Irlanda: referendum sui matrimoni gay

Alcuni e gli stessi vertici della Chiesa cattolica (il segretario di Stato Parolin) hanno visto nel voto irlandese una débacle, per di più perché avvenuta nella – una volta – cattolicissima e bigotta Irlanda, così fedele alla Chiesa di Roma e al romano pontefice da invocare ancora oggi nel Preambolo alla sua Costituzione la benedizione sulla nazione della santissima trinità.
Per spiegare l’accaduto si è fatto riferimento al disgusto per le nefandezze del cattolicesimo irlandese, che benché sia caratterizzato dalla presenza di una diffusa pedofilia del suo clero, emersa in casi clamorosi e conclamati dalla stessa Chiesa, si è
fatto da sempre sostenitore di una moralità bigotta e fondamentalista. Basti pensare che la legge irlandese, fino alla metà degli anni ’50, proibiva ai genitori single, se separati, di crescere i propri figli. I bambini venivano affidati dai Tribunali civili alle cure degli orfanotrofi gestiti da religiosi e solo dopo il famoso caso sollevato da Desmond Doyle, la Corte Suprema irlandese ne ha consentito l’affidamento al genitore.
Certamente gli irlandesi non hanno dimenticato che la morale comune, dominata dal\ cattolicesimo, si è caratterizzata per altre infamie, come quella della creazione delle Magdalene Laundries (Lavanderie Magdalene) nelle quali, nei 150 anni della loro esistenza, vennero recluse più di 30.000 donne lasciate alla mercé di un clero delinquenziale. Si è scoperto che suore e preti seppellivano segretamente le loro vittime che soccombevano alle sevizie e allo sfruttamento nei giardini delle strutture ecclesiastiche. Si noti che l’ultima Casa Magdalene in Irlanda venne chiusa solo nel settembre 1996! [Istruttivo per tutti rivedere il film Magdalene (The Magdalene sisters), regia di Peter Mullan (2002)].
Queste, che potremmo definire cause endogene, hanno indotto certamente molti elettori a emanciparsi dalle indicazioni della gerarchia cattolica e tuttavia la popolazione irlandese è così intrisa di valori come quello dell’istituto familiare, al punto da vedere – come nota il Direttore de “La Civiltà cattolica” Padre Antonio Spadaro – nella richiesta delle coppie gay di costruire una famiglia il desiderio di “ … vivere una vita di relazione affettiva stabile da credenti praticanti. Ma, in realtà – egli prosegue -, il vero problema, la vera ferita mortale dell’umanità oggi è che le persone fanno sempre più fatica a uscire da se stesse e a stringere patti di fedeltà con un’altra persona, persino se amata. È questa umanità individualista che la Chiesa vede davanti a sé.
E la prima preoccupazione della Chiesa deve essere quella di non chiudere le porte, ma di aprirle, di offrire la luce che la abita…”.
Insomma l’obiettivo della fedeltà per la vita e per l’eternità – impossibile di per sé da raggiungere senza il sostegno e l’illuminazione della grazia divina – diviene possibile quando i credenti ne manifestano il desiderio e l’intenzione anche se gay. In una parola l’orientamento sessuale della coppia passa in secondo ordine rispetto all’impegno a restare insieme, lasciando vivere una cellula fondamentale, la famiglia, comunque
composta, importante ed essenziale perché ad essa la Chiesa affida la trasmissione della fede. A questo punto il solo ostacolo per la Chiesa alla famiglia gay resterebbe lo svolgimento della funzione procreativa, problema che potrebbe essere risolto ragionando su una rielaborazione dei criteri che consentono l’adozione e compiendo
parziali concessioni sul tema della fecondazione assistita.
Certo la strada è molto lunga e difficile il cammino, ma attenzione: da sempre la Chiesa cattolica guarda ai problemi con una diversa concezione del tempo e si concede quindi tutto quello necessario a riflettere. Chi ha iniziato a farlo da subito è l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, già membro della Commissione Propaganda Fide, il quale dichiara di voler assecondare la “rivoluzione sociale” in corso e completare la riforma
ecclesiale di Francesco, immaginando un futuro in cui l’unione tra due persone dello stesso sesso non sia più osteggiata sulla Chiesa.

Le cause esogene della vittoria referendaria

Una partecipazione così massiccia al referendum tuttavia non si spiega con la sola volontà dei cattolici irlandesi di liberarsi dalla cappa clericale che soffocava il paese, ma è spiegabile nei termini di una lenta e costante laicizzazione del Paese ma ha una concausa nella più generale evoluzione del costume in Europa e motivazioni più profonde e complesse: va collocata in una più generale evoluzione del continente verso una società più aperta ai valori nuovi che caratterizzano le relazioni sociali nei paesi economicamente più sviluppati.
Il processo di laicizzazione in atto in Europa ha portato all’elaborazione di nuovi valori standard distintivi, di nuovi marcatori culturali, soprattutto in materia di bioetica e di convenzioni sociali e al prevalere di una visione individualistica della vita che ha abbandonato valori ad alto tasso di solidarietà. Questa scelta non si riflette solo in campo politico con la fine delle tutele sul lavoro, ma anche in campo etico, con la crisi
della solidarietà verso gli anziani e la rottura dell’alleanza tra le generazioni, si riflette sull’incapacità di mantenere i rapporti di coppia e di sostenere la scelta di maternità, anche a causa della crisi di prospettive economiche della famiglia.
A prevalere non è solo la visione o l’edonismo individualista, ma la sopravvenuta incapacità dell’istituto familiare a svolgere quel ruolo di ammortizzatore delle tensioni sociali e a fungere da luogo primario di accumulazione del reddito, consentendo l’adozione di sinergie solidaristiche che permettono economie di scala e ne facevano una cellula produttiva del sistema sociale. Non esistendo più l’unità familiare i redditi di chi ne fa parte non si sommano ma si atomizzano e la famiglia non svolge più la sua funzione di ammortizzatore e di luogo di compensazione, anche economica, delle deficienze del mercato del lavoro. La sua funzione si va esaurendo, anche a causa degli attacchi al sistema pensionistico, al peso crescente dei costi della sanità, alla
crescita del numero dei componenti anziani nella società e viene meno la sua funzione di sostegno solidale tra generazioni.
Il risultato è il prevalere di un individualismo sempre più diffuso, di una solitudine esistenziale che tocca anche gli aspetti economici della vita, per cui il ricondurre le relazioni di coppie omosessuali o le libere convivenze all’interno di uno schema di condivisione, appare essere come uno dei pochi strumenti capaci di ricostruire relazioni solidali di esistenza, creando nuove famiglie. Sta prendendo così lentamente forma un
nuovo schema di relazioni sociali che costituisce il tratto distintivo del territorio europeo, che benché avversato dalle religioni, trova la forza di ottenere una protezione legale effettiva, testimoniata dal fatto che nella gran parte dei Paesi dell’Europa sono state approvate leggi che sostengono le unioni di persone dello stesso genere o comunque le convivenze affettive, a prescindere dalla sottoscrizione del vincolo matrimoniale. Si potrebbe anzi dire che in questa situazione i matrimoni tra persone dello stesso genere costituiscono la formula più efficace per la durata del vincolo familiare, sono elemento di stabilità sociale e di continuità della presenza di un nucleo sociale solidale nella società.
Ebbene le confessioni religiose hanno bisogno per l’educazione della prole, la  trasmissione di valori, della presenza di strutture sociali intermedie che facciano da punto di riferimento per consentire la trasmissione delle credenze delle quali esse sono portatrici e pertanto si impone a tutte le confessioni una rimeditazione di quali possano essere le strutture sociali compatibili con la nuova situazione, qualunque sia la loro composizione e forma.

Emigrazione e riconfessionalizzazione dello spazio sociale europeo

Molte confessioni religiose non si nascondono le contraddizioni insite in un eventuale mutamento della loro posizione verso la struttura della famiglia tradizionale e vedono nel travaso di popolazioni in atto verso il territorio europeo la soluzione per la rinascita non solo dell’appartenenza confessionale, ma anche per il nuovo innesto della visione tradizionale di famiglia che consentirebbe un “ritorno all’antico”. E ciò anche se in una
prima fase questo significa cedere rispetto ad altre religioni come l’islam e pagare, in questo modo, il prezzo della riconfessionalizzazione della società e della rinascita del sacro, posto che molti di questi migranti appartengono alla religione islamica. In particolare le confessioni cristiane confidano di poter vincere nel tempo la competizione con altre fedi attraverso i rapporti ecumenici e un richiamo alle tradizioni e alle abitudini delle popolazioni autoctone d’Europa. Puntano quindi a una integrazione progressiva che nel medio periodo avrebbe il vantaggio di ricondurre a minoranze le spinte laiche complessive della società.
La celta delle popolazioni europee laicizzate è invece quella di ricercare una nuova identità che prescinde dal cristianesimo, o comunque ne rielabora profondamente i valori, anche per opporsi alla riproposizione delle appartenenze confessionali portate dalla gran parte dei migranti, quanto meno sotto forma di appartenenza culturale a valori come quello della famiglia, intesa come unità produttiva e di comando del maschio sulla femmina, come opposizione all’emancipazione della donna e dei minori, come visione della cura degli anziani, affidata ai soggetti deboli dell’unità familiare, ecc.
In questa situazione, il diritto a una morte dignitosa, la valorizzazione dell’individuo, la parità uomo donna, l’apertura del matrimonio e delle convivenze agli appartenenti allo stesso sesso, il diritto alla procreazione assistita, il diritto alla scelta della maternità, divengono i caratteri distintivi forti di questa nuova etica, di questo diverso bagaglio valoriale, che costituisce il tratto significativo dell’essere europei.
Sono questi i valori che gli irlandesi hanno mostrato di condividere con il loro voto massiccio a favore dell’apertura del matrimonio, volendo risolutamente unirsi alla maggioranza dei Paesi europei in questa scelta di nuovi valori, malgrado siano consapevoli che per quanto riguarda l’Irlanda alcuni nodi vanno ancora sciolti come, ad esempio, quello dell’adeguamento della legislazione nazionale in materia di interruzione della gravidanza e maternità responsabile, posto che nel Paese vige ancora il divieto di interruzione della gravidanza se non nel caso di pericolo di vita per la madre.
Non sembra avere dubbi nel fare proprio questo nuovo catalogo di valori la UE che con 390 voti a favore, 151 no e 97 astensioni, ha affermato che le unioni civili gay costituiscono un diritto umano e che pertanto il riconoscimento del matrimonio tra due persone dello stesso sesso deve essere oggetto di una riflessione sul tema dei matrimoni omosessuali. Nel punto 162 della “Relazione annuale sui diritti umani e la
democrazia nel mondo” nel 2013 si afferma infatti che “Il Parlamento europeo prende atto della legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi nel mondo, attualmente diciassette, e incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell’Ue a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili” (12 marzo 2015).
La strategia della Chiesa cattolica contro la predominanza di nuovi valori in Europa
Siamo convinti che la parte più avveduta della Chiesa cattolica, e in particolare questo pontefice, sono perfettamente consapevoli e hanno attentamente analizzato il fenomeno e perciò nel mentre deplorano – come è ovvio – quanto avvenuto in Irlanda cercano di predisporre una risposta di più ampio respiro, non confidando solo sulle “forze del mercato”, intendendo con ciò riferirsi al ruolo dell’innesto di valori tradizionali nelle popolazioni del continente, grazie ai migranti, prima richiamato.
Consapevole della necessità di rafforzare le proprie posizioni e del bisogno di unire le truppe delle quali dispone, la Chiesa cattolica cerca una inedita alleanza con l’ortodossia, muovendo da due considerazioni.
a) la presenza di nuclei consistenti di popolazioni di religione o tradizione ortodossa nella parte occidentale del continente costituisce ormai una realtà stanziale ineliminabile. Il principio del rispetto del territorio canonico che confinava i cattolici nell’Ovest del continente e gli ortodossi all’Est è di fatto disatteso dalla presenza organizzata delle Chiese ortodosse dell’Est tra i migranti all’Ovest;
b) le norme a garanzia della libertà religiosa, introdotte dai Paesi dell’Est dopo la caduta delle democrazie socialiste hanno aperto quel mercato religioso al proselitismo cattolico.
In questa situazione si tratta di scegliere se optare per un mercato del religioso nel quale le diverse Chiese cristiane si fanno concorrenza, oppure per rapporti di collaborazione che combattano il comune nemico, costituito dall’indifferentismo e dai nuovi valori ai quali abbiamo fatto riferimento. Da qui il forte desiderio di questo papa di andare al più presto a Mosca, in modo da ricostruire l’unità di intenti e la collaborazione con la “Tersa Roma”, la Chiesa di Mosca, dopo aver rinsaldato – seguendo la politica dei suoi predecessori – i legami con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Per farlo Francesco ha bisogno della collaborazione di Putin e questo val bene l’Ucraina! Da qui l’invocazione della pace sulla frontiera orientale dell’Europa, nella convinzione che sia in atto una terza guerra mondiale combattuta a pezzi che non è solo uno contesa di territori ma uno scontro di valori.
Realizzando l’unità di azione con gli ortodosso si ricostruirebbe l’unità operativa delle Chiese cristiane, con il risultato non secondario di poter contrapporre un’unità dei cristiani all’islam aggressivo, inaugurando una politica di buon vicinato con quello più tollerante e moderato, sostenuta da comuni iniziative intereligiose.
In questa strategia non trovano posto le Chiese protestanti, molte delle quali sono considerate ormai coinvolte, se non di essere all’origine, della rielaborazione di valori avviata dalle popolazioni europee. Prova ne sono le loro aperture in materia di eutanasia, aborto, procreazione assistita, apertura del matrimonio, ecc.

Il ruolo dei laici: raccogliere la sfida

Muovendo da questa ricostruzione e tenendo conto dalle nostre considerazioni, rileviamo che se quelle descritte sono le strategie messe in atto dai diversi attori, la risposta delle componenti laiche della società europea non può essere quella di accettare la riconfessionalizzazione del continente o di cercare di contrastarla attraverso una opposizione ai flussi migratori, vista come rimedio al mantenimento dello status quo, perché non è possibile cingere con un “cordone sanitario” la fortezza europea, come pensa una parte della sinistra inglese che imputa la crisi dello stato sociale e della sinistra al mutamento della composizione sociale delle popolazioni
in Europa. Bisogna piuttosto accettare la sfida del cambiamento e sviluppare strategie di inclusione sociale nei confronti dei nuovi venuti.
Non si tratta di proporre l’integrazione attraverso modelli quali quello francese e inglese che hanno dimostrato il loro fallimento, ma di far ripartire e sviluppare l’aggregazione sociale, coinvolgendo i nuovi venuti in reti di solidarietà e collaborazione comunitaria integrate, che uniscano i residenti storici sul territorio e quelli nuovi in progetti di gestione del territorio, della scuola, delle attività sociali. Ciò vuol dire in concreto creare, ad esempio, comitati per la gestione collettiva di spazi verdi, promuovere attività di sostegno nella scuola per i bambini, organizzare momenti di incontro sul cibo e le tradizioni, le feste popolari e iniziative per soddisfare i bisogni primari come il recupero del cibo non consumato, il vestiario, e soprattutto assicurare un accesso paritario e i diritti sul posto di lavoro. E’ nella comune lotta per l’accesso al lavoro e per il diritto alle
tutele sociali che si costruisce la solidarietà e avviene l’integrazione su valori condivisi.
In buona sostanza occorre organizzare l’accoglienza, gestita attraverso la realizzazione di organismi comunitari partecipati, utilizzando strumenti come le assemblee, le commissioni, le delegazioni, delle quali i nuovi venuti devono essere chiamati a far parte, grazie al loro impegno e facendo in modo che queste strutture contendano alle amministrazioni la gestione del territorio e dei servizi, organizzando la fruizione dei diritti, difendano i lavoratori sul posto di lavoro, contendano ai padroni la gestione unilaterale e autoritaria delle condizioni di lavoro.
Attraverso questa responsabilizzazione collettiva può passare la costruzione di una cultura dei diritti che si contrapponga a quella praticata nelle comunità chiuse, nelle strutture ecclesiali, nelle strutture burocratiche e in quelle malate delle imprese di utilità sociale assistite, foraggiate da una politica di tipo spartitorio appropriativo e clientelare, sostenuta dalle istituzioni e dalle forze partitiche, interessate a controllare il consenso e la partecipazione. Il volontariato va contrastato quando è strumento occulto di sfruttamento e di garanzie sul posto di lavoro, quando è falso volontariato e sostituito con la partecipazione responsabile di tutti alla gestione delle scelte comuni.

Gianni Cimbalo