Il 20 agosto il Parlamento ucraino ha vietato l’esercizio del culto pubblico alla Chiesa ortodossa ucraina (Українська Православна Церква) erede diretta della Chiesa fondata a Kiev nel 988 dalla quale ha avuto origine la Chiesa Ortodossa Russa del Patriarcato di Mosca. Questa Chiesa, ricostruita nel 1990 con la riconquistata indipendenza del paese, è canonicamente legata al Patriarcato Mosca, ma è auto-amministrata, gode cioè di totale autonomia, che la rende canonicamente indipendente dalla Chiesa madre, tanto che possiede il diritto di consacrare il Grande Myron, ovvero una mescolanza di più di quaranta oli essenziali e olio d’oliva che, benedetto il Giovedì Santo dai vescovi del Sinodo, viene distribuito a tutte le eparchie di quella Chiesa per essere utilizzato per la Cresima (Confermazione), per la consacrazione di chiese e di altari, creando nuove strutture. Il divieto di esercizio del culto è contenuto nella legge, Per la protezione del sistema costituzionale nell’ambito delle attività delle organizzazioni religiose, che pone nell’illegalità presenza e attività in Ucraina di Chiese o famiglie religiose che abbiano legami con la Chiesa russa, considerata “parte attiva” nella guerra che, da oltre due anni, devasta il paese. Contestualmente il governo ucraino ha respinto la richiesta della Chiesa Ortodossa Rumena di costituire una propria eparchia in territorio ucraino per i fedeli di lingua rumena ivi residenti.
Il fine del provvedimento, politicamente giustificato da ragioni securitarie, scaturite dal conflitto che oppone il paese alla Russia, ha in realtà origini risalenti a prima dell’inizio della guerra ed è una conseguenza della creazione alla fine del 2018 della Chiesa Ortodossa Ucraina autocefala, tenuta a battesimo dal Patriarcato di Costantinopoli. Questa Chiesa è stata costituita con il sostegno attivo del Presidente della Repubblica pro tempore, allo scopo dichiarato di togliere all’antica Chiesa del paese la rappresentanza dei fedeli ortodossi e il controllo di più di 8000 parrocchie. Meno prosaicamente, l’obiettivo vero dell’operazione è quello di impossessarsi dell’immenso e no censito patrimonio della Chiesa Ortodossa Ucraina canonica, costituito da edifici di culto, monasteri, un immenso patrimonio immobiliare e soprattutto fondiario, fatto di terreni coltivabili ed edificabili, sui quali insistono attività che si svolgono all’interno dei monasteri che, come avviene nella tradizione ortodossa, si concretizzano sovente in attività economiche e produttive. In
altre parole si tratta di un contenzioso non solo politico, ma soprattutto economico, posto che tra le due entità religiose non esistono diversità teologiche, che si riflettono sulla gestione e appartenenza del clero e del patrimonio ecclesiastico.
Solo gli ultimi due anni si è artatamente creato qualche elemento di differenziazione, costituito dallo spostamento per legge della data di celebrazione del Natale ortodosso dal 7 di gennaio al 25 di dicembre, assumendo la tradizione occidentale, nell’intento di prendere le distanze da quella slava e avvicinarsi all’Europa, seguito dalla cancellazione dei santi di origine russa dal calendario liturgico ucraino.
Due Chiese, identici valori, interessi economici e di potere divergenti
Nulla distinguere le due Chiese per quanto riguarda le posizioni in materia etica e tanto meno teologica, perchéambedue le confessioni religiose si oppongono ai valori di libertà in materia sessuale, alle politiche di genere, a quelle etiche, all’eutanasia come all’aborto, che caratterizzano l’occidente laico; ambedue vogliono stabilire un rapporto sinfonico con lo Stato e questo anche se quello ucraino ha operato una scelta di campo a favore della cosiddetta Chiesa ortodossa autocefala, ritenuta scismatica dalla maggioranza dei Patriarcati ortodossi. Per conferire legittimità al provvedimento il Governo ucraino si è preoccupato di farlo approvare dal “Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose“ (del quale fanno parte tutte le confessioni religiose del paese, ma dalla seduta era stata esclusa la Chiesa Ortodossa Ucraina canonica). Nella sua risoluzione del 16 agosto 2024, il Consiglio ha ripetuto la condanna alla Chiesa canonica ortodossa dichiarandola «complice dei crimini sanguinosi degli invasori russi» aggiungendo: «Sosteniamo l’iniziativa legislativa del presidente volta a impedire l’attività di organizzazioni (con legami con la Russia) nel nostro paese […]. Affermiamo che i diritti e le libertà religiose sono rispettati in Ucraina, anche di fronte a una guerra brutale». In timido dissenso con questa posizione il primate della Chiesa greco – cattolica d’Ucraina ha manifestato le proprie perplessità, sostenendo che la legge conferisce alla Chiesa Ortodossa Ucraina canonica lo stigma della persecuzione, rischiando così di ulteriormente rafforzarne la posizione attraverso il martirio.
Va sottolineato che già prima dell’adozione di questa legge per “legalizzare” il passaggio di chiese e monasteri dall’afferenza alla Chiesa ortodossa canonica a quella scismatica si è proceduto utilizzando quanto dispone il diritto canonico ortodosso, secondo il quale la proprietà dell’edificio di culto e l’afferenza della parrocchia alla confessione, avvengono sulla base della decisione dei fedeli che afferiscono a quell’edificio, i quali riunitisi nella sede parrocchiale, deliberano a maggioranza una diversa afferenza.
Così, con la complicità dei servizi di sicurezza dello Stato, le chiese della confessione ortodossa canonica vengono invase da nazionalisti a ciò addestrati, i quali si dichiarano fedeli di quella chiesa e deliberano durante un’assemblea l’afferenza alla confessione scismatica. Gli enti locali e le autorità presenti certificano la correttezza della procedura, determinando la spoliazione dell’edificio di culto a favore della Chiesa ortodossa scismatica. La magistratura conferma. Con questa procedura, accompagnata da violenze e pestaggi, arresti e vessazioni nei confronti dei ministri di culto e dei fedeli, in questi due anni e mezzo di guerra è avvenuto il passaggio di più di 350 chiese e monasteri nella
direzione della Chiesa ortodossa scismatica, con violazione di ogni principio di libertà religiosa. L’approvazione della legge non fa che rafforzare questa procedura rendendola più snella e pressoché automatica, bypassando possibili resistenze della magistratura a certificare quanto avviene sul campo.
E infine da notare che tutto questo è avvenuto malgrado che all’indomani dell’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina il Sinodo della Chiesa Ortodossa Ucraina canonica e il suo stesso Patriarca avessero pronunciato una ferma condanna dell’“operazione speciale”, accentuando, attraverso una modifica degli Statuti, la separazione dal Patriarcato di Mosca, condannando anche le posizioni personalmente assunte dal Patriarca di Mosca Kirill a sostegno alla cosiddetta “operazione speciale”, disponendo la cancellazione di ogni riferimento alla sua persona nei dittici (preghiere di inizio messa), il che costituisce espressione di presa di distanza ed estraneità, nonché ferma condanna del presule non citato.
L’Ucraina e l’aequis comunitario
Quanto sta avvenendo getta una luce sinistra sull’adesione dell’Ucraina ai principi di libertà religiosa e di tutela giurisdizionale propri della civiltà giuridica che è parte integrante dell’aequis comunitario e che il paese dovrebbe impegnarsi a rispettare quando ne chiede l’adesione, Certamente la legge approvata dall’Ucraina, che modifica la legislazione esistente in materia di libertà religiosa, presenta elementi di non conformità alla stessa Costituzione ucraina e benché, dettata da esigenze che potremmo definire belliche ed emergenziali, non può giungere fino al punto da estendere l’eventuale responsabilità personale di alcuni aderenti o ministri di culto o ecclesiastici all’intera organizzazione
confessionale. Non si può dimenticare che per il diritto occidentale la responsabilità politica, e soprattutto quella di carattere penale, è personale, e che quindi eventuali episodi o comportamenti che si caratterizzano come una violazione di norme penali vanno sanzionati a livello individuale, lasciando integre le garanzie di libertà collettive, soprattutto quando queste riguardano un’intera confessione religiosa e quindi milioni di fedeli che ad essa afferiscono e l’esercizio pubblico del culto. Quanto sta accadendo dovrebbe indurre l’Ue. a riflettere attentamente sulla decisione del Parlamento europeo e della Commissione a consentire all’Ucraina l’adesione all’Unione europea, considerando il fatto che la sua presenza introduce e rafforza elementi di inciviltà giuridica e di violazione dei diritti e dell’equis comunitario, che oggi caratterizzano i comportamenti di alcuni paesi come l’Ungheria e a volte la Polonia, ma che domani potrebbero rafforzarsi e divenire una delle caratteristiche peculiari e distintive dell’Unione.
D’altra parte non sfugge la portata economica e politica dell’operazione che vede soddisfatti gli interessi di ben individuati ambienti ecclesiastici ucraini, collusi con il Patriarcato di Costantinopoli, vero artefice di tutta l’operazione e beneficiario diretto ed economico dell’esproprio dei beni e delle proprietà della Chiesa Ortodossa Ucraina canonica.
Quando sta avvenendo si inserisce perfettamente in un disegno egemonico che il Patriarcato di Costantinopoli sostiene, mirante ad assumere il controllo dell’ortodossia in Europa e a conquistare per un Patriarcato, privo di una reale giurisdizione sui propri fedeli, uno spazio di esercizio del potere che si rivela funzionale a sé stesso e al tempo stesso si
mette al servizio di interessi geostrategici che fanno capo ad alcuni governi dei paesi dell’occidente, che lautamente lo foraggiano e lo sostengono nello svolgimento della propria opera.
Dal nostro punto di vista di laici non possiamo che esprimere schifo e profondo disprezzo per questi gruppi di interesse che assumono comportamenti a volte assimilabili a quelli mafiosi e che di fatto risultano essere blasfemi e profondamente offensivi della stessa divinità alla quale dicono di credere. Basti pensare all’abitudine di costoro di sanzionare i loro accordi e contratti con la concelebrazione di una messa in modo da chiamare a testimone dell’alleanza la divinità, distinguendosi così per blasfemia.
Nel mentre rispettiamo la libertà religiosa e di coscienza, sotto il profilo politico-istituzionale non possiamo che deprecare la progressiva degenerazione dei rapporti tra Stato e confessioni religiose che questi comportamenti producono, inducendo l’intero ordinamento dell’Unione europea ad assumere nei confronti del fenomeno e delle confessioni religiose
un atteggiamento neo – giurisdizionalista, caratterizzato dal considerare ogni confessione religiosa, necessariamente, un orpello del potere statale e istituzionale volto al dominio sulle coscienze, legandolo agli interessi di parte della nazione, deprivando l’appartenenza religiosa di larga parte di quell’afflato solidaristico e profondamente umano che dovrebbe
caratterizzarla. Tanto più che il fenomeno non riguarda solo l’Ucraina, ma si va estendendo anche ad altri Stati: è il caso recente dell’Estonia dove lo Stato ha di fatto costretto la Chiesa ortodossa locale, afferente al Patriarcato di Mosca, a richiedere la propria autocefalia e della vicina Lettonia che l’autocefalia l’ha attribuita per legge alla sua Chiesa ortodossa, violando l’autonomia confessionale e quindi la laicità delle istituzioni e dello Stato.
La Redazione
G. Cimbalo, L’ evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia, in “Diritto e religioni” 2-2020, pp.252-304; ID., La guerra Ucraina e la destabilizzazione dei rapporti ecumenici, “Coscienza e libertà”, 2021, n° 61/62, pp. 135-144; ID., Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo-ucraino, in “Diritto e religioni” n. 2 del 2021, pp. 487-512.