OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n° 29, giugno 2015

Sanzioni – L’anatra zoppa americana cerca di riscattare una presidenza risultata più che mediocre legandola alla sfida da vincere con Putin. Ma le sanzioni economiche pesano soprattutto sull’Europa, Italia in particolare; per di più la Russia cerca di sostituire i partner europei con la Cina, mercato in crescita e con una crescente
fame di risorse energetiche. Nella partita tra Russia e USA per l’economia italiana, già messa a dura prova dalla crisi, le conseguenze delle sanzioni imposte al Cremlino divengono via via sempre più pesanti. Nel 2014 le esportazioni italiane verso la Russia sono scese dai 10 miliardi e 771,7 milioni di € del 2013 ai 9 miliardi e 523,1 milioni di €, con un calo dell’11,6% (da “Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 159, 11 giugno2015, p. 2). Nel primo trimestre del 2015 le cose non sono andate meglio: si è verificato un ulteriore calo del 28,7% rispetto al medesimo trimestre del 2014. nel periodo il settore più penalizzato è stato quello dei mezzi di trasporto che ha perso i quattro quinti del fatturato; ma i mezzi di trasporto, nel loro complesso, non sono mai stati un settore di
punta delle esportazioni italiane verso la Russia, per cui il danno sarebbe limitato. I problemi più grossi vengono dal settore del tessile/abbigliamento, che da solo copriva un quinto del totale delle esportazioni e che ha perso un terzo rispetto al primo trimestre del 2014. Macchinari ed apparecchi, il principale settore con poco meno di un terzo del totale, è un settore che ha perso circa il 14%. La propagandata ripresa della produzione
italiana di questo inizio anno è legata quasi esclusivamente alle industrie che lavorano per l’estero, visto il ristagno perdurante del mercato interno. Le mancate esportazioni verso la Russia sono più che compensate dalla richieste di merci proveniente dagli Stati Uniti d’America, favorite dal calo dell’Euro, provocato dal Quantitative Easing attuato dalla BCE. Ma se è vero, come è vero, che la congiuntura statunitense segna il passo e prima o poi (più prima che poi) l’effetto della immissione massiccia di moneta europea nel mercato finanziario del continente verrò meno, i nodi della nostra economia non tarderanno a presentarsi.
Grexit – La partita a poker tra il governo Tsipras e l’ex Troika (che ha cambiato il nome, ma non i connotati) si sta avviando alla fase finale. Il FMI internazionale ha improvvisamente abbandonato il tavolo negoziale di Bruxelles, ma è pura tattica, come quella che mette in atto l’esecutivo greco. Il maggiore azionista del Fondo Monetario Internazionale, il governo USA, è recalcitrante ad aprire un fronte di instabilità in Europa e quindi premerà per il raggiungimento di una accordo. D’altra parte, secondo la vulgata economica vigente, la Grecia ha già, sotto il precedente governo Samaras, effettuato i passaggi più dolorosi delle ricette neoliberiste: taglio delle spese (salari pubblici e pensioni) ed aumento delle tasse, che avrebbero dovuto rendere più competitiva la
produzione ellenica (per altro scarsa) sui mercati internazionali. Ma c’è una terza mossa, ormai inevitabile, per il salvataggio del paese, mossa necessaria se i creditori internazionali non vorranno veder andare in fumo i proprio crediti:la ristrutturazione del debito greco, che comporterà una perdita per i sottoscrittori dei bond, ma meno violenta da quella subita da coloro che avevano a suo tempo investito in Argentina. Già Strauss- Kahn nel 2010 voleva avviare una mossa del genere; ma allora il Cancelliere tedesco Angela Merkel in fase preelettorale non se la sentì di appoggiare l’operazione e il Presidente francese Nicolas Sarkozy si oppose temendo di avvantaggiare il possibile antagonista alle imminenti elezioni presidenziali; non a caso poco dopo il direttore
del FMI fu travolto da uno scandalo in un albergo francese in USA, scandalo che azzoppò definitivamente la corsa di DSK verso l’Eliseo. (cfr. Vittorio De Rold, L’Fmi frena ma Obama avrà l’ultima parola, in “Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 161, 13 giugno 2015, p. 2).
Job Act – Il Governo Renzi ha varato gli ultimi decreti attuativi della famigerata riforma del lavoro, e come c’era da aspettarsi i veleni non sono finiti.                                         1) Estesa la Cassa Integrazione anche agli apprendisti: magra consolazione perché è sparita quella in deroga, e ora non sarò più possibile utilizzarla per cessazione di attività.
2) l’organizzazione del lavoro in azienda sarà più flessibile ad il datore di lavoro potrà
lavoratore, anche per mansioni di livello inferiore e ciò unilateralmente.                         3) Il tetto del 20% di contratti a termine non terrà conto dei lavoratori ultracinquantenni e, comunque, se verrà sforato ciò sarà sanzionato solo con una multa e non comporterà la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.                                 4) Anche la prevista trasformazione delle collaborazione con le collaborazione falsamente autonome (Co.Co.Co.), che avrebbero dovuto trasformasi in lavori effettivamente subordinati, ha visto il fiorire di numerose deroghe: per esempio è
saltato all’ultimo momento il riferimento alla trasformazione in contratto subordinato delle “prestazioni di lavoro ripetitivo”, con la gamma di interpretazioni che questo aprirà (cfr. “Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 160, 12 giugno 2015, pp. 2-3). Il diavolo è sempre più brutto di quanto non lo si dipinga.

chiuso il 14 giugno
2015
saverio