Quanto sta avvenendo nel mondo del lavoro aiuta a capire quali sono le ragioni del perdurare del consenso verso il Governo Meloni. Lo dimostrano le vicende relative alla stipula del Contratto Nazionale di Lavoro del comparto delle lavoratrici e dei lavoratori delle funzioni centrali. Durante le trattative, mettendo a segno un improvviso colpo di mano, la Cisl ha rotto il fronte confederale e insieme alla sindacati autonomi del settore, ha sottoscritto un preliminare di accordo che conclude la trattativa per il rinnovo del contratto di lavoro per biennio 2022-2024. I sindacati in questione ritengono di avere avuto tutto il diritto di sottoscrivere l’accordo, forti del fatto di rappresentare nel loro insieme il 54% della categoria e quindi la maggioranza costituita da ben 195.000 lavoratori, in quanto affermano di avere 45.096 iscritti in tutto il comparto.
Come è noto il nostro paese non dispone di una legge sulla rappresentanza sindacale e perciò, di fronte alla opinabilità dei dati sugli scritti forniti dai sindacati suddetti, Cgil e Uil e USB di settore hanno indetto un referendum tra i lavoratori del comparto, nella convinzione che al di là della delega sottoscritta le opinioni dei lavoratori andavano
misurate sui contenuti dell’ipotesi di accordo piuttosto che su una delega concessa una volta per sempre.
Questo referendum, svoltosi grazie alla mobilitazione della categoria, ha visto la partecipazione di più di 40.000 lavoratori e ha dato un risultato inequivocabile: Il 98% dei partecipanti al voto ha respinto l’ipotesi di accordo. Nel commentare questo risultato i sindacati sottoscrittori complici del governo che nelle ultime elezioni per il rinnovo delle
RSU hanno ottenuto 79.660 voti e che “dunque non si comprende per quale ragione logica non venga considerata democratica la scelta delle organizzazioni firmatarie che rappresentano il 54% dei lavoratori del e delle lavoratrici del comparto”. In fondo, fanno notare i sindacati gialli firmatari dell’accordo, rispetto al numero complessivo di addetti nel settore coloro che si sono espressi nel referendum costituiscono solamente il 20% della categoria.
L’obiezione di Cisl Funzione Pubblica, Confsal FP e alla Confintesa FP, legittima il loro intento di procedere nella firma dell’accordo, se non fosse che per il fatto che accettare un aumento pari al 5,78% del monte salari significa accontentarsi di un incremento superiore sia al 4,07% del triennio 2019-2021, sia al 3,48% del periodo 2016-2018, e ciò costituisce certamente un miglioramento, ma solo se si fa riferimento al valore nominale degli aumenti. Ma visto che nel frattempo è aumentata l’inflazione l’incremento contrattuale ottenuto non la recupera perché compensare la perdita di
potere d’acquisto accumulata nel triennio 2022-2024, sarebbero stati necessari 16 punti di incremento tabellare. Questo è il motivo di fondo che ha spinto i 40.000 a votare contro l’ipotesi d’accordo e che alla base della posizione di Fp-Cgil, Uil-Pa e USB convinti che il danno di questa scelta potrebbe andare oltre questo contratto, posto che il Governo ha già predeterminato l’entità degli aumenti salariali per il futuro, con l’obiettivo di realizzare ulteriori diminuzioni del salario.
La politica finanziaria di questo governo, a fronte di una produzione industriale in calo da 24 mesi e di crescenti difficoltà nell’esportazione, per fronteggiare i maggiori costi derivanti da una costante crescita dell’energia, dovuta alla guerra Ucraina, ha adottato la politica di restrizione dei consumi interni, in modo che migliori il rapporto con l’esportazione, facendo gravare così sulla diminuita capacità di spesa dei lavoratori, il costo della crisi economica e di un’economia sembra più in difficoltà. Analoghe scelte sta facendo rispetto al mercato del lavoro, dove ad una occupazione quanto mai alta, ottenuta con il considerare occupati anche coloro che svolgono saltuariamente qualche ora di lavoro durante la settimana, corrisponde l’erogazione di salari al di sotto del livello di sussistenza, per cui aumenta il numero dei lavoratori poveri o incapienti.
Per questo motivo non è in gioco il rinnovo contrattuale del 2022-2024 dei lavoratori delle finzioni centrali ma più in generale l’agibilità del sindacato a svolgere la propria funzione di difesa dei diritti dei lavoratori, a partire da quello ad un salario adeguato. È perciò grave che si accetti che il governo con l’appoggio palese di alcune organizzazioni sindacali, sterilizzi la contrattazione, sottraendo dal negoziato il problema salariale e attuando una politica di riduzione del costo del lavoro pubblico, a tutto un detrimento dei lavoratori del settore e in generale. È inoltre di estrema gravità che tutto ciò avvenga mentre la controparte ministeriale peggiora le condizioni di gestione degli orari di lavoro, ridimensiona la spesa di welfare contrattuale all’interno del tetto dei fondi per il salario accessorio, che peraltro rimangono bloccati, penalizzando la crescita della produttività, dando la colpa di tutto questo al sindacato, perché responsabilmente rifiuta di firmare accordi al ribasso.
Decidendo di non firmare Fp-Cgil, Uil-Pa e USB si sono fatti carico dell’esasperazione dei lavoratori che cercano con fatica di sopravvivere di fronte a condizioni di vita sempre più difficili e chiedono che la valorizzazione del lavoro pubblico non sia uno slogan, ma venga realizzata attraverso concreti interventi di carattere economico e normativo. Di fatto ciò che Cisl Funzione Pubblica, Confsal FP e alla Confintesa FP chiedono ai lavoratori è di aspettare nove anni e tre contratti per non recuperare quello che le buste paga dei dipendenti pubblici hanno perso nel 2022 e 2023: ciò è offensivo per la dignità dei lavoratori delle funzioni centrali, come per quelli della sanità e degli enti locali. Questi ultimi l’hanno ben capito e perciò mantengano aperta la vertenza contrattuale e cercano unitariamente di sviluppare la contrattazione per conseguire gli obiettivi comunemente condivisi di un maggior salario e di migliori condizioni di
lavoro.
Rocco Petrone