica delle salme”
Non era scritto, perlomeno non in questi termini che dalle macerie dell’89 giungessimo fino al punto in cui siamo. Non era scritto, ma la valanga iniziata 25 anni fa (ma innescata almeno un quindicennio prima) aveva una direzione abbastanza precisa. Tuttavia gli eredi del “più grande partito comunista d’occidente” (che non s’è mai capito se questo dato venisse rivendicato con orgoglio o fosse una immensa rottura di scatole) non si adoperarono per rallentarla per deviarla o, non fosse mai, per distruggerla.
No, i nostri eroi la puntellarono perbenino, quella valanga. Preparano strade adeguate, distrussero le case che avrebbero potuto ostacolarla e, anzi, lisciarono la strada in maniera esemplare.
Del resto che invidia per quel cinghialone alla guida del PSI. Lui sì che aveva anticipato i tempi. Donnine, soldi e allegria, Sorel al posto di Marx (e anche più facile da leggere. Poi dopo anche Sorel ovviamente basta) e bomba libera tutti.
Ma i compagni non potevano, immersi in una visione catacombale e penitenziale della politica erano costretti a fare buon viso a cattivo gioco (però che noia questo gioco). O meglio, non potevano ancora. Quella base così popolare e populista, del resto, era una bella palla al piede.
I quarantenni di allora, esempio da manuale del declino morale, personale e politico, di una intera classe dirigente, scalpitavano e non vedevano l’ora di buttare a mare tutto. Il materialismo non era più di moda da anni e del resto non l’avevano neanche mai compreso (e se l’avevano compreso avevano anche ben inteso che forse non era più affar loro, se mai lo era stato).
Vogliamo ricordare i nomi di questi geni della politica italiana, quelli che distrussero un intero (seppur problematico) patrimonio, applicando un’analisi da “fine del mondo” agli eventi di quel periodo storico?
Occhetto, D’Alema, Veltroni, Bassolino. Per citare i più famosi. Rappresentanti di una deriva già allora chiara, era visibile anche ai ciechi.
Ma di ciechi, quel partito, era pieno da un bel po’.
Innanzitutto l’ottuso amor di patria. Quello che Bersani chiama “la ditta” con termine davvero significativo.
Nella ditta sei solo un dipendente ed è davvero singolare che un salariato si debba sbattere oltre misura per tenerla in piedi, questa ditta se non per salvarsi la pagnotta. Bene, salvarsi la pagnotta con ogni evidenza è l’unico orizzonte comprensibile per il dirigente del PD. Poi ovviamente un molto meno ottuso fiuto per capire da che parte tirasse il vento. Ma il declino post-89 aveva avuto ottimi precedenti più di un decennio prima.
Ad esempio esemplare fu la cd.”svolta” dell’EUR con il Sindacato che si converte (non per la prima volta e non per l’ultima) ad una politica “nazionale” richiamando i lavoratori “ai sacrifici necessari”. Su questo filone anche l’opzione berlingueriana (austerità, questione morale etc…) a me pare (seppure, lo ammetto, con ben altra caratura) in linea con questa versione moderna della “nazionalizzazione delle masse” che Mosse[1] descrisse a proposito di ben altri sistemi (un campione “ex-azionista” di questo progetto è stato senz’altro Carlo Azelio Ciampi, ovviamente anche qui con le dovute differenze).
L’altro è stato legato alla “laicizzazione” della partecipazione elettorale (il famoso “paese normale” di D’Alema) dove le elezioni ( a parte tutto il discorso della partecipazione politica come mera apposizione della scheda nell’urna) diventano un “gioco” e la politica si trasforma in tifoseria. Voti in libertà, dunque, perché nel “mercato” elettorale vanno verso il “prodotto” che appare più appetibile o presentato meglio (da qui tutti gli studi sulla competizione elettorale presi di pacca dal marketing e su cui le compagini laburiste e “sinistre” si sono buttate a pesce come sempre con l’idiota estremismo dei neofiti. Comunque non gratis come dice Gallino).
Dunque questo riassunto, anche raccontato molte e molte volte ci serve per capire quale sia stata la strada seguita e imboccata per arrivare fino a qui. Una strada, è da dire, che è stata seguita anche da molti altri leader e compagini progressiste e laburiste[2].
Questo background extra-conflittuale e “nazionale” è stato quello su cui è nato il PDS-DS-PD (anche se dobbiamo stare sempre attenti a generalizzare, ognuno di questi percorsi ha avuto sviluppi e orizzonti assai diversi e complessi).
Il progetto PD, giunto a conclusione di questo percorso in discesa, assume le caratteristiche tipiche del nostro paese, dove il conflitto di classe viene inserito in un percorso populista-demagogico (abbiamo il copyright per questo fin dal 1922), nel caso renziano declinando neoliberismo e populismo (miscela abbastanza curiosa e originale), laddove il fenomeno fascista era stato connotato da una impronta sociale e “dirigista” (anche fasulla ma anche non del tutto viste le origini del fascismo), mentre quello berlusconiano si rifaceva ad un liberismo da “lumbard” ormai del tutto scomparso e desueto, che si richiamava più ad una libertà intesa come “via lacci e lacciuoli” che un’adesione a principi neocon e neoliberisti che, del resto, non attenevano compiutamente al Berlusca, outsider sempre mal tollerato nei salotti “buoni” della finanza.
Non sottovaluterei Renzi come operatore del potere capace e arguto. Se è pur vero, come è vero, che quello che conta è sempre la sovrastruttura direi che noi non viviamo ora nella struttura, ora nella sovrastruttura, ora nella realtà economica, ora in quella politica, ora in quella sociale, ora in quella religiosa. Queste scomposizioni servono a fini di studio, ma bisogna ricordarsi di rimetterle insieme altrimenti facciamo come chi si innamora della rappresentazione del territorio (la mappa) e va a finire in un burrone perché nella mappa non c’era.
Il progetto del rignanese viene da lontano (e certo non da solo) ma non è lui un mero esecutore. E’ uomo di potere assolutamente originale e spregiudicato che opera in un contesto internazionale nel quale si trova a suo agio anche se deve mediare fra quello che porta a casa e quello che racconta. Ricordiamoci cosa scriveva Marx: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro
stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni”
Insomma Renzi non è Monti, non è un mero agente del capitale così come lo si può intendere. Non è uno che una volta finito il lavoro passa alla cassa e poi è a posto. Se ci si continua a chiedere “chi c’è dietro” può succedere che non vediamo, alla fine, chi c’è davanti.
C’è da considerare anche il fatto che il renzismo pare avere, al momento, anche un po’ di fiato corto dal punto di vista elettorale. Fino ad adesso l’unico consenso lo ha avuto alle primarie (che non sono esattamente lo specchio del paese) e alle Europee (2 mesi dopo che era stato nominato Presidente del Consiglio e sull’onda degli 80 euro e una campagna di stampa degna di Goebbels). Questo fiato corto potrebbe portare ad alcuni
risultati, non necessariamente positivi per noi:
c) innanzitutto potrebbero aumentare le disponibilità del “giglio magico” verso l’opposizione interna ricompattando il PD (posti e prebende sono a disposizione in quantità. Ma fino ad ora sono andati solo ai fedeli);
d) oppure potrebbero al contrario radicalizzare la posizione del capo per spingere ancora più forte e più veloce sul tasto delle controriforme eliminando definitivamente l’influenza nefasta degli “elettori” (ma al momento l’elettorato della destra-destra gli sfugge e come lui ha avuto bisogno cinicamente dell’aiuto della destra, la destra farà altrettanto. Vedi Venezia. Non è esattamente un consesso di gentiluomini).
In ogni caso un Renzi in affanno non è necessariamente meno pericoloso. Uso a proposito questa parola, non dimentico affatto né della situazione economica generale né della fase attuale del capitalismo.
Credo sinceramente che la deriva intrapresa dal PD abbia una chiarissima impronta autoritaria e che, sulla scorta delle recenti sconfitte, si accelererà il progetto di distruzione della Costituzione, per ora l’ultima palla al piede rimasta al rignanese e, ovviamente, a tutti i poteri forti che premono per completare il percorso (da loro
quasi insperato).
Ma, d’altro canto, la vera e propria emorragia di voti, non parificata dalla conquista di voti a destra, segnala anche un fenomeno abbastanza singolare. A forza di predicare un uso “laico” del voto e della politica, i cittadini si sono adattati e quelli che non vanno a votare non sono solo quelli che “non votavano PD”, ma anche i suoi. A questo punto è evidente che la patata comincia a diventare bollente perché il nostro sa benissimo che nido di vipere sia (anche grazie a quelli come lui) il “cd. centro sinistra” e ha centinaia di finti sbavatori alle spalle che prenderanno a coltellate lui e i suoi lacchè non appena si presenterà l’occasione. Siamo o non siamo il paese del “servo encomio” e del “codardo” oltraggio.
Il compito nostro è quindi quello di mobilitare le coscienze, di non dare tregua a questa compagine che non rappresenta altro che un avversario totale di classe e, nel contempo, diffondere, ognuno dove può, il veleno della discordia, del pensiero altro, anche della calunnia, se necessario.
Quest’anno ricorre il 100 della 1° guerra mondiale e non v’è migliore rappresentazione di cosa succede alle masse quando vengono messe sotto il gioco “della nazione”.
I nostri veri avversari, come dice G. Maria Volontè nel film “Uomini contro”[3] sono sempre quelli alle nostre spalle che ci mandano all’assalto contro i nostri simili.
[1] G.Mosse, La nazionalizzazione delle masse, il Mulino, 2009.
[2] C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, 2009. [3] Uomini Contro, F. Rosi, 1970.
Andrea Bellucci