La RU 486 in ambulatorio

Finalmente il Governo ha fatto una ”cosa di sinistra”: dopo dieci anni di attesa ha emanato le nuove linee guida sulla pillola abortiva Ru486. Sono “basate sull’evidenza scientifica; prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana. È un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà del nostro Paese”, ha commentato il Ministro Speranza (mai un cognome fu così evocativo!). Il farmaco si potrà assumere senza ricovero, fino alla nona settimana di gravidanza – prorogando il termine delle sette settimane previsto finora.
A rendere possibile questa decisione è stato il parere formulato su richiesta del Ministro dall’Istituto Superiore di Sanità che ha preso in esame le direttive approvate già dieci anni fa che consigliavano tre giorni di ricovero per la paziente che assumeva la pillola abortiva, lasciando però la scelta alle Regioni che nella maggior parte dei casi hanno optato per la somministrazione ambulatoriale, senza ricoverare la donna che voleva
interrompere la gravidanza.
A rimettere in discussione questa scelta era stata la giunta leghista dell’Umbria, all’indomani della sua elezione. che aveva disposto l’interruzione dell’aborto farmacologico in day-hospital, revocando una precedente delibera del 2019, per dare un segno dell’integralismo trionfante, schierandosi sulle posizioni del cosiddetto “movimento per la vita” diretto da Gandolfini e sostenuto da leghisti come Pillon e Lorenzo Fontana che furono animatori del raduno mondiale ultraconservatore sulla famiglia svoltosi a Verona nel 2019.
Benché le evidenze scientifiche siano molto chiare e il Consiglio di Sanità e le società di ginecologia e ostetricia abbiano espresso un «parere favorevole univoco» l’utilizzazione del farmaco è stata sempre contrastata in Italia dalla lobbies dei ginecologi e dei medici ostetrici, la gran parte dei quali si dichiara formalmente obiettore di coscienza a praticare l’interruzione di gravidanza con l’intento di rendere inapplicabile la legge, per poi detenere il business degli aborti clandestini certamente lucrosi.
Questo ignobile mercato sulla pelle delle donne sfrutta occasioni di oggettive difficoltà e dichiara di sostenere il diritto dell’uomo a cogestire le scelte sull’opportunità di portare a termine una gravidanza sostenendo che la donna non è altro che una fattrice, un contenitore dello sperma e del desiderio dell’uomo, una specie di elettrodomestico da cucina di fatto non tenendo conto del dramma umano che la scelta abortiva
provoca nella donna che vede il proprio corpo manipolato dalle volontà altrui.
La decisione governativa specifica dettagliatamente tutto il percorso da compiere: dal consultorio all’ambulatorio, dove avviene il primo incontro con la donna, a cui va spiegata tutta la procedura e come funziona il farmaco. È da tenere conto che attualmente ancora l’805 degli aborti vengono praticati chirurgicamente.
Per quanto riguarda i criteri di ammissione, vengono escluse dalla procedura le pazienti molto ansiose, con bassa soglia del dolore e le donne che vivono in condizioni igieniche precarie. Trascorse due settimane, viene fatta la visita di controllo, durante la quale verrà «offerta una consulenza per contraccezione».
Tra le novità introdotte nelle linee guida, viene specificato come il mifepristone – lo steroide sintetico utilizzato come farmaco per l’aborto chimico nei primi due mesi della gravidanza – possa essere somministrato sia in consultorio che in ambulatorio. Trascorsa mezz’ora, la donna può tornare a casa, a patto che non sia sola
nell’abitazione o in ansia.
Non c’è quindi quell’abbandono a se stessa denunciato da Fratelli d’Italia msa una messa a carico dei servizi sociali per sottrale alla gestione delle mammane e ai medici obiettori, ma abortisti clandestini.