Osservatorio politico

Romania
Dopo 7 anni di ruberie, travolto dagli scandali, il Presidente della Repubblica Klaus Iohannis, il più odiato tra quelli che hanno ricoperto questo ruolo, più di quanto lo fu il dittatore Ciausescu, si è dimesso il 12 febbraio per evitare l’impeachment che sarebbe stato votato entro due giorni e per il quale erano state raccolte 178 firme su 331 deputati. Il suo incarico, come previsto dalla Costituzione (art. 98), viene assunto dal Presidente del Senato fino alle elezioni presidenziali che si svolgeranno in primavera.
Si ricorderà che il 6 dicembre del 2024 la Corte Suprema rumena aveva annullato il secondo turno delle elezioni presidenziali mentre si votava per scegliere tra Georgescu ed Lasconi – rispettivamente primo e seconda. A motivo di questa decisione giunta inattesa, una serie di segnalazioni dei servizi segreti relative a un non medio precisato intervento straniero volto a condizionare l’esito del voto. La Corte aveva fatto riferimento all’uso illegale di tecnologie digitali – tra cui l’intelligenza artificiale e fonti di finanziamento non dichiarate dalle quali sarebbe derivato un “trattamento preferenziale” di uno dei candidati sulle piattaforme social. Nelle due settimane precedenti le elezioni di dicembre, circa 25.000 account TikTok sarebbero stati usati per aumentare la popolarità di Georgescu. Dietro l’iniziativa – denunciano le opposizioni- la Commissione europea che non gradisce le posizioni dichiarate dal probabile vincitore dell’esito elettorale.
L’intervento – di fatto un colpo di Stato – si è reso necessario per evitare la vittoria quasi certa di Georgescu, candidato sovranista e contrario alla guerra in Ucraina, il quale gode di largo consenso nel paese, al punto che negli ultimi mesi si sono tenute in Romania numerose manifestazioni che chiedevano la ripetizione del solo secondo turno delle elezioni. In particolare il 12 gennaio migliaia di persone hanno marciato per le strade di Bucarest, esprimendo la loro protesta verso tutto il sistema politico rumeno. L’Unione europea spinge per ripetere le elezioni ripartendo dal primo turno in modo da far sì che nel ballottaggio nuovi candidati possano entrare nella competizione, considerato che anche l’altra candidata in lizza e su posizioni sovraniste. Lo scontro sulle modalità di svolgimento delle elezioni continua ma l’opposizione alla guerra fa crescere il sostegno alla candidatura Georgescu in vista delle elezioni fissate per il 4 maggio.

Francia
Dopo oltre quattro mesi di negoziati e tentativi falliti, portati avanti da due primi ministri diversi il 14 gennaio 2025 l’Assemblea Nazionale francese ha approvato la legge di bilancio per il 2025, mettendo fine a quattro mesi di lavori parlamentari infruttuosi.
La legge, è stata approvata dal Senato con 219 voti e 107 contrari, grazie al sostegno determinante della coalizione di centrodestra che sostiene il primo ministro François Bayrou in Senato. Ma per essere approvata la legge aveva bisogno del voto favorevole dell’Assemblea Nazionale che è divisa in tre blocchi, di sinistra, di centro e di destra,
nessuno dei quali ha la maggioranza dei seggi ne grandi intenzioni di collaborare con gli altri. Allora il governo Bayrou ha forzato l’approvazione facendo ricorso al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione che permette al primo ministro di approvare una legge in materia finanziaria senza passare da una votazione parlamentare, ma esponendosi a una mozione di sfiducia, uno strumento considerato politicamente poco opportuno, utilizzato molte volte negli ultimi anni anche per approvare riforme importanti e molto impopolari, come quella delle pensioni.
Se la sinistra avesse mantenuto la sua unità sarebbe stato comunque possibile bloccare la procedura. Il regolamento parlamentare prevede infatti che l’opposizione può presentare una mozione di sfiducia al governo e bloccare così questa procedura. Ma il Partito Socialista ha rotto il fronte dell’alleanza di sinistra, nata nel voto elettorale, già a partire dalla nascita del governo Bayrou, avviando trattative con il governo su vari temi e ottenendo diverse concessioni in cambio della promessa di non votare una eventuale mozione di sfiducia, come la fissazione del rapporto deficit PIL per il 2025 al 5,4%, invece che al 5% e la promessa di rimettere mano alla riforma delle pensioni, introdotta nel 2023, anche se non si sa in che modo, in quale direzione e in quale misura.
Per ripagare i socialisti del sostegno accordato Bayrou ha prontamente provveduto a rilasciare alcune dichiarazioni sull’immigrazione, molto vicine a quelle dell’estrema destra, dimostrando nei fatti che tanto valeva sostenere l’unità con l’altro principale partito del Nuovo Fronte Popolare, la France Insoumise, il partito di sinistra radicale guidato da Jean-Luc Mélenchon. Insomma, la solita figura da cretini!
Per entrare in vigore la legge ha ora bisogno di un ultimo voto del Consiglio costituzionale, un organo che vigila sulla costituzionalità delle nuove leggi: anche in questo caso l’esito positivo del voto è abbastanza scontato. Negli ultimi mesi nessuna proposta di legge di bilancio era arrivata così vicina all’approvazione e da oltre un mese la Francia si trovava in esercizio provvisorio; lo Stato non poteva disporre nuove spese, ma doveva limitarsi ad autorizzare solo quelle fatte nell’anno precedente.
La legge finanziaria per il 2025 è la più importante fra quelle che costituiscono il pacchetto delle leggi di bilancio per l’anno corrente, che avrebbe dovuto essere approvato entro la fine del 2024. Utilizzando ancora una volta l’articolo 49.3 Bayrou ha forzato l’approvazione dell’altra legge principale del pacchetto, quella sul finanziamento della sicurezza sociale (PLFSS). che verrà votata separatamente.

Belgio
Dopo 9 mesi di trattative il Belgio ha un nuovo governo di centro destra presieduto da Bart De Wever, del partito di destra Nuova alleanza fiamminga (N-va), capo della “coalizione Arizona” che comprende i nazionalisti fiamminghi dell’N-va, i cristianodemocratici (Les Engagés, francofoni, e Cd&v, fiamminghi), i socialdemocratici di Vooruit (fiamminghi) e i liberali di Mouvement réformateur (Mr, francofoni). Assume questo nome dal colore dai colori dei partiti che la compongono. Come tutti i governi di destra si propone di combattere l’emigrazione attraverso controlli alle frontiere e irruzione nelle case dei clandestini senza permesso di soggiorno. Accogliendo le richieste della componente liberale della coalizione, viene prolungato il periodo entro il quale è consentito interrompere la gravidanza.
Si punta anche alle riforme istituzionali, abolendo il Senato, optando per un rafforzamento delle autonomie, riducendo i poteri del governo federale e la coesione stessa della Federazione.
Il programma del nuovo governo è all’insegna del più rigido ordo-liberimo, prova ne sia che si ripropone di tagliare il bilancio di 18 miliardi di euro per portare il deficit sotto il 3% del Pil entro il 2030, come richiesto dalla Commissione europea, riducendo drasticamente il welfare. Altre novità riguardano il lavoro, il fisco e le pensioni, mentre
non è previsto nessun aumento delle tasse per i più ricchi. Il sussidio di disoccupazione verrà ridotto a due anni, le pensioni verranno riformate, allungando l’età lavorativa e uniformando i regimi pensionistici tra il settore pubblico e quello privato.
La riforma fiscale colpirà soprattutto i salari più bassi e aumenterà la tassazione sulle rendite finanziarie al 10%, su richiesta dei socialdemocratici fiamminghi. Obiettivo dichiarato è quello di elevare il tasso degli occupati portandolo all’80% rispetto al 70 attuale, muovendo dalla convinzione che i sussidi incentivano le persone a rifiutare i lavori svantaggiosi e degradanti. Le stesse motivazioni che in Italia hanno portato all’abolizione del reddito di cittadinanza.
Non è detto che politiche così drastiche d’intervento sulla spesa pubblica finiranno per produrre la crisi della coalizione: a sgomitare non sono solo i partiti di opposizione o quelli di sinistra interni alla coalizione, ma anche i liberali francofoni che si considerano dei battitori liberi, pronti a mettere in crisi il governo alla prima occasione. Per evitare
questi rischi il governo ha deciso di adottare una politica di assoluta fedeltà alle linee che guidano la maggioranza della Commissione di Bruxelles dalla quale ambisce ad ottenere il massimo appoggio e quindi pur criticando le politiche ambientali e di contrasto alla crisi climatica, sostiene il riarmo del minuscolo Belgio, al punto che la ministra della difesa Ludivine Dedonder, ha proposto di aumentare il numero dei riservisti, reclutando ben 1.050 nuove unità sulle 3.300 che compongono l’esercito. Velleità veramente grandi di un paese così minuscolo: la Russia ne sarà spaventatissima!

Slovacchia
I tentativi di destabilizzazione del governo Fico continuano ad opera della ONG Peace for Ukraine, finanziata dagli Stati Uniti e dalla cosiddetta Legdione Georgiana. Grandi manifestazioni sono state organizzate il 28 città del paese, la più grande si è svolta a Bratislava con 30.000 partecipanti. Lo sostiene un rapporto dei servizi segreti slovacchi, presentato al Parlamento dal premier. il quale ha aperto colloqui diretti con Putin per la fornitura di gas e petrolio. L’iniziativa fa seguito all’interruzione del gasdotto e dell’oleodotto proveniente dalla Russia, bloccato dall’Ucraina che ha lasciato completamente privo di energia il paese e lo ha indotto a cercare vie alternative per far pervenire il petrolio russo nel paese. L’improvvisa cessazione disposta da Trump dei finanziamenti alle ONG da parte dell’USAID ha prodotto inopinatamente il calo di tono delle manifestazioni. Da parte sua il governo di Bratislava ha interrotto la fornitura di armi all’Ucraina in segno di protesta per l’incomprensione dimostrata in relazione ai problemi energetici del paese e ha giurato di bloccare l’adesione dell’Ucraina alla Nato.

Paesi baltici
Nel loro insieme i tre paesi baltici Lituania, Estonia e Lettonia hanno sei milioni di abitanti e un PIL che non supera i 150 milioni di dollari annui, eppure detengono incarichi importanti all’interno della Commissione europea. Le esternazioni di Kaja Kallas, “alto” rappresentante per la politica estera dell’Unione, diventata famosa per la
sua assertività e per il bellicismo esasperato che la caratterizza appaiono sempre più fuori contesto e lontane dalla realtà. I tre paesi, insieme alla von der Leyen, hanno salutato come una grande vittoria l’avvenuto sganciamento della loro rete elettrica da quella russa, dichiarando così di avere finalmente raggiunto l’indipendenza energetica, il che in realtà significa semplicemente cambiare dipendenza: la loro produzione elettrica insufficiente è infatti compensata dai vicini paesi della Comunità e in particolare dalla Polonia. Il loro accanimento nel perseguire una politica antirussa li impegna in una corsa accelerata all’accumulo di armamenti per eserciti peraltro minuscoli, data le dimensioni dei 3 paesi, aggravate dal calo demografico con un tasso inferiore all’1%. L’ossessione securitaria ha indotto l’Estonia che ha il 4,5% di popolazione russofona, alla quale vieta l’uso del russo, a imporre per legge alla minuscola Chiesa ortodossa del paese l’autocefalia, per distaccarla dal Patriarcato moscovita, e la Lettonia ha toccato il ridicolo con l’approvazione di una legge che vieta ai tour operator privati di organizzare viaggi turistici in Russia e Bielorussia, il tutto in omaggio alla libertà di impresa dei privati.

Spagna
La crescita spagnola, sostenuta da un aumento della spesa pubblica, grazie a politiche volte a rafforzare i servizi pubblici (+3,8%) e a stimolare la domanda interna (2,3%), continua a crescere, grazie agli investitemi dello Stato sul sistema sanitario e scolastico, ai sussidi per le imprese e i lavoratori autonomi, ai provvedimenti di welfare sociale, a partire dalla rivalutazione delle pensioni. Il risultato è che le esportazioni sono in aumento e il costo dell’energia è più basso che negli altri paesi d’Europa. Nel 2023 il Pil spagnolo è aumentato del 2,7%. Il Fondo Monetario Internazionale afferma che crescerà del 2,4% nel 2024 e del 2,1% nel 2025. Ma le performance positive dell’economia spagnola non dipendono solo dall’85 milioni di turisti stranieri che tuttavia ha inciso positivamente (12,8%) sulla crescita del Pil. Tra il 2022 e il 2023 la Spagna, insieme al Portogallo, ha beneficiato del meccanismo speciale (chiamato “eccezione iberica”) concordato con l’Unione europea per limitare l’impatto dell’aumento dei prezzi del gas naturale. Con questo meccanismo il governo ha introdotto un tetto massimo al prezzo del gas.
L’effetto positivo dell’eccezione iberica si è fatto sentire non solo sulle famiglie, ma anche sulle imprese spagnole, che hanno goduto di costi e energetici più bassi rispetto ad altre grandi economie europee, a partire dalla Germania e dall’Italia. Ma ad incidere positivamente in modo determinante è stata la riforma del lavoro: il governo ha provveduto più volte a aumentare il salario minimo nazionale, che attualmente è fissato a 1.134 euro al mese (nel 2018 era pari a 735 euro). Dal 2020 è stato introdotto il reddito minimo di sussistenza (in spagnolo Ingreso Mínimo Vital), una misura simile al reddito di cittadinanza che offre un livello minimo di reddito a chi si trova in una situazione di vulnerabilità economica. Queste misure hanno stimolato i consumi, soprattutto dei beni di prima necessità. Inoltre il governo spagnolo sta facendo buon uso dei fondi europei per la ripresa economica,avendo ricevuto 163 miliardi di euro in
contributi e sussidi (PNRR).
Queste misure hanno contribuito a far si che il tasso di disoccupazione sia il più basso degli ultimi 15 anni (il più alto nell’area Ue (ma a differenza dell’Italia non è un dato truccato, poiché nel 2021 una riforma che ha ridotto la possibilità per le imprese di ricorrere a contratti a termine e l’aumento degli impieghi a tempo indeterminato, inducendo le imprese a pianificare sul lungo periodo, rendendo anche i lavoratori più motivati e quindi più produttivi.
Va detto infine che negli ultimi anni la popolazione spagnola è cresciuta, soprattutto grazie al contributo delle migrazione, al punto che secondo la banca di Spagna il paese è divenuto uno di quelli che in Europa ha il più alto flusso di migranti rispetto alla popolazione. Ha aggiunto che gli emigrati hanno un tasso di occupazione superiore a quello dei cittadini spagnoli per cui contribuiscono all’aumento del PIL più degli autoctoni. Gli immigrati provenienti dall’America Latina sono culturalmente molto compatibili con gli autoctoni e parlano la stessa lingua: problemi sorgono rispetto alla
loro qualificazione professionale.
Come ovunque in Europa il possibile aumento dei costi dell’energia potrebbe influire sul costo del lavoro che potrebbe crescere in modo repentino, non tanto per la crescita dei salari quanto per l’aumento dei contributi a carico delle imprese.

Austria
Il partito di estrema destra Partito della Libertà d’Austria (FPO), pur avendo vinto le elezioni di settembre con il 28% non è stato in grado di mettere insieme la maggioranza in grado di formare un governo. Si è quindi in attesa che il Presidente della Repubblica accolga la sua richiesta di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni.

La Redazione