Quello che sta avvenendo impone la necessità di prestare un’attenzione costante al sistema sanitario e alla gestione democratica della cura che ha come primi presupposti la gratuità, l’universalità, l’efficienza delle strutture sanitarie e la loro adeguatezza ai più alti livelli tecnologici e strumentali attraverso un rapporto costante con la ricerca. Essenziale è poi la formazione del personale medico e paramedico i cui numeri vanno attentamente e oculatamente programmati. Se questi sono i criteri operativi alcune questioni a monte vanno necessariamente chiarite a partire dal rapporto tra industria farmaceutica e profitto. In Italia come in molti altri paesi l’industria farmaceutica riveste una grande importanza economica e vive da un lato con i profitti derivanti dal rapporto con il servizio sanitario nazionale, particolarmente forte in Italia, a causa dell’esistenza di un sistema sanitario universalistico e dalle relazioni con le strutture universitarie con le quali l’industria farmaceutica stabilisce rapporti di collaborazione, speso finanziando borse di studio per i ricercatori e ricevendo in cambio i frutti della ricerca. Gli alti costi di ricerca relativi ai farmaci consentono la protezione della proprietà dei brevetti che spesso si traduce in una limitazione nell’accesso ai farmaci o in una onerosità eccessiva per il servizio sanitario nel suo complesso. Tuttavia l’accesso ai farmaci ha anche una dimensione sovranazionale per cui occorre aprire un dibattito approfondito sulla disponibilità per le popolazioni più povere, almeno per quanto riguarda la gestione dei vaccini e delle cure salvavita, affrontando il problema della proprietà dei relativi brevetti dei quali occorrerebbe una gestione condivisa a partire da una cooperazione nella fase della ricerca. Tra i ricercatori non mancano comportamenti virtuosi: valga ad esempio la decisione della virologa Ilaria Capua la quale nel 2006 decise di rendere immediatamente pubblico su una banca dati aperta il genoma dell’influenza aviaria che il suo laboratorio per primo aveva appena sequenziato, lanciando poco dopo l’iniziativa GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data), un network internazionale per la condivisione on-line dei dati genetici dei virus dell’aviaria. Ebbene si tratta di comportamenti da generalizzare ed è da auspicare che questo stesso modus operandi venga seguito in occasione delle ricerche per il vaccino e l’individuazione delle terapie per il Covid 19, affrontando il problema della cura delle malattie come interesse comune dell’umanità piuttosto che come parte di un disegno strategico di dominanza e controllo a livello politico strategico, come avviene ad esempio nella politica statunitense. Infatti da tempo immemorabile l’embargo decretato contro Cuba comprende anche le forniture mediche e i medicinali e ciò malgrado l’isola è riuscita a dotarsi di un sistema sanitario eccellente, prepara medici e personale sanitario di alto livello, si è specializzata soprattutto in oftalmica e ha costituito delle brigate sanitarie di solidarietà per la cura di pandemie nel mondo (ebola, aviaria, sars) ed è presente anche oggi in Italia dove gestisce a Crema l’ospedale da campo realizzato dall’esercito italiano. Quando sta avvenendo dovrebbe farci capire che la malattia e la cura non possono essere trattati come un problema prevalentemente economico, ma che occorre guardare con attenzione alle implicazioni sociali delle scelte in materia di assistenza rispetto alle fasce più deboli della società e questo anche al fine di rimuovere le cause di possibili disastri.
Solidarietà sociale e tutela della salute gestione degli anziani
Ne è un esempio quanto è avvenuto a proposito della gestione sociale della popolazione anziana soprattutto nelle regioni del nord Italia. Se ci chiediamo le cause della particolare virulenza dell’epidemia in Lombardia e ci interroghiamo sul gran numero di morti riteniamo si debba guardare alla configurazione organizzativa e strutturale della gestione collettiva delle fasce più anziane della popolazione dalla Regione. Si vedrà allora che in Lombardia (700 ASP con 60.000 assistiti) vi è la più grande concentrazione di residenze per anziani prima del Veneto (500 circa) di Emilia Romagna e Piemonte (250 circa) e poi a distanza della Toscana (150 circa). In altre Regioni queste strutture sono presenti in numero minore via via che ci si sposta a sud. Si tenga conto che a partire in particolare dal 2003 in Lombardia venne approvata la legge (L.R. 13 febb. 2003 e il regolamento applicativo del n. 11/2003) con la quale le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB) vennero trasformate in Aziende di Servizi alla Persona (ASP). Le ASP vennero dotate di autonomia statutaria, regolamentare, patrimoniale, contabile, tecnica e gestionale e avrebbero dovuto informare la propria organizzazione ed attività ai principi di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza e operare con criteri imprenditoriali con obbligo di pareggio di bilancio. Questo orientamento è stato confermato dalle leggi R.L. 3/2008 e 2/2012, tutte emanate nell’era della gestione della Regione da parte di Formigoni. Si trattava di strutture, molte delle quali di origine religiosa, all’interno delle quali rimane importante il ruolo gestore di Comunione e Liberazione) già pubblicizzate nel 1890 dalla Legge Crispi e trasformate in IPAB la gran parte delle quali era titolare di patrimoni cospicui che vennero messi sul mercato, ma quel che è più significativo è che si stabilì, a partire dal 2003, che di tali strutture avrebbero dovuto essere da allora in poi gestite “con criteri imprenditoriali con obbligo di pareggio di bilancio” per cui fu questa la principale caratteristica della trasformazione. Basta guardare il regolamento per comprendere i fini dell’aziendalizzazione e per capire che tali strutture, a dispetto della loro denominazione, sono strutture di contenimento di anziani e disabili che hanno ben poche caratteristiche di strutture sanitarie. Infatti nella grande maggioranza dei casi non dispongono di personale medico interno ne di personale infermieristico, ma solo di personale di accudienza. La Regione, che pure ha il potere di vigilanza sulle loro attività, non ha disposto idonei servizi sanitari di vigilanza e profilassi. Pertanto queste strutture collettive si sono trasformate in facile focolaio di infezione virale, stante la concentrazione in spazi di comunità di anziani ad alto rischio. Di una situazione migliore avrebbero sulla carta dovuto godere gli anziani assistiti in famiglia, a volte mediante il ricorso a badanti, ma anche in questo caso è venuta meno la profilassi a causa del progressivo e costante indebolimento della rete dei medici di famiglia che avrebbero dovuto garantire una profilassi diffusa. E questo perché il piano sanitario regionale lombardo, in particolare, ha puntato alla realizzazione dei grandi ospedali, alla contrazione della presenza diffusa di strutture sanitarie sul territorio perché in tal modo è stato possibile destinare il 40% del budget sanitario alle strutture mediche private che hanno come clientela di riferimento l’intero paese e soprattutto le popolazioni di quelle aree che sono malservite o poco servite dalla sanità pubblica: in pratica il privato imprenditore della sanità lombarda ha fatto profitti con le risorse dei lombardi !
Il centro sud e la pandemia
Nel momento nel quale scriviamo non sappiamo quali saranno i livelli di espansione dell’epidemia nelle regioni meridionali anche se ci auguriamo che la diffusione del virus non avvenga a livello di massa, viste anche le condizioni miserevoli dei servizi e della gestione della sanità. Certo i meridionali rientrati dal nord si sono dimostrati degli emeriti imbecilli, estendendo il contagio. Ciò malgrado la diversa gestione degli anziani attraverso badanti o residue famiglie patriarcali, la disseminazione territoriale degli abitanti, si stanno rivelando un vantaggio. Va tetto inoltre che la mancata aziendalizzazione sia della sanità che dei servizi sociali hanno lasciato in vita i presidi territoriali costituiti dai medici di famiglia e dalla farmacie che costituiscono di fatto dei presidi sanitari sul territorio. Ciò non significa che alla luce di quanto sta avvenendo non sia necessario affrontare un dibattito e trovare soluzioni alla carenza di strutture ospedaliere e di cura rafforzando l’assistenza sanitaria pubblica e ponendo un argine all’esodo di malati verso le Regioni del nord Italia e della Lombardia in particolare, con conseguente dissanguamento dei bilanci delle regioni meridionali, senza che venga arrestata la desertificazione del territorio dalle necessarie strutture sanitaria. Si potrebbe cominciare con l’arresto immediato di tutti i responsabile delle “incompiute” ovvero delle strutture sanitarie costruite in tutto o in parte e abbandonate per i motivi più diversi, varando poi un piano di razionalizzazione del tessuto organizzativo e garantendo la ripartenze.
Le carenze strutturali
Alla luce di questi elementi di analisi e di questa situazione strutturale si comprende che la sostanziale impreparazione del paese alla pandemia non dipende solo dal mancato aggiornamento del Piano di Prevenzione contro le pandemie, aggiornato l’ultima volta nel 2010, né dalla progressiva riduzione dei reparti di terapia intensiva e dalla conseguente carenza di attrezzature, né dalla carenza pur presente di personale medico e paramedico, ma dall’impostazione strutturale del sistema sanitario e di assistenza sociale oltre che dall’allocazione delle risorse tra le diverse voci di spesa nel bilancio dello Stato. L’attenzione agli interessi privati, la diversa gestione da Regione a Regione, il commissariamento di molte Regioni e il ricorso a commissari spesso coincidenti con i presidenti di Regione, la presenza di responsabili plurindagati per reati contro la pubblica amministrazione, oppure palesemente incapaci dal punto di vista tecnico e gestionale per loro stessa dichiarazione, (vedi il caso della Calabria) sono atteggiamenti e modus operandi che non possono più essere tollerati e pertanto vanno quantomeno adottati standard minimi validi su tutto il territorio nazionali di servizi sanitari e di servizi alla persona, discutendo contenuti e forme di attuazione dell’autonomia differenziata e facendo chiarezza sulle caratteristiche generali di un servizio sanitario che sia veramente nazionale, ovvero abbia caratteristiche uniformi su tutto il territorio del paese garantendo eguali diritti.
La Redazione