Per stabilizzare il dominio delle oligarchie capitaliste, sconfiggendo i lavoratori e ogni possibile aggregazione di classe sul territorio va portata fino in fondo, in questa fase del ciclo economico, la distruzione sistematica di ogni strumento di autorganizzazione di classe prima che la rinascita sempre più robusta della lotta di classe nei paesi di nuova industrializzazione faccia partire un nuovo ciclo di lotte.
Se i lavoratori sono sconfitti nelle aree di vecchia industrializzazione dove il capitale è riuscito ad imporre sistemi predatori del reddito e forme di governo oligarchico compatibili con una grande concentrazione della ricchezza, ha piegato il ceto medio alle necessità del ciclo economico e ha prodotto una massa di proletari, marginali, senza lavoro o – come si dice spersonalizzandoli -incapienti, non altrettanto avviene nei paesi di nuova industrializzazione.
Non intendiamo riferirci a quelle aree e territori nei quali si delocalizza in via transitoria per poi abbandonarle appena se ne sono consumate le risorse umane e del territorio, ma a sistemi produttivi come quello cinese, indiano, ma anche al Brasile, al Sud Africa e alla stessa Russia. Qui, mano a mano che il sistema produttivo si sviluppa e il reddito aumenta, crescono le lotte, spesso poco conosciute, dei nuovi proletari che cercano di porre limiti allo strapotere del capitale e allo sfruttamento intensivo, riproponendo la questione dello sfruttamento di classe come problema sociale e globale, chiedendo migliori e più umane condizioni di vita e di lavoro.
Da queste situazioni, come avvenuto in passato, può partire un nuovo ciclo di lotte che non ci deve trovare impreparati, ma che il capitale cerca preventivamente di combattere creando territori a gestione oligarchica, caratterizzati da compressione dei diritti, controllo sociale e politico di coloro che vi abitano. In tal modo le capacità produttive dei territori di antico sviluppo e industrializzazione possono essere utilizzate come santuari, come enclaves di riserva, nelle quali concentrare l’attività produttiva necessaria a sostenere l’accumulazione nelle fasi nelle quali il territorio di nuova industrializzazione cerca di riuscire a mettere in crisi, attraverso un ciclo di lotte unificato dalle oggettive condizioni materiali, la capacità di controllo del capitale sul lavoro.
Per questo motivo l’acquisizione di un solido controllo istituzionale in Europa è essenziale e strategica nei territori di vecchia industrializzazione. Eliminata l’utopia socialista anche lo schema istituzionale liberale si dimostra oggi inadeguato alle necessità della fase. La democrazia rappresentativa e delegata è un lusso che il
capitale non può permettersi, perciò va eliminato. In questa strategia trova posto l’attacco a una delle ultime Costituzioni rimaste immutate dopo la fine della seconda guerra mondiale. Essa va difesa non perché sia la più bella del mondo ma semplicemente perché fa da argine alla “modernizzazione” del sistema politico.
Il team amerikano i “capitani pusillanimi”
Dopo le dimissioni di Berlusconi abbiamo visto cimentarsi nella guida del paese il Governo Monti sostenuto dalla finanza internazionale e dalla Germania, sostituito dopo la pessima prova elettorale dal governo Letta, a sua volta espressione dei circoli elitari della finanza internazionale e di numerose grandi banche.
Ambedue questi Governi, per motivi diversi, si sono rivelati inadatti a produrre quel mutamento istituzionale necessario a consolidare nel tempo il controllo sui lavoratori, in modo da impedire la rinascita per il più lungo tempo possibile di un’opposizione di classe.
Chi sostiene Renzi
Principale esponente del team messo su al Dipartimento di Stato per sostenere e consigliare Renzi è Michael Ledeen fin dal 2007, quando l’allora Presidente della Provincia di Firenze fu ospite del Dipartimento di Stato. Lo stesso orientamento ha il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele. Carrai ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures e, il cui padre, Franco, fino a pochi anni fa è stato arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l’Italia a Israele.
A sostegno di Renzi si sono schierati imprenditori come Della Valle, banchieri come Passera, il gruppo De Benedetti (La Repubblica, l’Espresso) e operatori finanziari operanti in banche e istituti di credito per citarne alcuni. Per quest’ultimo gruppo di sostenitori un primo immediato ritorno dell’investimento è stato costituito dalle nomine dei dirigenti del settore pubblico del paese. Gli incarichi alla Marcegaglia, alla Todini e alle loro simili sono un assegno in bianco staccato a vantaggio di coloro che sostengono questo progetto ed esse servono anche ad allargarne la cerchia dei sostenitori. Un esame dettagliato dei nominati ci dice che il criterio usato è
quello bipartisan e che tutti i gruppi di affari hanno ricevuto il loro compenso. Per portare a buon fine l’attacco è infatti necessario rafforzare e unificare gli interessi di coloro che potrebbero contrapporsi al progetto.
Da questa incapacità scaturisce l’improvvisa irruzione sulla scena del “bischero fiorentino,” allevato e costruito da ambienti vicini al Dipartimento di Stato USA, dove si è recato a prendere contatti già nel 2007 e sostenuto negli Stati Uniti dai Neodem e in Italia efficacemente da alcuni personaggi appartenenti agli ambienti finanziari italiani, che operano sui mercati internazionali, dirigono gruppi industriali e di opinione, i quali
provvedono a consigliarlo selle mosse da intraprendere e negli strumenti da adottare per assumere la guida del paese e traghettarlo verso il nuovo sistema istituzionale.
I nuovi fascismi
Del resto gli obiettivi di Renzi e delle forze che lo sostengono fanno parte di un progetto più generale che coinvolge almeno tutta l’Europa e che assume volti diversi a secondo dei territori e delle necessità. Così ecco ricomparire movimenti, partiti e politiche di stampo fascista nell’occidente d’Europa, come in Francia e a oriente: si vedano ad esempio l’Ungheria e l’Ucraina ma anche tanti altri paesi, come quelli del nord Europa.
Per le scelte che fanno, per la loro caratterizzazione razzista e xenofoba, per la violenza che li caratterizza, questi partiti e movimenti sono riconoscibili e quindi è possibile combatterli Ma non meno pericolose sono quelle forze che sostengono mutamenti istituzionali del tipo di quelle oggi proposte in Italia.
Queste, cavalcando la crisi dello Stato liberale, la fase economica congiunturale, approfittando del venir meno del tessuto connettivo e valoriale che – scaturito dal mondo del lavoro, teneva in piedi organismi di difesa complessivi e di solidarietà che vanno dall’associazionismo solidale sul territorio, ai sindacati, a forme di partecipazione sociale – aveva costruito nell’ultimo ciclo di lotte un sistema di garanzie sociali generalizzato.
Per questi motivi la riforma istituzionale in discussione in Italia non è un fatto sovrastrutturale né accademico, ma riguarda profondamente la distribuzione reale del potere, la gestione effettiva della società. Le nuove istituzioni che vengono proposte devono – nelle intenzioni di chi le sostiene – cristallizzare e conservare al livello attuale il controllo oligarchico della società, garantire la riproduzione dei ceti dominanti, facendo prevalere di fatto e nell’immaginario collettivo un format che considera un valore l’apparente assenza dell’ideologia, che privilegia l’immagine linda e pulita dei governanti, personaggi televisivi di un eterno teatrino della politica, fatto di un mixer di giovanilismo, velocità decisionale, attivismo purché sia, in modo da mettere in piedi un’operazione gattopardesca, affinché apparentemente tutto cambi ma non cambi nulla.
Per conseguire questi obiettivi serve una legge elettorale truffa, che falsifichi di fatto la rappresentanza, servono istituzioni di nominati, occorre distruggere l’equilibrio e i contrappesi tra i diversi poteri dello Stato, che potrebbero essere di ostacolo a una struttura dei rapporti centralistica e decisionista, con la scusa di rendere efficaci ed efficienti le istituzioni.
Ma come conciliare il bisogno di stabilità, da assicurare attraverso il governo dell’alternanza in un paese che è diventato almeno tripolare? Occorre concentrare il voto su un solo organo, la Camera, perché comunque la si metta c’è sempre il pericolo con il bicameralismo di non riuscire a conseguire il controllo di ambedue le Camere. Ecco perché la riforma elettorale e l’abolizione del Senato viaggiano in parallelo e l’una condiziona e determina l’altra. Ecco il motivo dell’ostinazione renziana nel perseguire parallelamente i due obiettivi e i motivi della sostanziale convergenza con Berlusconi, portatore a sua volta di un progetto dalle medesime caratteristiche, magari rozzo e meno raffinato del modello elaborato al Dipartimento di Stato.