Nella Ue una destra tripartita

Ha aperto le danze Viktor Orbán costituendo al Parlamento europeo il gruppo dei Patrioti. Al nucleo iniziale di ungheresi, austriaci e slovacchi si sono via via aggiungi altri 84 parlamentari (per ora), costituendo il terzo gruppo per consistenza numerica. Non è stata a guardare AfD che, strumentalmente emarginata dalle altre destre, sta costituendo un proprio gruppo; a farne le spese di tutto i cosiddetti Conservatori della premier Meloni, ridotti all’osso. Più che una manovra finalizzata a giocare un ruolo nelle prossime elezioni delle cariche apicali dell’Unione questa frenetica attività di apparente differenziazione è finalizzata a predisporre gli strumenti che consentano alla destra di fare politica nell’Unione europea.

Agire separati, colpire uniti

Indubbiamente nel loro complesso i partiti della destra europea hanno riportato nelle recenti elezioni per il Parlamento un grande successo. ma i numeri non sono sufficienti, né per una maggioranza, né per costituire il supporto esterno a una possibile coalizione che governi l’Unione e questo perché molte facce presenti in questa aggregazione composita di scampoli di vecchi e nuovi partiti, rigurgitati dalle fogne, puzza così tanto da essere impresentabile e ingestibile. E allora occorre mettere a punto una strategia che, tenendo conto delle reciproche specificità, permetta ai partiti di destra, pur agendo separatamente, di colpire uniti alla bisogna. Se spiega così la costituzione dei vari aggregati: per capirne la funzione occorre analizzarne la composizione.
Per effetto dei risultati elettorali il Parlamento è composto da188 eurodeputati del Ppe, 136 Socialisti, 84 dei Patrioti d’Europa di Orbán, 78 di Ecr, 76 di Renew, 53 Verdi e 46 di The Left, e altri che devono ancora trovare collocazione. I Patrioti d’Europa, diventato terzo gruppo con 12 partiti per 84 seggi: Fidesz, Rassemblement National, Lega, Vox, PVV, Vlaams Belang, ANO 2011, Chega, Fpö, Partito Democratico danese, Voce della Ragione e Latvia First.
Tenuto conto che per ripartire gli incarichi all’interno del Parlamento europeo si procede con il metodo D’Hondt. Da ciò consegue che per ciò che riguarda la nomina dei vicepresidenti: al Ppe ne spettano 4, ai Socialisti 3, ai Patrioti 2 così come a Ecr, mentre Renew, Verdi e The Left dovranno accontentarsi di uno Lo stesso vale per i cinque Questori, ruolo amministrativo ma al quale è anche attribuita la gestione finanziaria sugli eurodeputati. Il Ppe ne avrà due, mentre uno ciascuno saranno di nomina socialista, Patrioti e conservatori.
Ancora più delicata la situazione nelle Commissioni parlamentari che sono 20 e alle quali si aggiungono 4 sottocommissioni. Anche i Presidenti delle singole Commissioni, dove si scrivono, si dibattono e modificano in prima istanza le proposte di legge, sono redistribuiti con il metodo D’Hondt, ma l’ordine delle scelte in questo caso è di estrema rilevanza. Ogni Commissione può essere più o meno appetibile per ogni partito o Paese in base a diversi fattori: i dossier trattati, l’importanza dei temi a livello globale, ma anche nazionale, i fondi a disposizione, il numero di membri necessari a far approvare i provvedimenti che interessano.
Dirigere i lavori, conoscere prima degli altri l’ordine del giorno, significa poter scegliere e formulare un proprio parere aumentando le possibilità che esso prevalga; di grande importanza la presenza numerica per poter esprimere o condizionare il Presidente. Stando alla composizione nuova dei gruppi, il Ppe dovrebbe avere 7 presidenti di commissione o sottocommissione, i Socialisti 5, Patrioti, Ecr e Renew 3, Verdi 2 e The Left 1. Se ci si concentra su Patrioti ed Ecr, si nota che i primi potranno esprimere la quarta, la tredicesima e la diciannovesima scelta, mentre ai secondi spetterà la
quinta, la quattordicesima e la ventitreesima scelta.
Le differenze di posizione in relazione alla consistenza numerica del gruppo è fondamentale perché maggiore è la differenza dei seggi e maggiore è la possibilità di avere più cariche e poter scegliere. A ciò si aggiunga che ogni gruppo, all’interno di una Commissione, nomina un suo coordinatore le cui posizioni avranno un peso che dipenderà dal numero di eurodeputati che coordina.
Ciò premesso, maggiore sarà il peso del gruppo, più difficile sarà per la maggioranza stendere intorno ad esso un cordone sanitario volto ad impedirne l’operatività che scaturisce dall’utilizzo del procedimento relativo ai lavori all’interno del Parlamento. Ebbene, il gruppo formato da Orbán si prepara a combattere al meglio questa battaglia,
contrattando su ogni singolo provvedimento, in modo da fare ostruzionismo al funzionamento del Parlamento europeo, al fine poi di contrattare in base ai propri interessi sui singoli provvedimenti.
A determinare il superamento dei Patrioti sui Conservatori è stato il passaggio di Vox dall’uno all’altro gruppo che ha portato quello della Meloni a scendere a 78 deputati. Il suo eventuale sostegno alla von der Leyen potrebbe comportare il rischio che il Pis la abbandoni, per andare nel gruppo dei Patrioti. In quel caso, gli effetti sarebbero
catastrofici: con 104 seggi a 54, i Conservatori vedrebbero crollare il numero di cariche a loro riservate e anche il peso dei coordinatori e delle Commissioni nelle quali ambiscono di svolgere un ruolo rilevante.
Mentre la Meloni si rotola nelle ambiguità e nei dilemmi, dilaniata dalla contraddizione di essere al tempo stesso capo di un raggruppamento come quello dei Conservatori che ambirebbe a svolgere una propria politica autonoma in Europa e Presidente del Consiglio di uno Stato che ha tutt’altri interessi, chi sembra marciare con il vento in poppa è il
terzo gruppo della destra, quello che sta costruendo Alternative full Deutschland, denominato ‘Europa delle nazioni sovrane’, terzo gruppo di estrema. Poiché per formare un nuovo gruppo sono necessari almeno di 23 deputati, provenienti da almeno un quarto degli Stati membri (7), ad AfD, con 15 deputati sono necessari altri 8 membri da 6 Paesi.
Hanno già dato la loro adesione il ceco Ivan David di Spd, ex-membro di Identità e Democrazia, 3 bulgari di Vazrazhdane (‘Rinascita’) e tra i papabili ci sono i 3 spagnoli di Se Acabó La Fiesta (‘La festa è finita’), il nazional-conservatore greco Movimento Patriottico Democratico – Vittoria (1 eletto), i 2 irredentisti romeni e populisti nazionalisti di S.O.S. Romania, i 2 neofascisti slovacchi di Republika, i 6 ultranazionalisti polacchi di Konfederacja e l’ungherese Movimento Nostra Patria (1 eletto), Sarah Knafo, l’unica eurodeputata rimasta in rappresentanza a Bruxelles della destra ultranazionalista
francese Reconquête dopo l’espulsione dal partito di quattro dei cinque eurodeputati eletti.
Se tutti costoro entreranno in Europa delle Nazioni Sovrane, il nuovo gruppo di estrema destra al Parlamento Europeo conterà 35 membri di 10 Paesi membri e sarà il più piccolo dopo quello della Sinistra (46). Il suo programma: “contro il Green Deal, contro la migrazione, contro l’islamizzazione dell’Europa, e vogliamo che i poteri di Bruxelles tornino a livello nazionale”.

Il progetto strategico di Orbán

Una volta ricostruito il quadro d’insieme e i meccanismi di funzionamento del Parlamento europeo non è difficile comprendere quale sia la strategia di Victor Orbán che, approfittando della sua temporanea Presidenza dell’Unione europea sta già dando pratica applicazione al suo progetto. Da coerente nazionalista, la prima preoccupazione del
Presidente ungherese, è stata quella di pensare agli affari del suo paese, recandosi a Kiev dopo aver contrattato con le autorità ucraine che l’argomento dell’incontro sarebbe stato soprattutto quello del trattamento accordato dal governo ucraino alle popolazioni della subcarpazia, una regione che si trova a nord del confine occidentale dell’Ucraina, di
popolazione ungherese, alla quale Orbán ha accordato una protezione speciale, rilasciando a tutti coloro che lo hanno richiesto, doppio passaporto e ciò al fine di consentire alle persone in età di leva di sfuggire al richiamo alle armi e di sottrarsi al coinvolgimento nella guerra cosiddetta patriottica. Orbán ha altresì negoziato particolari garanzie sul piano della libertà religiosa per la Chiesa rutena, oggetto anche essa dell’attacco della Chiesa scismatica ortodossa ucraina filogovernativa che mira ad acquisire il controllo di tutte le strutture religiose del paese, garantendo per l’antica Chiesa,
proprietà, libertà e autonomia.
In cambio la visita a Zelensky, la prima mai avvenuta, e il formale riconoscimento di un qualche sostegno all’Ucraina, ha costituito il prezzo pagato dal leader ungherese per le concessioni ottenute, anche se il loro peso è stato bilanciato, immediatamente dopo, dal viaggio in Russia per perorare la pace e una mediazione, per quanto improbabile,
tra i contendenti.
Anche se è l’iniziativa di Orbán appare a prima vista quantomeno estemporanea essa, è supportata da precedenti relazioni solide intrattenute con la Cina, con la quale l’Ungheria ha stipulato di concerto con la Serbia, accordi di cooperazione economica e commerciale che prevedono la realizzazione da parte cinese dell’alta velocità Belgrado-Budapest con tecnologia cinese; l’insediamento di industrie nei due paesi per la realizzazione di componenti delle macchine elettriche cinesi da esportare in Europa, in modo da aggirare eventuali dazi; la costituzione a Budapest di una università cinese, riconosciuta dallo Stato, nella quale verranno formati i futuri quadri dirigenti del paese asiatico da impiegare sullo scacchiere europeo, facendo in modo che ricevano una formazione adeguata ad affrontare i problemi del continente, In altre parole Orbán offre l’Ungheria come hub della Cina in Europa e si appresta a condurre una guerra da corsaro all’interno dei regolamenti comunitari per strappare dall’Unione europea più risorse possibili, condizionandola
dall’interno con il peso crescente della sua aggregazione.
Come si vede una strategia matura per porre la propria candidatura a guida della destra in Europa e ad essere il referente di una possibile futura amministrazione Trump nel continente.

La Meloni: un’anatra zoppa

Poiché la strategia generale della destra è organizzata, gestita e finalizzata da Orbán alla Meloni resta uno spazio residuale che la obbliga di barcamenarsi tra la difesa degli interessi dell’Italia e il sostegno a orientamenti e scelte politiche di destra dell’Unione europea sui singoli temi, dovendo tuttavia necessariamente allinearsi sulle tematiche
centrali e qualificanti alla maggioranza al governo, quali l’atlantismo e in sostegno alla guerra d’Ucraina. Per dirla più chiaramente la Meloni si troverà rispetto alla Commissione europea nelle stesse posizioni in cui erano i partiti che dettero vita al governo Draghi.
A trarre profitto e ad accumulare benefici sui singoli dossier sarà Orbán e il suo gruppo; come potrà il suo amato ministro dell’agricoltura Coccodrigida difendere gli interessi dell’agricoltura italiana, insidiata dall’ingresso dell’Ucraina sul mercato agricolo europeo; come potrà sostenere l’attuazione di un politica green morbida per ciò che riguarda gli
interventi green sugli immobili senza il sostegno di Orbán nelle Commissioni, in modo da mettere al riparo i cittadini italiani da investimenti immediati sulle case; come potrà ritardare a tempi più ragionevoli ed accettabili il passaggio alle auto elettriche in nodi da almeno ritardare la definitiva crisi dell’industria automobilistica italiana; come potrà sostenere le industrie italiane nei processi di concentrazione e di verticalizzazione inevitabili che caratterizzeranno l’economia. Forse avrà gioco più facile nell’accaparrarsi quote di mercato e di produzione per l’industria bellica, a condizione di promuovere e sostenere l’espansione delle aree di intervento della NATO verso l’Africa: è in questa direzione che va la richiesta di un responsabile della politica per il Mediterraneo e l’Africa, destinataria del fantomatico piano Mattei.
Così facendo Meloni non ha imparato nulla dalla crisi del macronismo, nostalgico di quello che fu l’impero francese, né dai problemi che affliggono l’abulico Scholz: le politiche di ambedue sono fallite sul piano sociale per carenza assoluta di risorse che essi hanno destinato a politiche imperialistiche, alla guerra, contribuendo a dividere la società nei loro paesi facendo aumentare le diseguaglianze sociali e promuovendo una distribuzione estremamente ineguale della ricchezza. In questo quadro il destino della Meloni sembra essere quello di consumarsi lentamente vedendo il suo consenso erodersi progressivamente per consunzione.

Gianni Cimbalo