R&S – Siamo in tempi di crisi, si sa, e non ci sono soldi da spendere. Altri paesi hanno deciso di investire comunque in istruzione e ricerca, così per costruire il futuro, l’Italia non sembra di pari avviso. Vediamo la tabella seguente sugli investimenti in Ricerca e Sviluppo in alcuni paesi.
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Paese
2004
2013
Variazione %
Germania
2,42
2,94
21,49
Austria
2,17
2,81
29,49
Francia
2,09
2,23
6,70
Italia
1,05
1,25
19,05
Media UE
1,76
2,02
14,77
` Elaborazione su dati de “Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 92, 2 aprile 2015, p. 15.
I numeri relativi agli anni indicano le spese in percentuale sul PIL. Si può constatare che gli investimenti italiani sono cresciuti nel decennio un po’ più della media europea, ma meno di Germania ed Austria. In Francia, è vero sono cresciuti molto meno, ma quel paese investe pur sempre circa il doppio dell’Italia. In termini di valori di investimenti in relazione al PIL il paese rimane il fanalino di coda.
Tasse – Palazzo Chigi e dintorni confezionano il consueto pacco informativo, abituati come sono a far credere ai cittadini mirabolanti successi, tanto quando poi giunge puntuale la smentita dei fatti, nessuno ricorda più le favole raccontate. Vediamone alcune. La pressione fiscale si è abbassata sotto la guida sicura del pinocchietto rignanese. Partiamo dai dati. Nel IV trimestre del 2014 la pressione fiscale ha toccato il suo massimo storico, eguagliando il record del IV trimestre 2012: 43,5% sul PIL (dati ISTAT, riportati da“Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 92, 2 aprile 2015, p. 2).il 43,5% sarà ancora la pressione fiscale prevista per il 2015 e poi ulteriori aumenti: 44,1% nel 2016, ancora 44,1% nel 2017, 44,0% nel 2018 ed infine un piccolo calo nel 2019 al 43,7% (“Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 96, 8 aprile 2015, p. 2). Ovviamente, manco a dirlo, la colpa è dell’ISTAT che fa i conti come secondo Renzi non andrebbero fatti. Questi statistici senza discernimento e senza cuore si ostinano a non considerare sgravio fiscale i famosi 80 € elargiti dal Governo circa un anno fa in piena campagna elettorale. Il problema è che un sgravio fiscale si configura solo se si abbassano le aliquote per tutti, se si annulla qualche contributo, se si eleva la quota esente o se si ampliano le detrazioni. Un provvedimento che elargisce soldi in busta paga ad alcuni è una gratifica che sicuramente agevola chi la riceve, ma non si configura come una diminuzione delle tasse, ma come un aggravio di spesa, anche se a fini sociali. Se un datore di lavoro liquida un premio di produzione ai propri dipendenti, perché il mercato ha risposto positivamente, certamente contribuisce al loro miglior tenore di vita, ma non può sostenere di avere diminuito il prelievo fiscale. Non è per un “artificio contabile”, come sostengono alcuni giornalisti asserviti, che l’ISTAT non può contabilizzare gli 80 € come diminuzione delle tasse, ma proprio perché non lo sono per definizione in quanto solo alcuni ne hanno beneficiato. Se ora, come si ventila, il bonus verrà esteso ai cosiddetti incapienti, cioè a coloro che non subiscono prelievo fiscale, in quanto il loro reddito sta all’interno della quota esente, come si potrà sostenere che esso sarà un ulteriore decremento della pressione fiscale?
Occupazione – Luca Ricolfi aveva già preso le distanze dall’ottimismo governativo sui dati resi noti dal Ministro Poletti relativi alla crescita del numero di assunzioni a tempo indeterminato (si parlava di 70.000 nuovi assunti) in un articolo dal significativo titolo Segnali veri e segnali di fumo (“Il Sole 24 Ore”, a. 151, n°87, 29 marzo 2015, pp. 1 e 18). I dubbi avanzati erano relativi al fatto che i dati messi a confronto dal Governo non erano omogenei e davano adito a forti perplessità: in particolare l’economista sosteneva che, poiché i dati ISTAT vengono resi noti su base trimestrale, mentre quelli governativi erano relativi al bimestre gennaio-febbraio 2015, se essi fossero stati esatti era necessario supporre che nel marzo 2014 i nuovi assunti avrebbero dovuto essere più che raddoppiati rispetto ai due mesi precedenti, per tener conto del dato complessivo sul primo trimestre 2014, ovviamente dato accertato. Suggeriva quindi di attendere, appunto il dato reale sul primo trimestre di quest’anno. Ricolfi pensava, comunque, che la performance delle assunzioni a tempo indeterminato strombazzata dal Governo non fosse riferibile alle trasformazioni dei contratti a tempo determinato; qui sbagliava. Alla luce delle statistiche ufficiali i nuovi assunti nel primo trimestre sono stati quest’anno 13 in più del primo trimestre dello scorso anno: si, 13 in più, pari ad una variazione percentuale dello 0%! Questo perché le assunzioni a contratto a tempo determinato sono diminuite esattamente di quanto sono aumentate quelle a tempo “indeterminato”. Detto così sembrerebbe un bene; ed infatti proprio così l’ha presentata Renzi. La dizione “indeterminato” necessità una spiegazione. Dal 1° gennaio le aziende che assumono dipendenti a tempo “indeterminato” godono di una vantaggiosa decontribuzione triennale e quindi conviene loro cambiare tipologia di contratto di assunzione. Poiché con il fantastico Jobs Act, è ora possibile licenziare senza giusta causa, ovvero senza dover fornire alcuna valida motivazione i neoassunti, il loro contratto è, sì, formalmente a tempo indeterminato, ma contiene una clausola non scritta di decadenza al termine dei vantaggi fiscali, cioè tra tre anni; una nuova forma di precariato camuffata, a puro vantaggio delle aziende.
Elettricità – I meno giovani forse ricorderanno le faraoniche previsioni di fabbisogno di energia elettrica che hanno segnato gli anni ’70 e ’80 del secolo passato (il famigerato PEN, Piano Energetico Nazionale da noi criticato ne “I Nucleodollari”, CP editrice, Firenze 1977). Ebbene ora che la crisi impazza è facile constatare a posteriori come certe previsioni fossero fasulle, avanzate appositamente perché i soliti potessero lucrare sulle commesse. In Italia, a fronte di una richiesta di energia elettrica in calo per le difficoltà produttive (i consumi sono calati dai 319 TWh del 2007 ai 297 TWh del 2013, con un calo del 7,2%) esiste una potenza istallata di circa 130GW per una richiesta di punte di poco più di 50 GW (“Il Sole 24 Ore”, a. 151, n° 100, 12 aprile 2015, p. 18). Quindi la potenza elettrica disponibile supera abbondantemente il doppio di quella richiesta nei momenti di massimo consumo; cioè, la riserva di potenza è pari 160%, una cifra assurda che non ha eguali al mondo, tanto che oggi si stanno facendo progetti fantasiosi sul come riutilizzare le centrali dimesse e quelle mai finite. Uno spreco senza fine.
chiuso il 12 aprile 2015
saverio