Regionali come sondaggi elettorali

L’ultimo sondaggio elettorale per il tramite delle elezioni regionali si è concluso per il momento con un pareggio, ma l’andamento del voto merita di essere analizzato perché fornisce interessanti chiavi di lettura della situazione politica nel paese. Il primo e più evidente dato che emerge è che a recarsi alle urne è stato solo il 50 % circa degli elettori, con il risultato che bisogna fare la tara sul consenso raccolto dagli eletti e quello attribuito agli sconfitti e intanto ammettere che i vincitori dell’una e dell’altra parte hanno il consenso di non più di un quarto degli elettori aventi diritto al voto. Ciò evidenzia la crisi della politica e della partecipazione dei cittadini al voto, fenomeni dettati dalla convinzione che “questo o quello per me pari sono”, ovvero che nulla c’è da attendersi dagli eletti, perché, in fondo, fra di loro le differenze sono poche. Ciò detto non si può fare a meno di sviluppare alcune considerazioni che riguardano i casi specifici.

La Sardegna Meloni e la sindrome di Caligola

Designando il candidato per la Sardegna, nel suo delirio imperiale, la Presidente del consiglio non ha trovato di meglio che emulare Caligola, il quale amando sommamente incitatatus, il suo cavallo preferito, decise di nominarlo Senatore, imponendolo ai padri coscritti. a dimostrazione palese del suo disprezzo per loro e a misura del suo personale
incontrastato potere. Similmente, la Meloni, calata a Cagliari, ha scelto Paolo Truzzu, indesiderato sindaco di Cagliari, predestinandolo alla carica di Governatore dell’isola.
La scelta era stata attenta e ponderata, cementata dal rapporto di fiducia costruito durante le bicchierate nell’osteria vicina a via della Scrofa, nella sezione della Garbatella, a fantasticare di marce di Ascari alla conquista dell’Africa, delle glorie dell’impero, e soprattutto sulla messa a punto di una strategia per individuare un percorso comune di uscita dalle fogne. La “nana bionda”, come la definisce Salvini, ha rispolverato i frequenti viaggi a Roma del camerata cagliaritano quando negli anni ’90 Truzzu e Meloni erano ambedue studenti e militanti fascisti e ambedue militavano in Alleanza nazionale e poi in Azione studentesca; quella comune militanza si è consolidata nelle feste nazionali di Atreju e perciò Truzzu è stato scelto come perfetto sodale del gruppo dei fedelissimi della premier, e meritando di fare il proconsole in Sardegna. Il solo merito di Truzzu era quello di essere il cavallo del capo, ma alla Meloni, come a Caligola, è andata decisamente male. Ancora una volta le soluzioni in formato famiglia non hanno funzionato,grazie al voto
disgiunto sulla presidenza della regione. L’8,5 % dei voti andato a Soru ha reso chiari e visibili gli schieramenti.

In Abruzzo si replica

A prima vista l’Abruzzo sembrava una replica perfetta del caso Sardegna: il candidato della premier, Marco Marsilio è uscito dalle fogne come la premier e il candidato sardo, anzi era il segretario della sezione nella quale la Meloni si iscrisse al partito. Più intensamente di Truzzu, ha fatto parte dello sviluppo del gruppo dirigente romano e già in
occasione delle scorse elezioni, è stato inviato come proconsole nella vicina Abruzzo, mantenendo la residenza romana.
Lo stato disastroso della sanità in regione, i ritardi nella realizzazione delle infrastrutture (basta citare per tutti la ferrovia Roma Pescara), lo stato di degrado degli edifici scolastici, l’assenza di consultori, di servizi, la mancanza di sviluppo, facevano pensare che fosse necessaria e ben accetta ai cittadini una svolta nella gestione del governo della regione.
Ma queste previsioni mancavano di una conoscenza più approfondita del territorio nel quale il partito della premier ha un insediamento radicato che in Sardegna, soprattutto se si guarda alla provincia dell’Aquila, che è il suo collegio elettorale. In Abruzzo i fascisti conoscono bene i gruppi di interesse e ad essi l’amministrazione uscente ha distribuito nei 5 anni di governo vantaggi e prebende, abbattendo i vincoli che impedivano la speculazione edilizia, lasciando spazio ad un insieme di gruppi clientelari che trovano la loro rappresentazione nel consiglio regionale e che non avevano nessuna intenzione di abbandonare. Emblematico di questa situazione lo spostamento su Forza Italia di una parte di quelle che erano state clientele e sostegni elettorali dei 5 Stelle intorno alla candidata Sara Marozzi.
Nell’organizzare la sua campagna elettorale sul territorio la destra ha adottato strategie differenziate nelle 4 province. Nei 108 comuni dell’aquilano ha puntato sulle catene familiari, particolarmente efficaci per il controllo del voto nei piccoli centri dove tutti si conoscono, sulle politiche di deregulation dei vincoli di edificazione nei territori occupati
dai parchi naturali. Meno efficace la strategia messa in atto nella provincia di Teramo, dove la struttura produttiva si è caratterizzata per la realizzazione di aree di investimento produttivo nei piccoli comuni.
Il centro – sinistra confidava sulla crisi sembra più evidente della Lega – peraltro confermato dai risultati elettorali – ma soprattutto sul fatto che il candidato civico D’Amato, ritenuto di grande qualità ed equilibrio, fosse in grado di raccogliere il sostegno di un carpo larghissimo. Proprio questa circostanza – a nostro avviso – è una delle cause più vere
della sconfitta delle forze sedicenti riformiste perché, riunendo tutte e tutti, ha dimostrato nei fatti che fra i due schieramenti non vi erano poi sostanziali differenze e ha fornito un motivo razionale a chi ha deciso di astenersi, di non partecipare, consapevole del fatto che le grandi ammucchiate non convincono nessuno, tanto più se coloro che ne fanno parte non tralasciano occasione per criticarsi a vicenda e per dire l’uno dell’altro tutto il male possibile, mentre dovrebbero comportarsi da alleati. Per una volta occorre dare ragione alla premier e ammettere che per vincere non è importante un campo largo o larghissimo, ma coeso.

G. L.