Passato remoto

Immaginate una massa di persone e i loro territori sui quali lavorano e dai quali hanno il proprio sostentamento, anche al prezzo di dure fatiche, ma con un minimo di stabilità economica, dove poter crescere i propri figli ed invecchiare.
Immaginate ora che la meccanizzazione radicale dell’agricoltura faccia si che quei territori siano lavorati in un decimo del tempo che il contadino usava per arare, seminare, raccogliere.
E pensate anche che il lavoro di 10, di 100, 1000 uomini venga realizzato da quelle macchine, sempre più veloci, potenti e moderne.
Pensate anche al fatto che la produzione aumenterà a dismisura e che i proprietari di quei terreni, perché quei terreni non sono dei contadini, facendo un semplice calcolo, capiscano che possono risparmiare in persone, in spese vive, in rapporti problematici.
Quelle persone verranno espulse da quel sistema produttivo. Esse si avvieranno, con la loro poca roba, in cerca di terre migliori, attirate dalla propaganda che dice che troveranno, ad ovest (sempre ad ovest) valli di latte e miele.
Ebbene quelli partiranno, come faremmo tutti, e per la strada molti patiranno, molti moriranno. Alcuni saranno derubati, altri perderanno le proprie illusioni.
Saranno trattati da vagabondi, discriminati come pericolosi, come sovversivi, additati per la loro sporcizia, paragonati agli animali, ad esseri inferiori.
Arrivati alle terre d’oro, vedranno cose incomprensibili. Migliaia di campi lasciati marcire perché il prezzo pagato dai grandi proprietari per la raccolta dei frutti non vale il gioco.
Vedranno ogni ben di dio distrutto con il kerosene, bruciato, affinché i prezzi per il consumatore rimangano alti, anche a costo di lasciare morire di fame una intera popolazione.
Le banche conquisteranno terre su terre. E su quelle terre lavoreranno a prezzi sempre più bassi quei contadini partiti dall’est.
Ma potrebbero allearsi, potrebbero capire quello sfruttamento feroce. Allora li si metterà l’uno contro l’altro, si pagherà 2 dove quelli precedenti volevano 4 e poi si pagherà 1 dove si pagava 2.
E i picchettaggi di chi aveva 4 si rivolgeranno contro chi prende 2 e così via. I nuovi crumiri, ignari, andranno al lavoro scortati dalla polizia, e passeranno fra le proteste dei disoccupati ai quali andranno molto presto a fare compagnia, in attesa della successiva ondata di disperati.
Questo breve elenco, per il quale ho cercato di utilizzare, molto malamente il registro, biblico-apocalitticoempatico dell’autore del quale vorrei parlare, non si riferisce all’oggi. Non si riferisce al dramma odierno dell’immigrazione, della miseria, dello sfruttamento e non si riferisce neppure all’Europa.
Sono invece gli Stati Uniti degli anni ’30. L’autore è John Steinbeck e il lavoro che ne parla è “Furore”, che è stato appena tradotto in una nuova strepitosa edizione [2] (tanto che può essere quasi considerato un altro testo).
La cosa sorprendente, nel battage mediatico che è stato fatto in occasione della sua uscita, è stata quella di considerare questo testo “solo” un capolavoro della letteratura (e lo è).
Come se quello di cui parla fosse insignificante. E anche nella introduzione a questo lavoro si cerca di parlare della sua inattualità.
Ora, chiunque abbia un po’ di sale in zucca e non cerchi corrispondenza letterali, credo che pensi esattamente il contrario.
Io credo che questa opera di “neutralizzazione”, sia dovuta al fatto che lo scrittore non teorizza qui alcunché, ma vive con gli occhi dei personaggi, la loro, per così dire, nuda e cruda formazione di classe.
Non c’è qui un leader politico (malgrado il panico verso i rossi sia dappertutto) e nemmeno Steinbeck lo è. Egli parla con la voce ingenua e atterrita dei propri personaggi. I quali capiranno senza teoria, il selvaggio, devastante messaggio che proviene dal capitalismo al cubo quale quello statunitense.
Come può non parlare a noi dunque un lavoro come questo in un momento in cui non si trova uno straccio di idea alternativa al capitalismo finanziario che ha devastato il mondo intero e dove le uniche ricette sono quelle, sempre al ribasso, come ad esempio il job-act di Renzi? Perchè nessuno parla invece di un “finance-act?”.
In questo lavoro c’è davvero tutto il mondo odierno, più una semplice annotazione, che si ricava dalla lettura, mai aspettarsi soluzioni della lotta di classe da chi ci sovrasta, nemmeno da quelli che fanno i padroni buoni.
Una lezione che è sempre la stessa, alla faccia di chi parla di mondi cambiati, di fine delle classe e delle novità del capitalismo moderno: “Un uomo, una famiglia scacciata dalla terra, questa carretta arrugginita che arranca sulla nazionale per andare all’Ovest. Ho perso la mia terra, un singolo trattore ha preso la mia terra. Sono solo e sono smarrito. E nella notte una famiglia si accampa in un fosso e un’altra famiglia arriva e tira fuori le tende. I due uomini si accoccolano sui talloni e le donne e i bambini ascoltano. Ecco il nodo, per voi che odiate il cambiamento e la rivoluzione. Vi conviene tenere separati questi due uomini accoccolati, fare in modo che si odino, che si
temano, che diffidino l’uno dell’altro. E’ questo l’embrione della cosa che temete. E’ questo lo zigote. Perché adesso <<Ho perso la mia terra>> è cambiato, una cellula si è scissa e dalla sua scissione nasce la cosa che odiate <<Abbiamo perso la nostra terra>>”[3]

[2] J. Steinbeck, Furore, Bompiani, 2013.                                                                         [3] J. Steinbech, op. cit., p. 212.

Andrea Bellucci