Le lotte oscurate dei senza diritti.

Esiste in Italia un esercito invisibile di donne e uomini di tre milioni e settecentomila lavoratrici e lavoratori utilizzate/i in agricoltura, nel commercio, nel turismo, nell’industria, che non hanno un contratto di lavoro, non hanno assicurazione malattia, non percepiscono un salario regolare, ma in media una paga pari al 40% di quanto viene corrisposto a chi è titolare di un contratto e fa lo stesso lavoro. Si tratta di un esercito industriale (e agricolo) frammentato, fatto di lavoratori grigi, lavoratori stagionali appartenenti a settori diversi, di lavoratori intermittenti, sia con obbligo di risposta alla chiamata e indennità di disponibilità, sia senza obbligo di risposta alla chiamata e senza indennità di disponibilità; di lavoratori autonomi occasionali, privi di partita IVA e non iscritti ad altre forme previdenziali
obbligatorie; di lavoratori incaricati alle vendite a domicilio, titolari di partita IVA attiva, iscritti alla Gestione Separata e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.
Poi ci sono i lavoratori totalmente in nero che sono più di 400mila secondo le stime di Federalberghi, quelli impegnati nel settore del turismo, un altro milione (di cui 370 mila stranieri), nel settore agricolo.
Benché non esistano dati certi e verificabili l’emergenza Covid ha costretto i Prefetti a censirli per ragioni sanitarie, al fine di mettere in atto misure di contenimento del contagio e così una serie di situazioni al limite della schiavitù sono emerse in tutta evidenza. L’ISTAT ha calcolato che il lavoro irregolare vale 79 miliardi (dei 192 miliardi complessivi di valore dell’economia sommersa), con una incidenza sul prodotto interno lordo del 4,5 per cento; il tasso di incidenza del lavoro irregolare su quello regolare – sempre secondo l’Istat – supera in media il 15%, del totale degli
occupati, con punte del 60% nel lavoro domestico e del 17% nel commercio
Senza Questi lavoratori non solo l’agricoltura, ma anche l’industri e i servizi entrerebbero in forte crisi.

Il peso del lavoro irregolare

Su un totale di 3,7 milioni di occupati irregolari in Italia, 220 mila  circa sono utilizzati in attività agricole, della silvicoltura e della pesca. È uno dei dati che emerge dal focus Censis reso noto in occasione dell’assemblea della cooperazione agroalimentare e della pesca. In agricoltura la quota di sommerso raggiunge il 16,9% e tende a crescere nell’ultimo periodo, con +0,5% (dati tra il 2014 e il 2017), così come accade nella produzione di beni alimentari e di consumo con +0,4%. Un fenomeno di grandi dimensioni assolute e relative, ma pericoloso soprattutto per la forte concorrenza sleale che esercita nei confronti dell’occupazione regolare del comparto, producendo fenomeni di concorrenza sleale e una generale riduzione dei salari.
I l lavoro nero è un fenomeno trasversale e radicato nel mercato del lavoro italiano ed è anche una delle ragioni del persistere di forme di arretramento civile ed economico del Paese. Esso riguarda l’Italia nella sua interezza, anche se nel
Meridione si conta oltre il 40% del totale dei lavoratori impiegati senza contratto, del Pil sommerso e delle imposte evase.
Questa situazione si combina con forme diverse di intermediazione illecita (caporalato), espressione di un sistema di reclutamento e impiego della manodopera, straniera ed italiana, a volte di natura transnazionale e legato alla tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, che determina o tende a determinare, l’umiliazione della dignità del lavoratore, la violazione del relativo contratto di lavoro e delle regole proprie del mercato.
Si tratta di comportamenti criminali complessi che vanno a affrontati attraverso una riforma radicale del mercato del lavoro, combattendo la precarietà, la flessibilità e l’atipicità, che ha avvicinato il lavoro regolare a quello irregolare, e con esso ha teso a assumere le varie e illecite forme di caporalato come modello sociale di riferimento per la gestione del mercato del lavoro. L’agricoltura, nello specifico, nasconde forme di sfruttamento così radicali da determinare la riduzione in schiavitù del lavoratore. È un fatto che l’importazione di lavoratori stranieri ha privilegiato la copertura dei fabbisogni di lavoro a bassa qualificazione e consentito processi di strutturazione del sistema agro-industriale nazionale permettendo di rallentare i processi di meccanizzazione e quindi gli investimenti, grazie all’abbondanza di una disponibilità di manodopera a basso costo. al punto che oggi realtà strutturalmente forti coesistono con altre invece deboli e in perenne crisi occupazionale, oltre che condizionati dalla forza intimidatrice delle mafie. In buona sostanza sono stati incentivati il lavoro nero, lo sfruttamento e i sistemi criminali e mafiosi organizzati allo scopo di ottenere profitto e potere attraverso l’uso strategico della violenza, del ricatto e dell’intimidazione.

Le “fosse dei dannati della terra”

Si è così creata una road map di “fosse dei dannati” in giro per Italia che va da nord a sud e si sposta con le stagioni e i tempi della semina e dei raccolti. Si va dal Trentino Alto Adige per la raccolta delle mele e dell’uva e ancora per la raccolta dell’uva e delle nocciole nelle Langhe per la raccolta della frutta in Emilia Romagna e dell’uva in Toscana, per la semina e raccolta dei prodotti dell’orto nell’Agro Pontino e nel casertano, ai pomodori e alle olive nelle Puglie, agli agrumeti in Calabria e Sicilia, ai prodotti da serra nel ragusano e di altri luoghi infernali si potrebbe dire dove mancano gli alloggi e l’acqua, dove i servizi igienici sono inesistenti, dove si vive in baracche che prendono fuoco, d ove le paghe sono da fame e l’assistenza sanitaria non c’è, dove i diritti non esistono e si muore.
Ne si tratta solo di immigrati irregolari perché questi gironi infernali non discriminano tra cittadini italiani e clandestini ma portano tutti al livello più basso di sussistenza.
E poi ci sono le stalle, le fattorie, i pollai, le porcilaie, i salumifici, quando non i laboratori semiclandestini, i capannoni isolati, che permettono il lavoro in nero e sostengono quella gran parte dell’economia sommersa del paese che avvelena il mercato del lavoro e rende i lavoratori sempre più ricattabili. E ancora, anche qui niente diritti, solo sfruttamento, fame e sporcizia.
Ma lo sfruttamento diventa raffinato e capillare nel commercio attraverso il rapporto di dipendenza a cottimo, per i raiders chiamati ad autogestirsi lo sfruttamento con orari di lavoro massacranti, senza alcun diritto e garanzia, oppure sfruttati con contratti a termine intermediati da “cooperative” nella logistica e nella distribuzione.

Lotte e scioperi

La reazione incredula del signor Salvini all’annuncio di Abubakar Soumaor, sindacalista, impegnato nelle lotte dei migranti che ne annunciava lo sciopero dei migranti la dice tutta sulla percezione che si ha del fenomeno ma al tempo
stesso permette di capire quale debba essere la risposta a questo problema.
Come sosteneva il sindacato IWW (Industrial Workers of the Word) è ora di organizzarsi e molte lavoratrici e lavoratori cominciano non sono a capirlo ma anche a farlo per sostenere con la lotta i loro diritti. Perché e combattendo sul luogo di lavoro che si aprono gli spazi per conquistare i diritti, perché dal luogo di lavoro parte la strada che porta alla piena acquisizione dei diritti di cittadinanza perché misure di concessione di permessi temporanei di soggiorno e la stessa
concessione dello Ius soli non servono a nulla se non si comincia affermando il diritto di tutti a uguale salario per uguale
lavoro, per la tutela dei diritti sancita dal contratto di lavoro per un salario dignitoso che consenta di disporre di un alloggio e dei servizi necessari alla vita.
Questa lotta non può essere condotta in modo isolato da quella degli altri lavoratori ma occorre collegare le diverse lotte e vertenze in un’unica grande, costante iniziativa per il diritto al lavoro per un salario giusto per servizi alla persona
dignitosi È questa la strada da percorrere sulla quale creare e costruire alleanze che possono dare una soluzione a questo problema.

Gianni Cimbalo