Lo davano per spacciato! Già il celtico venuto dal nord assaporava la vittoria nella quarta regione, ma si vede che tutto ciò che ha a che fare con l’Emilia non gli porta bene. Anche la virago di Atreju pensava di piazzare il suo uomo al governo della regione più lunga d’Italia, ammesso che Fitto, il girovago della destra, potesse considerarsi un “suo” uomo, ma ha dovuto accontentarsi delle Marche. Già le Marche, una delle regioni che non vedevano sul campo di battaglia i presidenti uscenti, è l’unica che ha cambiato casacca sfruttando il vento della crescita della destra, ormai indebolentesi giorno per giorno ma sufficiente per fare le scarpe a una amministrazione uscente che ha brillato per inefficienza, che ha abbandonato i terremotati, che non è stata capace di mettere a punto una strategia per la ricostruzione post terremoto. E poi la crisi della pesca e dell’attività dei porti, l’abbandono di molte aree nelle quali cresce il disagio sociale nelle città, l’obsolescenza delle sue università, il degrado delle attività industriali hanno fatto si che vincesse la destra, anche se i voti non aumentano, anzi calano un po’ per l’esaurirsi dell’epoca berlusconiana e del suo ormai evanescente partito; la Lega salviniana cala vistosamente ed i suoi voti vengono in gran parte incamerati da Fratelli d’Italia. Per l’appunto proprio il candidato di quest’ultimo partito riesce a strappare alla “sinistra” (scusate il termine) una regione da lungo tempo (25 anni) sotto il suo controllo più che per meriti propri per incapacità altrui. Non è dato sapere se le tendenze nazistoidi del governatore eletto si imporranno sulla politica complessiva del partito facendo pagare caro ai cittadini il bisogno di alternanza e la scelta per disperazione di una soluzione possibile ai loro problemi.
Le conferme causa virus
Delle elezioni regionali nelle altre regioni è presto detto. Veneto, Liguria e Campania sono andate plebiscitariamente ai “governatori di ferro”, forti della gestione della pandemia, anche se ora, subito dopo l’andata alle urne, le due regioni sono tristemente in testa nella classifica nazionale dei contagi. La Valle d’Aosta ha un sistema elettorale e di liste locali tale che difficilmente può essere confrontata con il resto del paese; la Lega è risultato il primo partito, ma Salvini potrebbe restare deluso: il crollo degli altri partiti di destra, la crescita del PD rientrato in consiglio regionale e l’ostilità dei gruppi autonomisti, Union Valdotaine in testa da sempre progressista, potrebbero vanificare il suo disegno di conquistare la presidenza, che avviene per elezione indiretta nel Consiglio stesso.
Tutto più o meno secondo le regole e le previsioni (non certo le fantasie e le bramosie bulimiche del gradasso lombardo, ormai oscurato da quello veneto)! La vera sorpresa è stata la Puglia. Emiliano ha giocato alla grande tutte le sue carte, favorito dalla scelta dell’avversario. Il centro destra si è affidato all’usato insicuro di Raffaele Fitto, non tenendo conto del lascito di ostilità che la sua precedente esperienza di presidenza aveva seminato sul territorio. Non è un caso che l’astuto Michele abbia concluso la sua campagna elettorale a Nardò, nel Salento, ospite del sindaco di chiare simpatie per l’estrema destra, che con lui ha fatto anche una gita in bicicletta.
Qualcuno forse ricorda il film Allosanfan dei fratelli Taviani. Un annoiato Mastroianni che cerca di svincolarsi dal comando, a suo tempo detenuto, di un residuo gruppo di carbonari durante il periodo della restaurazione nel quarto decennio del XIX secolo; i suoi ex compagni lo rintracciano e lo trascinano in un’avventura insurrezionale nel sud dell’Italia, fidandosi delle parole di un contadino proveniente da un piccolo paese di quelle parti, che sostiene esservi viva insofferenza per il regime borbonico ed ecclesiastico e, pertanto, un fermento potenzialmente rivoluzionario; i miseri s’imbarcano e approdando nelle vicinanze del luogo, sperano di essere accolti a braccia aperte, chi li porta laggiù, però ne è stato cacciato perché inviso a tutti, tanto
che viene chiamato Gianni Peste; finiscono tutti sterminati.
A Fratelli d’Italia è successo qualcosa di simile: si sono fidati sulla conoscenza del territorio di Fitto, che ne è stato presidente; quello che non hanno considerato è che era il territorio a conoscere Fitto, e che molti si ricordavano delle sue promesse non mantenute e delle sue molte manchevolezze. In particolare, in un comizio
proprio a Nardò, aveva promesso mari e monti, ma poi, eletto presidente, aveva provveduto a chiudere il locale ospedale. Ecco perché un sindaco di destra del luogo si è prestato a tirare la volata al suo concorrente.
Emiliano, il “levantino”.
Emiliano, non gradito al PD che però non aveva argomenti per non ricandidarlo, osteggiato dai cinque stelle, nonostante egli li abbia sempre corteggiati, inviso a Renzi memore dell’opposizione da lui subita e vendicativo fino al punto da tentare lì la sua prima avventura elettorale autonoma, per altro miseramente naufragata, Emiliano, si diceva, ha fatto una campagna in piena autonomia, intrecciando alleanze poco
ortodosse. È sceso a patti con il diavolo, ha avuto rapporti (politici) indecenti, non ha avvertito sentori sgradevoli nei suoi compagni di strada, ed ha avuto ragione. Così, contrariamente alle previsioni della vigilia questi due fattori, l’errore di candidatura della destra e la disinvoltura delle sue scelte politiche, lo hanno portato ad un successo non solo inaspettato, ma anche ad un margine di vantaggio al di là delle più rosee previsioni.
Lo hanno votato in tanti; quelli del PD perché non potevano fare altro; alcuni del M5S perché il proprio candidato non realmente in competizione; altri del M5S perché in fin dei conti lui aveva preso posizioni da loro condivise su ILVA, TAP e Xilella; molti ex elettori del M5S perché fortemente delusi dalla scelte nazionali del Movimento sui temi ambientali a loro cari e che avevano costituito l’ossatura del suo successo incredibile nelle elezioni di due anni fa; quelli della sinistra in assenza di un altro candidato, nella coscienza che Emiliano era il male, ma Fitto era peggio (Vendola); infine alcuni di destra per la loro profonda disistima che l’ex presidente si era guadagnata all’epoca del proprio mandato.
Si sono così miseramente infrante le rodomontate di Salvini, che aveva addirittura vagheggiato un 7 a 0.
Ci si è assestati per ora ad un 3 a 3, con l’unica consolazione del cambio al vertice delle Marche, frutto tardivo di un’onda lunga elettorale ormai in esaurimento: la Lega ha perso un terzo dei voti ottenuti alle elezioni europee dello scorso anno; la settima regione è in bilico, ma anche lì la partita sembra volgere al peggio. Lui si consola dicendo che quattro anni fa il centro sinistra controllava 15 regioni su 20 e che ora la situazione è esattamente ribaltata.
Salvini in crisi
Se si guarda in prospettiva, però, l’orizzonte non è così roseo, perché i successi elettorali, frutto dell’impennata dei consensi tra il 2017 ed il 2019, sembrano poco ripetibili. Ma è il suo destino politico che si copre di ombre: prima di tutto la incombente figura di Zaia all’interno del partito; poi la crescita continua del partito concorrente, Fratelli d’Italia, dovuta all’esaurirsi del berlusconismo da una parte, e dall’altra dal
confluire su di esso dei voti di elettori di destra verso una forza politica più ideologicamente e dal percorso meno ondivago; Giorgia Meloni ha un radicamento più tenace con la destra internazionale, come dimostra la sua recente nomina a presidente dei conservatori europei, non ha fatto commistioni con il M5S, la sua non velata simpatia per il ventennio rassicura gli elettori nostalgici ed il suo partito ha una consolidata presenza nelle regioni del sud, regioni in cui la Lega stenta non molto stranamentea trapiantarsi.
C’è poi l’incognita delle inchieste della magistratura e non tanto del processo a Catania che per i suoi tempi lunghi e stanchi è poco utilizzabile per fare da argomento di distrazione di massa verso altre inchieste, quelle connesse alla sottrazione dei 49 milioni di euro,accompagnate dal giro vorticoso del riciclaggio messo in atto dai commercialisti della Lega che sembrano averne dirottato una parte verso i loro personali conti correnti, ma perche l’attenzione verso queste risorse (come sui possibili finanziamenti di provenienza russa) ne sottrae a quelle per il funzionamento della costosissima “bestia” e di quell’apparato di propaganda mediatica che aveva
fatto la fortuna di Salvini. A ciò si aggiunga l’immagine appannata del governatore lombardo Fontana al centro di complicate vicende di finanziamento familiare ma, quel che è più grave, gestore di un fallimento, quello del modello lombardo. Molti scommettono che se si votasse oggi la Lega perderebbe la Lombardia e per la maggior
parte salviniani.
Saverio Craparo