La stanchezza della speranza

Tutto va bene e non potrebbe andare meglio: il governo di centrodestra festeggia lo spread ai minimi storici, l’occupazione che cresce, la disoccupazione che diminuisce, ma, chissà perché il paese reale sta peggio, la sanità è un disastro, la gente rinuncia a curarsi, i salari sono bassi, i tassi per l’acquisto di immobili alle stelle. Eppure questo è il governo della piena occupazione, povera, dove per l’istituto di statistica lavorare un’ora alla settimana, a tempo “indeterminato”, non costituisce la condanna alla miseria più nera ma significa essere occupati, dove un salario mensile che non supera i 500 o 600 euro è l’ordinaria amministrazione per tante e tanti lavoratrici e lavoratori.
Il governo ha sottoscritto un piano di stabilità che prevede per i prossimi anni sacrifici immensi, non ci sono risorse praticamente per nulla e il governo vara una riforma fiscale che farà pesare ancora di più sul lavoro dipendente e sui pensionati la responsabilità del sostegno di quel poco di spesa pubblica che resta da destinare peraltro a progetti faraonici come il ponte di Messina, destinato ad ingrassare un bene individuato numero di aziende, mentre dall’una e dall’altra parte dello stretto i trasporti ferroviari e stradali languono e occorrono ore e ore per collegare una località all’altra, a fronte dello stretto che si supererà in una mangiata di minuti, naturalmente sempre ammesso che poi il ponte si riesca a farlo.
La sola cosa certa è che la gran parte delle risorse verrà assorbita dal riarmo perché l’Italia come del resto gli altri paesi d’Europa si preparano alla guerra, potenziando la produzione bellica, destinando sempre maggiori risorse al riarmo, dotandosi di un esercito di riservisti da affiancare a quello professionale. La prospettiva è quella di aiutare la decrescita demografica con un numero abbondante di morti in guerra, di feriti, di distruzioni perché l’accumulazione capitalistica possa essere rilanciata con il metodo classico della distruzione per il tramite della guerra e la successiva ricostruzione. Si dà il caso però che il calcolo sia un  po’ sbagliato a causa della variabile costituita dalla possibile degenerazione della guerra in scontro nucleare che con le sue distruzioni immani non lascerebbe spazio ad alcuna ricostruzione, ma si sa il capitale egoistico e dallo sguardo porto e vive di immediati guadagni e non di prospettive future di lungo periodo: basta guadagnare abbastanza ed accumulare per lo spazio di una vita poi se
l’umanità crepa pazienza sono cavoli di chi resta.
È questo per il motivo per il quale la classe politica del paese, come del resto quella d’Europa si è infognata nelle pianure ucraine, facendosi ammaliare da nazionalisti folli e dagli oligarchi dell’ucraina, alleati delle multinazionali, che non hanno niente da inviare agli oligarchi russi che combattono, convincendosi a far entrare in Europa un paese illiberale
e dittatoriale come l’Ucraina, del tutto speculare per regime politico a quello che combatte e cioè a quello russo, con il solo risultato di trasformare due popoli, quello ucraino quello russo in vittime sacrificali e condannare i popoli europei al degrado, alla povertà, alla recessione economica, ad una futura guerra che sarà distruttiva e travolgente.
È tempo di smetterla di lasciarsi abbindolare dalla parabola del paese aggressore e del paese aggredito: quando due criminali fanno a botte fra di loro il problema non si risolve domandandosi chi ha cominciato a litigare e a picchiare per primo, ma imponendo loro, semplicemente, di smetterla!
Il governo del paese che si prepara a gestire in pompa magna il G7 si avvia imperterrito verso questi traguardi trascinando la popolazione inconsapevole sempre più verso la rovina. Complici i partiti della sinistra riformista, prigionieri della trappola guerrafondaia, non capiscono che per riconquistare la fiducia dei loro elettori devono recuperare i loro tratti caratteristici genetici che sono quelli della ricerca della pace, del rifiuto della guerra, della ricerca della giustizia sociale, dell’uguaglianza, degli uguali diritti e si lasciano abbindolare da una narrazione che confonde, spacciandole per difesa della democrazia, gli interessi di gruppi economici ed oligarchici, con gli ideali di uguaglianza e partecipazione democratica, nell’inutile difesa di una democrazia liberale ridotta al fantasma di se stessa.
Contro questa deriva oggi possiamo fare solo una cosa: spiegare quando avviene in modo chiaro e razionale facendo in modo che chi ha buona volontà ed è in buona fede capisca e reagisca. È solo la presa collettiva di coscienza dello stato delle cose che può consentire alle popolazioni di resistere e di evitare il disastro e alla lotta di classe di ripartire forte di un’attenta analisi dei nuovi rapporti tra le classi, dell’incidenza dello sviluppo tecnologico sui rapporti produttivi e sociali, degli effetti della dimensione globale dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

La Redazione