Ora che la terza legge finanziaria del governo Meloni è stata approvata comincia a prendere corpo la scuola del regime. L’intervento del governo si muove su due assi portanti: il potenziamento del finanziamento della scuola privata e la riforma dei programmi della scuola del primo ciclo. Per quanto riguarda il primo punto, ovvero l’aggiramento del divieto costituzionale dell’articolo 33 della Costituzione che proibisce i finanziamenti alla scuola privata il governo non fa che seguire la scia della scellerata politica inaugurata dalla legge 62 del 2000 che porta il nome di Luigi Berlinguer ed è frutto delle politiche compromissorie del centrosinistra che si prostituì verso la componente cattolica, sperando di ottenere l’ammissione nella stanza dei bottoni e di essere finalmente legittimato ad andare al potere.
Le scuole paritarie
Oggi, le scuole private che operano in Italia e che hanno chiesto e ottenuto la parità si definiscono “scuole paritarie”, sono circa il 24% del totale, con oltre il 10% di allievi (dati del 2021-2022), 12.096 scuole, (di cui 8.529 dell’infanzia) sono frequentate da 817.413 studenti, di cui più della metà (466.037) risultano iscritti alla scuola dell’infanzia. Guardando la distribuzione delle scuole paritarie per livello scolastico in relazione alle regioni nelle quali sono localizzate e tenendo conto del numero degli alunni, si nota che ai 466.037 alunni che frequentano la scuola gestita da Enti privati (tra queste le confessioni religiose), occorre aggiungere gli 821.970 alunni delle scuole paritarie gestiti dai Comuni. Altri dati sono indicativi rispetto alle scuole paritarie nel loro complesso e si riferiscono al numero dei docenti (24.490, di cui 1.932 di sostegno) e al numero di alunni con disabilità (4.215, l’1,4% a fronte del 2% delle scuole statali).
In aggiunta ai provvedimenti di finanziamento stratificati nella passata legislature la legge finanziaria del 2024 prevede che “A partire dall’esercizio finanziario 2025, alle famiglie con reddito Isee non superiore ad euro 40.000,00 è riconosciuto un voucher, spendibile esclusivamente presso una scuola paritaria, per un importo annuale massimo pari a euro 1.500 per ogni studente frequentante una scuola paritaria primaria, secondaria di I grado o il primo biennio di una scuola paritaria di II grado”, “L’effettivo ammontare del voucher per ogni studente è calcolato sulla base di scaglioni
inversamente proporzionali al reddito Isee e nei limiti di un finanziamento complessivo pari ad euro 65 milioni annui. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’istruzione e del merito è istituito un fondo dedicato agli interventi del presente comma, pari a 16,25 milioni per l’anno 2025, 65 milioni per l’anno 2026, 65 milioni per l’anno 2027”, e ciò «al fine di assicurare il diritto dei ragazzi, a prescindere dal reddito, a studiare nelle scuole paritarie», come ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito. La disposizione citata non è immediatamente esecutiva; perché lo sia occorrerà l’emanazione di un decreto ministeriale apposito.
Va segnalato inoltre che i commi da 570 a 571, della suddetta Legge finanziaria, prevedono un incremento del contributo di cui all’articolo 1-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 42 del 2016, assegnato alle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità, incrementato di 50 milioni di euro per l’anno 2025 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.
Complessivamente nell’ultimo decennio, anche con governi di Centro e di Sinistra, vi è stato un incremento importante di finanziamenti pubblici per sostenere gli istituti scolastici paritari. Nel 2012, il finanziamento statale destinato agli istituti paritari era di 286 milioni. Cinque anni dopo, nel 2017, il Budget era quasi raddoppiato; oggi, supera
i 600 milioni di euro. La maggior parte dei finanziamenti è erogata alle scuole del primo ciclo (dell’infanzia). Le famiglie pagano comunque una retta e ciò consente ai sostenitori del finanziamento statale alla scuola privata di affermare che chi sceglie una scuola paritaria è discriminato poiché non dovrebbe pagare alcunché, in quanto ha già pagato le tasse per i servizi pubblici, o quantomeno occorrerebbe che dalle sue tasse potesse detrarre le spese sostenute per il servizio scolastico.
Si muove in questa direzione la legge n. 107 del Luglio 2015 (cosiddetta legge sulla “Buona scuola”), la quale prevede la detrazione dalle imposte delle persone fisiche dalle spese di istruzione, fino a un massimo di 800 a figlio, con 152 di ritorno all’anno per ogni figlio, e consente tale detrazione per chi invia i propri figli alla scuola paritaria.
Inoltre la legge 32 del 2022, conosciuta come Family Act, prevede la possibilità di detrarre i costi sostenuti per la scuola dei figli solo nei primi 6 anni di vita, riservando giustamente aiuti consistenti attraverso l’assegno unico per le famiglie con i figli con handicap.
In una cornice di generale aumento dei finanziamenti per l’istruzione non statale nel 2020, gli istituti scolastici paritari avevano ricevuto 150 milioni di euro di fondi del PNRR dal governo. Con la crisi demografica che attraversa il paese e il calo generalizzato degli alunni, molti istituti rischiano la chiusura e perciò la Legge finanziaria appena
approvata prevede che «Per fronteggiare la progressiva chiusura, nell’ultimo decennio, di sempre più scuole dell’infanzia paritarie e di istituti scolastici di primo e secondo grado paritari, come anche per garantire e tutelare la libertà della scelta educativa sancita dall’articolo 30 della Costituzione, il contributo di cui all’articolo 1, comma 13, della legge 2000, n. 62 è incrementato di 100 milioni di euro per l’anno 2025». Così facendo si utilizza l’articolo 30 della Costituzione che tutela la libertà delle famiglie di educare i figli per aggirare ancora una volta il divieto costituzionale al finanziamento della scuola privata.
Nuovi provvedimenti a favore della scuola privata erano attesi nell’ambito dell’attuazione dell’autonomia differenziata, introducendo la quale si prevedeva un possibile intervento legislativo delle regioni a favore della scuola paritaria, confermando le tendenze già manifestatesi in passato a finanziare la scuola dell’infanzia. Non a caso tra le materie oggetto di trasferimento le regioni avevano chiesto venisse inclusa la competenza in materia scolastica. Tuttavia la Corte costituzionale con Sentenza 192/2024 ) del 14/11/2024 ha rilevato notevoli problemi di illegittimità costituzionale nella Legge 26/06/2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario), approvata dal Parlamento e in particolare per quanto riguarda le competenze in materia di istruzione, ha stabilito che possono essere trasferite solo singole funzioni, piuttosto che la competenza generale sulla materia,
considerando che il sistema di istruzione nazionale deve essere unitario. Questa decisione ha posto un freno all’espansione della competenza regionale in materia anche perché è in corso il dibattito relativamente alla possibilità di sottoporre l’intera legge sull’autonomia differenziata al referendum costituzionale.
La riforma dei programmi
Per iniziativa di uno dei più ignoranti ministri, di quello che si chiama oggi Ministero dell’Istruzione del merito, distintosi per le stupidaggini a proposito dell’umiliazione dello studente come mezzo di educazione è stata predisposta la riforma che dovrebbe dare corpo alla scuola del regime. Si tratta per ora di un disegno di legge presentato al Consiglio dei Ministri del 14 gennaio, che trova la sua collocazione all’interno della Missione 4 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e si propone di riorganizzare il sistema scolastico italiano. Dichiarata guerra, in premessa, all’obsolescenza educativa, si propone lo sviluppo delle competenze digitali e quello del pensiero critico, perseguito attraverso il ritorno alla tradizione, con un approccio a parole “interdisciplinare e pratico”. Ad esempio, ”la matematica includerà riferimenti all’intelligenza artificiale e alla statistica; l’educazione civica, ristrutturata, assumerà un ruolo centrale, andando ben oltre le nozioni di diritto costituzione”. Verrà promosso lo studio delle lingue privilegiando la comunicazione orale e, a parole, l’interazione multiculturale: se si guarda in concreto poi si trovano le classi differenziate per stranieri o per alunni
che hanno difficoltà linguistiche.
Il fiore all’occhiello di questa nuova scuola è l’introduzione di laboratori pratici in tutti i cicli d’istruzione per investire nella tecnologia, nelle aule multimediali e quant’altro riguardi le attrezzature, mentre nessun incremento stipendiale è previsto per gli insegnanti, i peggio pagati d’Europa, se si escludono i provvedimenti premiali che
riguardano l’affidamento di specifici incarichi temporanei. Per gli studenti delle scuole professionali, all’insegna dello slogan di una maggiore integrazione con il mondo del lavoro, si prevedono stage e tirocini obbligatori e gratuiti nelle imprese, che di fatto estenderanno il famigerato rapporto scuola-lavoro, voluto dal governo Renzi, a tutto vantaggio degli imprenditori, ai quali si fornisce gratuitamente manodopera, peraltro non formata in relazione ai pericoli relativi agli incidenti sul lavoro e che ha visto tanti studenti morire lavorando.
Per poter disporre di un fondo di finanziamento da poter utilizzare alla bisogna per i tanti clienti verrà potenziato il “fondo nazionale per l’inclusione“ che finanzierà a discrezione del ministro, interventi mirati a supportare le scuole nelle aree più svantaggiate, rafforzando le infrastrutture. Questo fondo non si limiterà a interventi materiali, ma finanzierà anche corsi di aggiornamento per insegnanti.
Per quanto riguarda i programmi, abolita la geostoria voluta da Gelmini, verrà ristrutturato l’insegnamento della storia, “privilegiando quella patria, dall’età della pietra ad oggi, genuinamente italiana,” dimenticandosi dei riferimenti all’interdisciplinarietà, affermati in premessa e che la storia, per lo studio della complessità del mondo e della società, richiederebbe uno studio comparato di ciò che avviene nelle diverse aree del mondo, poiché le civiltà interagiscono e non hanno sviluppi e storie autonome.
Vi sono tuttavia altre perle, che spaziano dal campo dalla didattica, a proposito della quale si utilizza lo studio a memoria di filastrocche e poesie, per poi passare, alla seconda media, al possibile studio opzionale del latino. Il culmine “dell’eccellenza culturale” viene però raggiunto introducendo fin dalle elementari lo studio della Bibbia, scimmiottando i fondamentalisti religiosi statunitensi, probabilmente nel tentativo di cominciare ad introdurre la teoria creazionista all’interno della scuola, con l’intento di combatterne la laicità, cercando di convincere gli studenti che il mondo è stato creato da Dio, piuttosto che nascere dall’evolversi degli organismi unicellulari e come frutto delle trasformazioni biochimiche dell’ambiente.
La necessità di mettere Darwin e l’evoluzione in soffitta, e recepire il messaggio culturale neocom- trampiano, ha fatto trascurare al Ministro, che peraltro è noto per sostenere tesi demenziali a proposito delle cause che portarono alla caduta dell’impero romano, che come tutti sanno, la Bibbia non ha mai rivestito nello sviluppo della cultura italiana un ruolo centrale, perché piuttosto tale ruolo è stato svolto dal riferimento ai Vangeli; per studiarla si richiede di avere una conoscenza culturale di base che permette una lettura critica del testo, capacità che si acquisisce non certo nel primo ciclo di studi, facendo altrimenti uno studio che non può essere che mnemonico e apologetico. Ma si sa in storia il ministro è ignorante! È digiuno anche in materia di egemonia culturale che ritiene si conquisti con l’esercizio del potere e non invece
con il confronto culturale tra idee ed opinioni diverse, organizzando e gestendo il dibattito e il confronto tra i diversi attori culturali che in forza delle loro idee ed opinioni riescono a convogliare le conoscenze verso una crescita sociale collettiva.
Insomma una riforma contro la quale bisogna lottare.
G.L.