4. Se 80 euro vi sembran pochi

Con il governo Renzi il progetto di superamento della “crisi italiana” giunge alla fase finale. Le circostanze politiche obbligano all’accelerazione dei tempi: sui mercati finanziari si avvertono timidi segnali di superamento della crisi e sembra avviarsi un nuovo ciclo economico, caratterizzato dallo spostamento del conflitto sociale nelle aree di nuovo sviluppo economico produttivo. In questa situazione occorre affrettarsi a
consolidare le retrovie, e quindi a stabilizzare il controllo sociale su tutta l’area europea. Questa, oltre a motivi interni la ragione sostanziale del repentino passaggio di Renzi dallo “Stai sereno” rivolto a Letta all’improvvisa sfiducia.
Una volta al governo però occorre varare misure che realizzino il programma, guadagnando al tempo stesso consenso. Per farlo viene messo in campo l’intervento sui salari di una platea potenziale di 10 milioni di lavoratori attivi. Il provvedimento ha numerose implicazioni:
a) con la sua entità – 80 € al mese – costituisce l’attacco più duro e serio al ruolo dei sindacati che da 10 anni non riescono a condurre in porto un contratto dignitoso. I soldi ricevuti in busta paga, rappresentano il valore economico di due contratti, a dimostrazione che del sindacato si può fare a meno;
b) viene così assestato un colpo definitivo e mortale alla contrattazione nazionale e si prepara la fine del contratto nazionale di lavoro. L’obiettivo è individualizzare il rapporto di lavoro tra lavoratore e azienda in modo da distruggere alla radice qualsiasi possibile aggregazione a livello sociale come politico per battere la solidarietà di classe e impedire risposte collettive alle politiche padronali.
c) la manovra lascia fuori i pensionati, che anzi vengono indicati come soggetti parassitari, stimolando ulteriormente la contrapposizione tra loro e i giovani che non riescono ad entrare nel mercato del lavoro d) l’intervento sull’apprendistato crea una fascia di sottopagati precarizzati istituzionale, alla quale le imprese possono attingere senza timore di vedersi contestare la gestione di questa forza lavoro
e) il bonus di 80 € ha il giusto grado di provvisorietà per poter fidelizzare i percettori alle sorti di questo Governo che diviene il garante dell’intervento, tendenzialmente strutturale, ma comunque non definitivo, in modo che le sorti di questa maggioranza e dei beneficiari della manovra siano legati.

Come ti finanzio il bonus

Gli 80 € attribuiti dal Governo riguardano com’è noto i percettori di reddito da 8.000 a 26.000 € l’anno.
Tale somma è soggetta a revoca per tutti coloro che superano tale fascia di reddito. Il meccanismo possiede in se una dose elevata d’instabilità e incertezza che obbliga chi ne riceve i benefici a una partecipazione vigilante e continua, in piena condivisione con il Governo, delle sorti e della gestione della propria vita.
Anche con questi limiti e caratteristiche non vi è dubbio che il provvedimento rilancia la dinamica salariale anche se rimane il problema di come e dove reperire le risorse per sostenere il costo economico dell’intervento senza ricorrere a una ulteriore tassazione E in questo sta la “novità” del provvedimento.
Lo strumento è quello tipico dei falsari medioevali i quali limavano i margini delle monete d’oro e d’argento per ricavarne polvere da fondere per battere poi altra moneta. Così con una serie di interventi fatti di piccoli ritocchi il Governo rosicchia risorse ovunque: dagli interessi sui conti correnti (la percentuale prelevata è bassa ma i correntisti sono tanti) alle tasse indirette sulla casa e sui servizi (prelievo questo ben più
sostanzioso), ai ritocchi su tariffe ecc.. Non pago di ciò il Governo trasferisce una parte dell’onere a Comuni e Regioni in modo che il prelievo finale cada sui servizi da questi erogati.
Il criterio è insomma quello di un intervento diffuso e articolato, al punto che diviene difficile alla fine fare un consuntivo credibile che permetta di verificare quale sia il saldo finale. Sulle grandi spese, quelle significative, quali sarebbero ad esempio le somme stanziate per l’acquisto degli F 35, il Governo ha difficoltà ad intervenire, ammesso che lo voglia per gli ostacoli frapposti da Giorgio Napolitano il quale, in un ennesimo attentato alla Costituzione (questa volta si tratta dell’art. 11 con il quale si ripudia la guerra) in un discorso pronunciato il 25 aprile ha parlato di “demagogico antimilitarismo”. Ne tanto meno il Governo pensa di tornare indietro rispetto a spese come quella della TAV, per non colpire le imprese appaltatrici, molte delle quali sono
targate Coop.
Gli altri cavalli di battaglia del Governo, come la riforma della Pubblica Amministrazione e della giustizia, hanno anch’essi un obiettivo prioritario che viene accuratamente nascosto dietro il taglio di qualche stipendio o pensione eccellente. Con la scusa di colpire la burocrazia e le lungaggini procedurali l’attacco di fondo viene portato al processo amministrativo per depotenziare i TAR e soprattutto impedire che essi, come i
tribunali civili, possano emanare provvedimenti finalizzati alla tutela di danni gravi e irreparabili (art. 700 del codice di procedura civile e norme simili). Si vuole impedire o comunque limitare l’emanazione di provvedimenti cautelari in tutti i settori, dalla scuola all’ambiente, alla difesa dei beni comuni, alla tutela del territorio, è stato possibile fino ad oggi tutelare e difendere i diritti individuali e come quelli delle comunità.
Queste vertenze hanno creato aggregazione e partecipazione ed è questo che il renzismo non vuole e combatte come la peste.
L’obiettivo finale è noto: la prevalenza degli esecutivi sui diritti e i bisogni di chiunque, sempre e comunque.

Reagire combattendo

A questa strategia complessiva di attacco bisogna rispondere innanzi tutto cercando di prendere coscienza della gravità della situazione, cercando di cogliere la portata strategica dello scontro che si svolge intorno alla modifica delle istituzioni. Bene dunque che finisca la concertazione, a condizione che la strategia e la natura stessa del sindacato cambi. A condizione che sia giunta finalmente la fine degli accordi a perdere e della graduale concessione di diritti in cambio di futili promesse. A condizione che riprenda vigore il contatto nazionale di lavoro e la contrattazione in generale come strumento di tutela.
D’altra parte non c’è più nulla da cedere perché tutto è stato ceduto, nulla da dare perché tutto e stato dato. Resta da vedere quale capacità di mobilitazione rimane, quale possibilità reale c’è di riaggregare le membra sparse delle diverse componenti di classe per costruire un nuovo ciclo di lotte caratterizzato dall’alleanza tra il proletariato dei paesi in forte sviluppo manifatturiero e i lavoratori e i proletari dei paesi di vecchia industrializzazione.
Bisogna produrre uno sforzo di creatività e immaginazione, bisogna lavorare partendo dai posti di lavoro e dai territori per far crescere l’opposizione alle ideologie e alla pratica individualistica e concertativa, produrre aggregazione e solidarietà Il movimento di classe deve capire che la composizione multietnica di chi abita oggi i territori può essere un utile veicolo alla comunicazione di esperienze di lotta in nome di una oggettiva comunità di interessi.
Lo scontro sociale rinasce alla periferia del mondo industrializzato e produttivo e deve giungere fin nelle vecchie città d’Europa e d’America, nel Giappone industriale e produttivo, per saldarsi in un unico fronte di lotta allo sfruttamento, alle diseguaglianze, per costruire una società più giusta e umana.
E’ questa la sfida che ci attende.