Morire lavorando

C’è voluto il crollo di una trave nel Supermercato dell’Esselunga in costruzione a Firenze, in via Mariti, dove operavano contemporaneamente lavoratori di ben 60 imprese diverse, per ricordare a tutti quali effetti ha l’abrogazione di quella norma salva-profitti delle imprese che impediva i trattamenti economici e contrattuali differenti tra lavoratori di imprese diverse subappaltatrici. Sì, perché in via Mariti, il lavoro era stato frammentato tra 60 aziende diverse, suddividendo le varie attività e distribuendole tra sub appaltatori, in modo da consentire profitti ad ognuno di essi grazie al fatto di poter pagare sempre meno la mano d’opera e utilizzarla in condizioni di crescente sfruttamento. In questo turbinio di presenze il coordinamento e le comunicazioni sulle differenti e contemporanee attività di cantiere non hanno evidentemente funzionato, con il risultato che il disastro si è abbattuto su 5 lavoratori rimasti sotto le macerie.
Quando, dopo un faticoso lavoro di scavo e di ricerca, i vigili del fuoco hanno ritrovato con grande fatica i corpi delle vittime si è scoperto che uno di questi aveva la cittadinanza italiana, altri erano immigrati rumeni e quindi lavoratori comunitari, altri ancora clandestini, provenienti dalla Nord Africa.
Sì, perché a sputare sui migranti si fa presto, a disprezzarli anche, ma quando si tratta di farli lavorare con uno stipendio da fame, senza nessuna garanzia di carattere sociale, previdenziale e di sicurezza, allora non ci sono problemi e si chiude tranquillamente un occhio, anzi due. Il ministro delle infrastrutture lo sa bene e da maggior azionista della lobby di coloro che sostengono la persistenza dell’emigrazione clandestina nel paese e fanno di tutto per alimentare il mercato dei clandestini circolanti per il territorio dello Stato, ne gioisce perché sa di alimentare in questo modo quell’esercito industriale di riserva che deve fornire manodopera a basso costo, braccia e vite, agli imprenditori, perché possano lucrare profitti sempre maggiori dal sangue dei lavoratori. Quando diciamo questo ci riferiamo letteralmente al sangue e alle carni dei lavoratori, vittime delle morti sul lavoro.
Gli immensi e facili profitti di impresa non sarebbero possibili, come non sarebbero possibili i bassi salari corrisposti ai lavoratori dell’edilizia, se non esistesse un florido mercato del lavoro nero, alimentato da persone disperate che offrono le proprie braccia per sopravvivere e facilitato da norme che consentono di aggirare ogni controllo, ogni
regola e permettono di banchettare sulla vita dei lavoratori, pur di fare profitti facili e lauti.
Si dirà che bisogna essere garantisti, niente processi sommari; che bisogna aspettare le risultanze del lavoro della magistratura, la quale accerterà senza ombra di dubbio le responsabilità, provvedendo a punire i colpevoli. Noi invece pensiamo che è il caso di parlarne, e molto, innanzitutto perché riteniamo che anche una volta che venissero correttamente accertati i fatti e le responsabilità, coloro che li hanno commessi ne usciranno pressoché indenni, come dimostrano procedenti esperienze che vanno dai morti della Thyssen, a quelli di Viareggio, a Luana stritolata da un orditoio, e i responsabili di tre morti sul lavoro al giorno, perché altrimenti le carceri italiane sarebbero sature solo di assassini sul lavoro. Ma le morti sul lavoro non sono un crimine hanno come solo effetto una detrazione di 15 punti su 30 disponibili per ogni impresa, da recuperare attraverso un più che modesto corso di aggiornamento come precede la legge predisposta dal Governo dopo i fatti di Firenze per mettere un freno al fenomeno.

Un fenomeno generale

In termini assoluti il numero di decessi nel nostro Paese è il secondo dell’Unione dopo quello della Francia, ma in rapporto alla popolazione la situazione è più grave in Romania, Lussemburgo e Lettonia. Da parte padronale ci si ostina a ripetere che le morti sul lavoro sono un fatto fisiologico, prova ne sia che il fenomeno è comune a tutti i paesi d’Europa
dove gli incidenti sul lavoro sono aumentati del 5,5 % tra il 2020 e il 2021 e gli infortuni ogni 100.000 occupati sono stati 1.516. (2,88 milioni gli incidenti sul lavoro registrati in Europa nel 2021. Di questi, 3.347 sono fatali). Anzi l’Italia non è uno dei paesi che si trova peggio in classifica perché in Francia l’incidenza è ben maggiore, pari a 3.227 ogni 100.000
occupati. Gli incidenti mortali più numerosi avvengono in Lettonia e in Italia nel 2022 il primato per l’incidenza maggiore di infortuni legati al lavoro spetta alla Liguria con 3.050.
Durante la pandemia c’eravamo illusi che vi fosse stato un calo di incidenti sul lavoro, ma ben presto, con la ripresa delle attività piena, ci si è accorti che era l’effetto delle chiusure piuttosto che la conseguenza di una maggiore attenzione per la vita dei lavoratori, colpiti da infortuni che portano a un danno fisico o mentale durante l’esecuzione di un processo lavorativo, oppure durante il tragitto tra la casa e il luogo di lavoro.
Una politica efficace di contrasto agli incidenti sul lavoro non può prescindere da considerazioni che riguardano l’organizzazione complessiva dell’attività lavorativa, poiché ad incidere sulla pericolosità delle attività sono anche le condizioni generali nelle quali avviene la prestazione lavorativa, i tempi di esecuzione delle attività imposti dal datore di
lavoro, i ritmi richiesti, il lavoro a cottimo; tutti i fattori che accelerando il tempo di esecuzione delle mansioni, costringono di fatto il lavoratore ad omettere di seguire le procedure e adottare le cautele e le protezioni, poiché incidono sui tempi di esecuzione della prestazione e quindi sulla retribuzione e il mantenimento stesso del rapporto di lavoro.
Inoltre non sempre il lavoratore è incentivato dal proprio status a denunciare gli infortuni sul lavoro, a causa di sistemi di denuncia poco sviluppati, di leggi che non tutelano sufficientemente il lavoratore o da scarsi incentivi finanziari, dagli alti costi del contenzioso. In ogni caso gli incidenti sul lavoro vanno comunicati in modo tempestivo, poiché il lavoratore o la famiglia hanno diritto a ricevere un indennizzo e un eventuale risarcimento, come definito in Italia dal Decreto Legislativo 81 del 2008.
La conseguenza più immediata di questi fattori è che non tutti gli incidenti sul lavoro vengono denunciati, anche se questa questione riguarda principalmente eventi dall’esito non fatale, dal momento che gli incidenti mortali sono più difficili da nascondere o alterare.
Le diverse tipologie di lavoro coinvolte consigliano e necessitano di un intervento differenziato per settori perché i problemi della sicurezza sul lavoro sono evidentemente diversi nel caso in cui facciamo riferimento a lavoratori dipendenti da grandi imprese o da imprese artigianali, dove spesso il lavoratore stesso, titolare del suo auto sfruttamento,
rinuncia ad adottare le necessarie cautele pur di accelerare i tempi di lavorazione. Per quanto riguarda invece attività di lavoro con un’organizzazione più complessa e articolata, dove sono presenti ad operano degli imprenditori occorre cautelarsi da tentativi di realizzare economie di scala che consentano tempi più veloci di esecuzione delle prestazioni, realizzati bypassando le procedure di cautela nell’esecuzione delle mansioni.
Diviene necessità quindi di una legislazione differenziata per tipologie di imprese e per settori che tenga conto di queste specificità, tenendo presente che nulla è più importante della tutela della vita e che il prezzo del salario non può essere la messa in discussione dell’integrità del lavoratore o della lavoratrice. La tutela invocata è più agevole laddove è presente il sindacato e l’organizzazione dei lavoratori in funzione di tutela del lavoratore, è certamente agevolata dalla struttura societaria e dalla configurazione dei contratti di lavoro e degli appalti che presiedono all’esecuzione dei lavori stessi. Per questo motivo uno dei punti essenziali della vertenza che i lavoratori possono e devono sviluppare nei confronti dei datori di lavoro per la tutela della loro salute riguarda la natura degli appalti che l’azienda datoriale sottoscrive, poiché dalle clausole che questi contengono discende l’organizzazione del lavoro e la sicurezza dei lavoratori stessi.

E.P.