FARE I CONTI CON CONTE

Fino al gennaio 2018 nessuno cono sceva Giuseppe Conte. Oggi il Presidente del Consiglio ha il 70% dei consensi, sembra muoversi con estrema disinvoltura in Europa, si rivolge alla nazione direttamente, si è guadagnato spazio sui media che in gran parte lo avversano. Eppure non ha un partito proprio, è sostenuto da una coalizione rissosa e composita con la quale riesce tuttavia a mediare.
È perciò inevitabile chiedersi chi è Conte, da dove viene, dove vuole andare?
Fino al gennaio 2018 nessuno conosceva Giuseppe Conte. Chiedendo di
lui negli ambienti romani si apprendeva soltanto che è avvocato cassazionista,
socio in studio del più noto avv. Prof. Guido Alpa. Professore universitario a
Firenze lui stesso era stato eletto componente laico del Consiglio di Presidenza
della Giustizia Amministrativa: avrebbe dovuto fare il “mediatore2 tra Salvini e
Di Maio con il ruolo pomposo di “Avvocato del Popolo”.
Conte si smarca a sorpresa dai suoi sponsor il 20 agosto 2019, dopo i fatti
del Papete, triturando Salvini in diretta TV e guadagnandosi una credibilità che
assolutamente non aveva insieme all’accusa di trasformismo. Riesce così a
mantenere la Presidenza del Consiglio con una maggioranza diversa e in una posizione che si rafforza via via.
Complice la crisi Covid, Conte riesce a rafforzare i suoi poteri e a mostrare la capacità politica di gestire una situazione difficile. Il suo consenso nel paese cresce fino ad oscurare la figura di chi lo ha voluto nell’incarico che ricopre: il sempre più vuoto Giggino Di Maio che guadagna in inconsistenza.

Ma chi è Conte

Per comprendere meglio il personaggio e capire il suo reale orientamento e la sua formazione culturale occorrerebbe riflettere sulla sua formazione avvenuta nel Collegio universitario Fondazione Comunità Domenico Tardini in Villa Nazareth, con sede a Roma, gestito dall’omonima Fondazione voluta dal Cardinal Domenico Tardini, Segretario di Stato vaticano dal 14 dicembre 1958 al luglio 1961 di Giovanni XXIII e patrocinata dal Pontefice, fermo sostenitore dell’impegno sociale e politico dei cattolici.
Devoto fervente di Padre Pio, conserva rapporti costanti con l’ambiente ecclesiastico prova ne sia il suo insegnamento alla LUMSA e l’attività professionale svolta per conto degli enti ecclesiastici di Roma (possessori del più grande patrimonio immobiliare della città) e per lo IOR. Inoltre Conte parla correttamente
tre lingue e costituisce così un’anomalia tra i politici italiani.
L’uomo è dunque esperto di relazioni sociali e d’affari e lo dimostra guadagnandosi gradualmente lo spazio attuale e rivelandosi meno sprovveduto del clisee trasmesso dai 5 Stelle. Lo si potrebbe definire un cattolico sociale culturalmente ben radicato nei principi di questa componente politica ormai dimenticata.
Se usiamo questa chiave di lettura per capire le sue scelte politiche comprendiamo meglio i suoi obiettivi.

Il “cristianesimo sociale” di Conte

Il cristianesimo sociale condivide con il cristianesimo liberale i concetti di separatismo e laicità dello Stato, promuove il progresso etico-sociale, attraverso metodi e teorie economiche non dissimili da quelle riconducibili alla socialdemocrazia riformista. Il suo programma è incentrato sul ruolo dello Stato nella fornitura di servizi per i cittadini, perseguendo adeguati livelli di tassazione per un efficiente sistema di Welfare state con l’obiettivo di garantire una assistenza sanitaria per tutti, sussidi alla famiglia, interventi a favore dei ceti meno abbienti, la previdenza sociale, l’istruzione pubblica, il libero accesso alla cultura.
Se si leggono le sue scelte alla luce di questi obiettivi si coglie la dimensione ideologica della posizione di Conte, allevato e educato nell’ambito di quel personale politico che è strettamente connesso alla Chiesa cattolica e alla sua gerarchia. Anche le sue ambiguità, le sue oscillazioni frequenti sono tipiche del mondo
cattolico ed ecclesiastico e risentono del rapporto irrisolto che esso intrattiene con il capitalismo, il mondo imprenditoriale e la finanza. C’è consapevolezza di questo nella contrapposizione al capitalismo predatore del Presidente della Confindustria Bonomi o contrapponendosi al pragmatismo di Sindaci come Sala preoccupati
del benessere dei milanesi piuttosto che di una politica sociale diretta a tutto il paese.
Siamo quindi di fronte a un Presidente del Consiglio tra i più ideologicamente orientati degli ultimi decenni, allevato come un pollo di batteria nelle istituzioni culturali cattoliche per studiare da politico in una situazione di assenza di un partito cattolico, condizione che ha reso necessario il mimetismo per utilizzare i
5Stelle come il veicolo più adatto per sviluppare un progetto politico.

La politica del Governo

La politica del Presidente del Consiglio ha spazio di manovra e possibilità di essere applicata a causa del vuoto pneumatico di tutte le formazioni politiche che sostengono il Governo. I 5 Stelle costituiscono un “coacervo anonimo degli indistinti”; al loro interno c’è di tutto, prova ne sia che non sono in grado di esprimere una posizione su un qualsivoglia problema e navigano a vista.
Il PD costituisce un apparato burocratico che ha smesso di far politica, gestito da un onesto amministratore di condominio, che non va più in là degli interventi di manutenzione. Italia Viva è un’accozzaglia di cadaveri ambulanti che mercanteggiano posti di sottogoverno mentre LeU si limita a osservare dallo spazio che dignitosamente si è ritagliato al Ministero della Sanità.
Dall’altra parte rimane numerosa e rumorosa una opposizione rappresentata dai neofascisti in doppio petto, radicati nelle amministrazioni locali e sul territorio e una Lega salviniana, divisa tra l’efficientismo di Zaia e la propaganda agitatoria del suo leader che cerca di insinuarsi demagogicamente nelle pieghe della crisi
economica e sociale dicendo tutto e il contrario di tutto. In mezzo tra i due schieramenti Forza Italia che si barcamena, pur dichiarando di far parte dello schieramento di destra.
Tuttavia la situazione economica è grave e l’economia dissestata; la ripresa tarda a venire e in questa situazione Conte sembra essere credibile agli occhi dell’asse franco tedesco che dopo l’uscita dell’Inghilterra dalla U. E. ha bisogno dell’Italia per mantenere in piedi l’Unione, ha bisogno del suo mercato e soprattutto la
Germania non può perdere quei distretti del centro nord nel quale sono localizzate produzioni di qualità per l’industria tedesca. Conte è ben consapevole di questa situazione, ne approfitta per chiedere il sostegno europeo attraverso una trattativa aperta per spuntare condizioni di maggior favore. Le prospettive di trasformazione
della struttura produttiva italiana nella direzione dell’economia green promettono di canalizzare nel paese investimenti che fanno gola alla finanza e all’industria italiana che sperano di accaparrarsene fette sostanziose e che sono perciò disponibili ad inghiottire un Governo che non amano.
Da parte sua Conte, sia pure tra tante incertezze e ambiguità, vuole puntare a portare a termine questa ristrutturazione produttiva puntando sulla valorizzazione del ruolo imprenditoriale dello Stato. Si spiega così l’intervento su Atlantia e ancor più il piano di elettrificazione dell’ILVA in preparazione, interventi diffusi in
diversi settori e l’attivazione della leva keynesiana dei lavori pubblici (alta velocità a sud, ripartenza dei cantieri).
Uno dei punti carenti di questa strategia è l’intervento sulla scuola, totalmente assente, anche a causa della forte contrapposizione di interessi con la scuola privata, i cui difensori sono rappresentati dal PD.
L’Italia è il paese che meno spende per l’istruzione; da anni gli investimenti nel settore sono calanti (se si eccettua il Governo Renzi, che ha pompato un po’ di risorse ma nella direzione sbagliata, finendo per fare più danni di prima);
l’emergenza sanitaria ha messo a nudo le falle esistenti accumulatesi nel tempo e non è certo possibile farvi fronte in due mesi. Da qui l’accavallarsi di ipotesi strampalate, di linee guida contraddittorie, di iniziative di acquisto di arredi a dir
poco risibili. Questo pressapochismo, che fa capo ad un Ministro inadeguato e ad un Ministero ormai preda dell’inefficienza, apre ampi spazi alla critica delle opposizioni. È a questo settore che, reduce dalla trattativa per i fondi europei, il Governo Conte deve rivolgersi con accortezza se non vuole scivolare su di una buccia di banana.
Un altro fronte su cui operare con molta attenzione è quello delle opere pubbliche. Se Conte vuole sviluppare un piano economico volto più al benessere sociale diffuso che ai profitti tanto cari a Confindustria, deve dire addio alle grandi opere, costose e dannose (si ricordi la scivolata sul Ponte di Messina) e dare avvio
ad un riordino del territorio e all’apertura di infiniti piccoli cantieri, con alto contenuto di lavoro e con forte ricaduta sulla ripresa, segnando così una significativa svolta nei confronti di una politica economica pervicacemente seguita con pessimi risultati ormai da troppo tempo e che non ha capito quale sia il vero problema: quello del rilancio dei consumi.

La trattativa di Bruxelles

Gli esiti della trattativa sul Recovery Fund costituisce un indubbio successo per il Governo e testimonia dell’abilità negoziale di Conte che con gli esiti conseguiti è riuscito a arginare il dissenso sul Mes che rischiava di spaccare la sua maggioranza. Sul piano internazionale l’accordo rappresenta un fallimento ennesimo della politica statunitense perché gli USA, con l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione hanno perso la capacita di bloccare i processi unitari in Europa e l’Olanda per quanto voglia opporsi ha poche possibilità negoziali.
Dire questo non significa affatto che tutto è risolto e che l’Europa marcia verso gloriosi destini. Peraltro ora il Governo è atteso a confrontarsi sulla spartizione della torta e quindi sulla scelta di come e dove investire i finanziamenti messi a disposizione. Per ora l’opposizione non ha toccato palla e la situazione l’hanno ben
compresa sia Forza Italia che Fratelli d’Italia i quali sono disponibili a portare un ramoscello d’ulivo pur di essere invitati a sedere al tavolo nel quale si decidono gli interventi e si spartisce la torta.
Ecco perché occorre sviluppare una grande mobilitazione individuando gli assi portanti di intervento, nell’economia e nella struttura dello Stato per migliorare i servizi a cominciare da sanità e scuola, reinventarsi una struttura industriale del paese, avere cura di mettere in campo una redistribuzione della ricchezza che
intervenga sulla forbice di redistribuzione del reddito in una direzione egualitaria.
La situazione che si è determinata richiede la presenza di una opposizione forte e non solo in Parlamento che si costruisce innanzi tutto unificando il mondo del lavoro, ricostruendo i legami di solidarietà di classe, creando un fronte comune che rivendichi il risanamento del paese e riforme che fanno avanzare una
ridestribuzione del reddito più equa in una direzione esattamente opposta alle politiche economiche che hanno caratterizzato e caratterizzano l’ordocaptalismo avendo chiaro che l’economia neocurtense e green che si va affermando merita anch’essa un’attenta analisi degli effetti che ci ripromettiamo di segnalare all’attenzione di tutti.

La Redazione