La MES-fobia

Nel dibattito politico italiano nessuna parola, neppure quella di “migrante”, suscita oggi più riprovazione di quella di MES (Meccanismo Europeo di Stabilità, ESM nell’acronimo europeo). Occorre precisare alcune cose prima di capire quale sia la situazione attuale, cose che un’opinione pubblica disinformata ignora abbeverandosi ad una
propaganda facile, quanto falsa.

Cosa è il MES.

Correvano gli anni della crisi “finanziaria” (cosiddetta per comodità di linguaggio) del 2007. Gli Stati europei in difficoltà (Grecia) venivano aiutati con erogazioni di prestiti dagli altri paesi singolarmente e le regole per tale prestito prevedevano già allora l’intervento di controllo della “Troika” (Fondo Monetario
Internazionale, Banca Centrale Europea, Commissione Europea) sull’utilizzo dei fondi ottenuti e sulla possibilità del debitore di onorare gli impegni, grazie a pesanti sacrifici imposti al proprio popolo. Nel 2010 iniziò una trattativa comunitaria volta a evitare l’aleatorietà dei contributi singoli e per costituire un fondo, costituito con il contributo di tutti i paesi che hanno adottato l’Euro, cui fare riferimento per l’ottenimento dei prestiti. Le pesanti condizioni cui sottostare per ottenerli, in pratica una messa sotto sequestro della politica
economica del paese, restavano immutate, se non inasprite; la Grecia lo sa bene.

Chi ha approvato il MES in Italia.

La trattativa per l’istituzione del nuovo fondo (cosiddetto “salva-stati”) durò più di un anno. Per l’Italia il Ministro delle Finanze Giulio Tremonti (del Popolo delle Libertà, di Silvio Berlusconi, ma molto filoleghista) la portò avanti fino al 25 maggio 2011, data in cui Il Consiglio Europeo (organo costituito da tutti i capi di Stato dell’UE, per l’Italia allora Silvio Berlusconi) approvò il trattato. Esso ebbe poi un iter un po’ più lungo per la ratifica, perché fu necessario riformare il TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea, cioè l’insieme delle regole generali che governano l’UE), per inserirvi la possibilità di costituire il Fondo di solidarietà), cosa avvenuta il 2 febbraio 2012. Nel frattempo il Consiglio dei Ministri emette il 3 agosto 2011 un comunicato stampa (n° 149) in cui si dichiara che “Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti: […] su proposta del Ministro degli affari esteri, Frattini: – due disegni di legge per la ratifica e l’esecuzione dei seguenti Atti internazionali: 1. Decisione del Consiglio europeo 2011/199/UE, che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente ad un meccanismo di stabilità (ESM- European Stability Mechanism) nei Paesi la cui moneta è l’euro; obiettivo della Decisione è far sì che tutti gli Stati dell’Eurozona possano istituire, se necessario, un meccanismo che renderà possibile affrontare situazioni di rischio per la stabilità finanziaria dell’intera area dell’euro”.
È appena il caso di ricordare che la Lega Nord faceva parte di quel governo Berlusconi e che Giorgia Meloni ne era Ministro per la Gioventù. La ratifica del nuovo trattato da parte del parlamento italiano avviene ovviamente dopo il febbraio del 2012; il governo Berlusconi è caduto e gli è subentrato il governo Monti (quello del pareggio di bilancio), che è responsabile di averlo portato in aula: di esso non fa parte la Lega Nord che, essendo all’opposizione, non lo vota dopo averlo approvato in Consiglio dei Ministri, ma lo vota il Popolo
delle Libertà di cui fa parte Giorgia Meloni, che asserisce di non averlo votato, dimenticandosi di precisare che non era presente, e che lo aveva votato nell’agosto precedente.

Che impegni comporta il MES.

Cinque Stati hanno fatto ricorso al MES da allora, tra cui la Spagna e Cipro; nonostante le pesanti condizioni cui si sono sottoposti, gli effetti non paiono tanto disastrosi quanto lo furono per la Grecia. Per quest’ultima è bene ricordare che le sue condizioni erano disperate soprattutto a causa della situazione del bilancio statale la cui vera entità fu falsificata all’atto di adesione all’UE. Ciò, comunque, non toglie che il ricorso al MES impone un rigido ricorso a regole di austerità e la necessità di rientro del debito pubblico,
impossibili da sostenere per un paese indebitato come l’Italia, pena un massacro sociale. D’altra parte tutta la politica economica dell’Unione Europea è improntata ad un rigoroso liberismo, o meglio “ordoliberismo”. Ma a
scanso di equivoci, l’esistenza del Fondo non obbliga nessuno a farvi ricorso e ad accettarne le regole capestro; obbliga invece a versarvi i dovuti contributi che l’Italia regolarmente versa a fondo perduto ed a beneficio di
altri.

Attenti al lupo.

Uno Stato deve comportarsi come “un buon padre di famiglia”, così recita il mantra degli economisti di regime monetario. Questo significa che non si deve “spendere più di quanto non si guadagni” e che gli eventuali debiti contratti vanno onorati, ovviamente alle condizioni del creditore: nessun accordo, tassi di interesse da usura, politica sociale ed economia eterodeterminata per soddisfare i parametri di solvibilità richiesti, anche se assurdi. Guai a stampare moneta, perché ciò scatenerebbe l’inflazione e farebbe decrescere il
debito a danno di chi ha erogato il finanziamento. La verità sta altrove, fuori dalle equazioni inconsistenti inventate dai neoliberisti, del tutto impotenti a descrivere la realtà. Durante la crisi iniziata nel 2007 e tutt’ora in corso (aggravata dalla pandemia Covid19) la Federal Reserve statunitense ha inondato il mercato di un fiume in piena di dollari e nessun fenomeno inflattivo si è generato. Il dollaro ha perso un po’ del proprio valore sui mercati monetari, ma ciò è dovuto in massima parte alla debolezza dell’economia manifatturiera del paese, che non trova adeguati sbocchi internazionali per le proprie merci ed ha, quindi, una bilancia commerciale cronicamente in perdita da tre decenni. L’inflazione si genera con gli alti tassi di interessi, che gravano sui
debiti sovrani che in tal modo si avvitano su se stessi.

L’equivoco della BCE.

Sotto la guida di Mario Draghi, con la sorda opposizione della Germania e dei paesi “rigoristi”, anche la Banca Comune Europea ha stampato ingenti quantità di Euro, sotto il nome convenzionale di “quantitative easing”, senza riuscire per altro a fare salire adeguatamente l’inflazione. Queste immense risorse, però, non sono finite ad oliare il meccanismo produttivo, come è successo nel caso degli USA, a causa delle regole che l’ordoliberismo tedesco ha imposto all’Unione. Negli Stati Uniti d’America il denaro è andato a sostenere la produzione ed il consumo, sostenendo la congiuntura, ma non risolvendo del tutto la crisi; gli sforzi in questo senso dell’Amministrazione Obama hanno, comunque, prodotto alcuni risultati positivi che si sono riverberati pallidamente sul suo successore, che li ha potuti rivendicare come successi della propria insulsa politica economica. Ma la BCE, per statuto, non può prestare soldi ai privati od agli Stati, ma solo alle banche. Il denaro
si è quindi riversato sul sistema finanziario, che ne ha approfittato per smaltire una minima parte di quei titoli “tossici” prodotti e posseduti dalle banche (Deutsche Bank in primis), un insieme la cui immensità sfugge alla
comprensione umana (si parla di dieci volte il PIL mondiale); pressoché nulla di tutto questo afflusso di denaro è finito in credito alle imprese e quindi nell’economia reale.

Il nuovo MES.

Occorre leggere i termini dell’accordo intercorso tra i Ministri dell’Economia dell’eurogruppo il 9 aprile u.s., per capire cosa sia veramente previsto. La prima considerazione, comunque, è che qualsiasi siano i termini dell’accordo esso non vincola nessuno se non all’atto della richiesta dei relativi fondi, cui nessuno è obbligato.
Supponiamo che le notizie di stampa siano corrette e che i 37 miliardi che sarebbero a disposizione dell’Italia soggiacciano alla sola condizione di essere effettivamente spesi per far fronte all’emergenza sanitaria; ne discenderebbe che quei soldi non sarebbero ulteriormente classificati come MES, le cui condizioni di accesso sono molto più restrittive; si tratterebbe quindi, nella sostanza, di un nuovo fondo creato apposta per la pandemia in corso. La critica di sinistra sostiene che usufruire di quel denaro sarebbe comunque come accendere un prestito che andrebbe prima o poi onorato e che quindi andrebbe a gravare sul debito pubblico, con l’inevitabile conseguenza di un controllo europeo sulle finanze dell’Italia. Ciò è indubbiamente vero, ma lo
è per questo fondo come per qualsiasi altro flusso di denaro pubblico; le misure eccezionali varate in questi giorni dal governo Conte (400 miliardi nominali nell’ultimo decreto) sono comunque in deficit e a quel medesimo debito pubblico vanno a sommarsi. La critica, pertanto, risulta valida indipendentemente dal nuovo fondo istituito; risulta altrettanto evidente, però, che questa critica trova la sua giustificazione entro la cornice delle attuali regole finanziarie e la loro intatta permanenza e non si appunta contro quelle regole, che sono le vere cause dei problemi legati al debito. Tra l’altro è utile precisare che se l’Italia ha un debito pubblico che si situa sopra il 130% del PIL, quello della Francia è intorno al 100% e il Giappone supera tutti con il 220%; persino la Germania con il 65,7% supera il fatidico 60% previsto dal trattato di Maastricht. Ma a riprova che non è un basso debito pubblico a determinare il benessere di un paese basta ricordare ad esempio che quello
dell’Afghanistan è dell’8,3%.

La vera novità.

La cosa da osservare è un’altra. Fatto salvo che un vero aiuto sarebbe quello di erogare sovvenzioni a fondo perduto, finanziamenti e non prestiti, unico vero modo per risollevare un’economia che corre verso uno schianto terribile, dalle conseguenze disastrose soprattutto per i più deboli, per gli operai, per i lavoratori in genere, per i piccoli artigiani, fatto salvo tutto ciò occorre intanto valutare l’esistente. Sembra essersene finalmente reso conto Macron che nella sua intervista al Times del 17 aprile ha ricordato che non aver preteso il
pagamento dei debiti di Guerra da parte della Germania ha preparato la seconda guerra mondiale e perciò propone ancora timidamente sovvenzioni a fondo perduto. Relativamente al MES nessuno ha notato che questo fondo è di fatto un nuovo strumento che rappresenta una novità da non sottovalutare: i soldi vanno agli Stati purché li spendano e quindi entrano nel circolo dell’economia reale e non in quello fittizio della finanza.
Certo occorrerà analizzare con prudenza e accuratezza il contratto di prestito, assicurandosi che siano esplicitamente esclusi meccanismi di condizionamento relativamente ai tempi e modalità di restituzione e
prevedere che i tempi di restituzione del debito siano almeno di 50 anni. Inoltre c’è da osservare che l’Italia finora non ha fatto un buon uso delle erogazioni europee, lasciando inutilizzate gran parte delle risorse ottenute da fonte europea, per lentezze burocratiche, per farraginosità delle procedure, per inefficienza degli enti amministrativi preposti al loro utilizzo e soprattutto per incapacità nel fornire una adeguata rendicontazione secondo le regole comuni europee che di fronte al mancato rispetto di questa clausola non erogano il
finanziamento. (è famoso il caso della cosiddetta “autostrada Italia” costruita in Polonia con fondi europei non utilizzati dall’Italia, per incapacità gestionali).
Questo è il vero pericolo cui necessita prestare la massima attenzione.
                           

                                                                                                  Saverio Craparo