CAPITALE MAFIOSO

Il recente omicidio del giornalista slovacco Ján Kuciak e della sua compagna ha richiamato l’attenzione sull’espansione nell’Est Europa della criminalità organizzata e della finanza criminale, mettendo in evidenza le caratteristiche del modus operandi e delle modalità di viluppo delle economie di questi paesi.
Il fenomeno va analizzato non solo e non tanto per i casi sempre più frequenti di decentramento produttivo (caso Embraco, da ultimo), ma anche perché questi modelli di gestione dell’economia e della società rischiano di prevalere nel continente, sia all’Est che all’Ovest annientando la memoria storica e le capacità di lotta residue delle classi subalterne, imponendo il prevalere di un’economia di rapina che soffoca ogni capacità di crescita dei diritti sociali all’Est e impoverisce sempre di più le classi subalterne dell’Ovest del continente.

Attività capitalistica e organizzazioni criminali.

L’accumulazione capitalistica, in quanto estrazione di plusvalore dal lavoro, è di per se un’attività criminale, anche se sancita come lecita dalle leggi volute dal capitalismo, le quali stabiliscono che al lavoro prestato deve corrispondere un salario il cui ammontare è stabilito dal rapporto tra potere politico e classi subalterne, tra domanda e offerta sul mercato del lavoro e sostenuto dalla forza dello Stato che impone questa legislazione. Tuttavia c’è chi non giudica abbastanza conveniente queste modalità di sfruttamento e impone attraverso metodi che lo stesso capitalismo considera criminali pur di accumulare un profitto anche maggiore Ci riferiamo alla criminalità organizzata che considera troppo restrittive le leggi imposte dallo Stato e ricorre alla violenza criminale, al furto, alla truffa, alla vendita di sostanze stupefacenti per accumulare capitali e investirli poi sul mercato capitalistico per “lavarli” e farli diventare “capitali leciti” secondo i parametri adottati dalla società capitalistica.
In Italia questo modo di procedere è stato fatto proprio da tempo da associazioni criminali come la mafia e la ‘ndrangheta o la camorra, per citare solo le più note, associazioni che oggi si differenziano tra loro per composizione e metodologia di lavoro. Queste associazioni hanno creato un economia parallela nel quale esse operano che si colloca accanto al mercato capitalistico e spesso si intreccia con esso in un groviglio di interconnessioni e interessi, facendo a volte da supporto al mercato capitalistico, cosiddetto lecito. Alcuni esempi ci sono offerti dalla gestione del mercato del lavoro in quanto è la criminalità organizzata che gestisce per conto degli imprenditori il mercato del lavoro precario e semi clandestino, costituito dalle migliaia di lavoratori stagionali o occasionali, dagli immigrati, attraverso il caporalato che si pone come strumento di collegamento tra in mercato clandestino e quello ufficiale della forza lavoro. Del resto questo è un compito storico di queste organizzazioni se è vero come e vero che le origini della mafia siciliana, ad esempio, vanno ricercate nei gabellieri al servizio degli agrari.
Con il passare del tempo e l’evolversi dei rapporti economici le organizzazioni criminali si sono specializzate e hanno assunto una propria fisionomia che le caratterizza. Mentre la mafia si è evoluta in organizzazione territoriale che condiziona gli appalti e gestisce le attività di produzione e vendita della droga, di corruzione nella gestione di appalti e attività apparentemente lecite, reclutando sul territorio i propri adepti, la camorra ha mantenuto ancora di più il carattere territoriale e gestisce dalla criminalità comune, alle attività di spaccio, produzione e gestione del mercato della droga, della prostituzione, ecc. Caratteri peculiari ha assunto la ‘ndrangheta mantenendo una composizione familistica che la rende poco permeabile alle indagini di polizia e all’azione dei pentiti, benché sollecitati da una legislazione premiale predisposta dallo Stato.

Le organizzazioni criminali e il mercato

L’organizzazione per clan familiari aggiunge alla solidarietà in nome degli interessi comuni il legame parentale che fa da collante ulteriore e da elemento di coesione. Si agisce per linee parentali affidando le responsabilità in ragione della specializzazione criminale, ma anche puntando sull’affidabilità che deriva da un intreccio di rapporti che si fonda sul legame di sangue, su un’adolescenza vissuta in comune, su rapporti di coniugio o di filiazione e quindi sull’immissione nel clan del membro acquisito che viene incentivato a valorizzare il legame che si è creato, stabilendo delle relazioni familiari. Tutto ciò fa si che la ‘ndrangheta è stata tra le organizzazioni criminali quella che si è rivelata più resistente alle infiltrazioni di polizia e alle indagini. Essa, operando in una terra povera di attività economiche – la Calabria – che offre scarse capacità di mercato, anche criminale ha concentrato i propri sforzi nel settore produttivo della droga, ha costruito una rete di distribuzione capillare infeudando altre organizzazioni criminali (sia importandola che lavorandola e distribuendola) ricavando enormi profitti che vengono reinvestiti sul mercato – cosiddetto lecito – dell’economia capitalistica.
Per fare ciò la ‘ndrangheta aveva bisogno di espandersi ben oltre il suo territorio di origine e in una prima fase essa ha utilizzato il soggiorno obbligato per mettere radici nel nord del Paese ma ben presto anche questo mercato non è bastato a soddisfare le necessità di crescita e allora l’organizzazione ha scelto di seguire la strada della migrazione della popolazione della regione d’origine, radicandosi in Germania dove il mercato appariva particolarmente ricco, e in misura minore, in altri Paesi del centro e  nord Europa. Da questi osservatori privilegiati la ‘ndrangheta ha guardato tra i primi ai paesi dell’Est Europa e lo ha fatto con un occhio particolare rispetto alle altre due grandi organizzazioni criminali italiane.
Sia chiaro anche queste hanno colto l’ampliamento di operatività del mercato criminale ma vi hanno operato attraverso alleanze con i gruppi e le organizzazioni criminali autoctone, sviluppando il commercio di armi, la prostituzione, lo spaccio della droga, spesso affidando alle loro ramificazioni migrate in occidente compiti operativi, attraverso rapporti di subappalto tra produttori e distribuzione e gestione al dettaglio dell’attività di gruppi criminali.

I caratteri peculiari della ‘ndrangheta e i Paesi dell’Est Europa

Ebbene soprattutto le caratteristiche peculiari della ‘ndrangheta ben si rapportano e sono sociologicamente funzionali ad assicurare una maggiore efficienza e capacità di penetrazione nelle società dell’Est Europa. A quasi trent’anni dalla caduta del muro questi Paesi hanno ormai sepolto sotto la spinta della globalizzazione del mercato ogni residua ideologia. Si tratta in molti casi di Paesi con una popolazione relativamente numerosa, nei quali dominano i rapporti familistici, basati sul riconoscimento reciproco dei diversi gruppi, frutto di una stratificazione sociale abbastanza rigida che nei passati regimi si era situata all’interno delle burocrazie del partito unico e che poi ha trovato collocazione nelle burocrazie post regime semplicemente traslocando nelle nuove strutture. La famiglia in quanto struttura clanica fa parte della tradizione ed è alimentata da una cultura cristiana ortodossa nel caso delle Romania e Bulgaria e da una cultura cattolica molto radicata.
Questi paesi, entrando nel mercato capitalistico, hanno dovuto esportare la loro unica ricchezza, la forza lavoro che emigrando nei paesi occidentali è stata collocata sia all’interno dell’esercito industriale di riserva, con compiti generalmente subalterni (edilizia, badanti, ecc.) quando non sul mercato clandestino della prostituzione, alla mercé di gruppi criminali composti sia di connazionali che di elementi criminali dei paesi ospitanti.
Questa migrazione ha prodotto una massa di rimesse che hanno contribuito a sostenere le economie nazionali e a finanziare una prima ricapitalizzazione del loro apparato produttivo, realizzando una accumulazione primitiva anche rastrellando capitali prevalentemente sul mercato parallelo creato dalla criminalità organizzata. Successivamente l’ingresso di molti di questi paesi nell’Unione Europea ha consentito la crescita degli investimenti e offerto concrete possibilità di investimento a quei capitali “mobili” che cercavano una collocazione remunerativa sul mercato, compresi i capitali da riciclare in investimenti “puliti”.  Del resto il bisogno di investimenti ha indotto i governi di questi Stati a guardare con favore a tutti coloro che si proponevano per investire, approfittando della rimessa in circolo sul mercato della proprietà fondiaria a suo tempo nazionalizzata dai governi di democrazia popolare e da ricollocare sul mercato per effetto dei Criteri di Copenaghen. Uno di questi imponeva la restituzione ai vecchi proprietari o l’indennizzo e la ricollocazione sul mercato dei beni confiscati. Una buona occasione per i capitali “freschi” provenienti dall’occidente che beneficiavano così di un’offerta larga con i venditori che non andavano troppo per il sottile nel chiedere e chiedersi quale fosse l’origine dei capitali investiti.
Sappiamo oggi, con quello che è avvenuto in Slovacchia, che molti hanno approfittato di queste opportunità, utilizzando i capitali dei quali disponevano, per acquisire proprietà, soprattutto agricole e immobiliari, grazie alle quali hanno potuto accedere ai contributi comunitari per lo sviluppo.
Per farlo hanno avuto bisogno di trovare dei soci nelle società ospitanti, (clausola in molti casi vigente in questi paesi) dando vita ad imprese e società con almeno un socio dotato della cittadinanza del Paese ospitante. I soci autoctoni sono stati scelti tra gli appartenenti a gruppi familiari, o immessi nei gruppi familiari degli investitori, anche inglobandoli nella struttura clanica grazie a rapporti di coniugio, finendo per rafforzarli.
A ben guardare oggi sono queste le uniche “formazioni sociali” sopravvissute in società completamente prive della presenza di gruppi intermedi solidi, compresi i partiti e i sindacati che di fatto sono dominati dai gruppi appena citati o da loro alleanze. A ben guardare si tratta di strutture familistiche che la ‘ndrangheta ben conosce ed è maestra nel gestire, facendo passare all’interno di esse linee di comando in grado di operare con efficacia nel controllo degli affari sul territorio.

Dalle tecniche di rapina alle politiche di investimento

Non si può agevolare un’economia criminale lungo un percorso che viaggia borderline alle politiche di mercato pensando di utilizzare lo spazio gestito dagli Stati dell’Est Europa per trasferire attività produttive, usufruendo di manodopera a più basso costo, di facilitazioni fiscali e finanziarie, di contributi comunitari, per poi, alla prima occasione, mettere in atto un nuovo decentramento produttivo verso Paesi del terzo e quarto mondo, desertificando anche quei territori dell’Est Europa che appaiono oggi favoriti; non si può mettere in atto e consentire speculazioni giocando sul disequilibrio delle politiche fiscali, sul diverso costo della forza lavoro, su operazioni di dumping nella vendita di prodotti; non si può sfuggire alla necessità di combattere i gruppi criminali, sopratutto quelli di stampo familistico, introducendo nei propri ordinamenti il reato di associazione di carattere mafioso.
Per intervenire sulla situazione creatasi bisogna agire su più fronti, eliminando le condizioni strutturali di favore a queste politiche. Ciò può essere fatto da forze anche solo genuinamente riformiste, senza aspettare il trionfo di politiche rivoluzionarie ma bisogna avere coscienza che riportare la legalità nel mercato dei capitali è una precondizione anche per lo sviluppo dell’economia di mercato.
Occorre perciò battersi per l’omogeneizzazione delle politiche fiscali nell’area UE, impedendo la concorrenza tra le diverse aree del territorio comunitario attraverso l’offerta della possibilità di sfruttamento del differenziale salariale. Occorre inoltre provvedere al controllo della circolazione dei capitali, per una gestione controllata dei finanziamenti comunitari, per impedire alla speculazione finanziaria di giocare i fattori produttivi propri di un territorio contro l’altro all’interno dello spazio UE.
Ciò non vuol dire praticare una politica sovranista, ma semplicemente imporre delle regole al mercato, includendo il controllo e la regolamentazione dei fattori produttivi fra le materie oggetto di accordi comunitari. Per dare sostanza e significato alle politiche economiche verso questi paesi occorre investire in trasmissione della conoscenza e nel lavoro di maestranze residenti nel nostro territorio operando soprattutto nelle materie nelle quali è possibile utilizzare le conoscenze possedute. Ci riferiamo ad esempio negli investimenti sul recupero dei beni culturali, delle costruzioni, dell’istruzione e della formazione, settori nei quali abbiamo sviluppato delle eccellenze che sono in grado di fungere da elementi di fidelizzazione di quei consumatori verso i beni prodotti in Italia, anche sviluppando relazioni commerciali eque e formule di partecipazione paritaria negli investimenti.

Gianni Cimbalo