Dal 22 al 24 agosto si è tenuto a Johannesburg il XV vertice dei Brics (acronimo formato dalle iniziali dei paesi fondatori dell’organizzazione Brasile, India, Russia, Cina, Sudafrica). Alla riunione sono stati invitati i leader di 67 paesi e i rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali, nonché rappresentanti del mondo dell’economia internazionale. 23 le richieste di nuove adesioni, 6 i “membri effettivi” ammessi dal primo gennaio 2024: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Con l’ingresso dei nuovi membri, i Paesi Brics «rappresenteranno il 36% del Pil mondiale e il 47% della popolazione dell’intero pianeta». Avrà maggior forza un gruppo eterogeneo di nazioni che si impegnano a stabilire un partenariato paritario tra Paesi che hanno punti di vista diversi, ma una visione condivisa per un mondo migliore, multipolare, e condividono un obiettivo dichiarato: la de-dollarizzazione degli scambi commerciali a livello mondiale, prova ne sia che negli scambi commerciali tra i cinque Paesi Brics nel corso del 2022 l’uso della moneta americana è stato pari solo al 28,7% del totale.
Nel corso dell’incontro i cinque membri dei Brics hanno raggiunto un accordo sui principi guida, gli standard, i criteri e le procedure del processo di espansione» del gruppo delle economie emergenti. «Abbiamo raggiunto un consenso sulla prima fase di questo processo di espansione», ha sottolineato il Presidente sudafricano, che presiedeva il summit, aggiungendo che i leader dei diversi paesi hanno incaricato i loro ministri delle Finanze e governatori delle Banche centrali, di considerare la questione dell’uso delle valute locali, come strumenti di pagamento e delle piattaforme di scambi commerciali, come strumenti della de-dollarizzazione, incaricandoli di riferire agli stessi leader Brics nel prossimo vertice sulla possibilità di adottare una comune moneta di scambio.
Ribadendo la necessità di muoversi in questa direzione il Presidente del Brasile ha proposto di rafforzare la Banca dei Paesi Brics per renderla «più forte del Fondo monetario internazionale (Fmi), mettendola in grado di garantire prestiti per lo sviluppo e la creazione di una moneta comune, trovando l’appoggio – scontato – della sua delfina ed ex presidente brasiliana Dilma Rousseff, arrivata a Johannesburg nella veste di capo della Nuova Banca di sviluppo dei BRICS, la New Development Bank, il fondo bancario internazionale con sede a Shanghai creato dai Brics il 14 luglio 2014 nella riunione
di Fortaleza (e da lei presieduto).
La Banca prevede di iniziare a prestare in valuta sudafricana e brasiliana come parte di un piano per ridurre la dipendenza dal dollaro e promuovere un sistema finanziario internazionale più multipolare. La banca dei Brics ha anche cercato di distinguersi dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale non stabilendo elenchi di condizioni politiche sui prestiti. Questa è una delle condizioni con cui rendere i suoi servizi attrattivi. Tuttavia, nell’agenda ufficiale del vertice di questi giorni non si è parlato della costruzione di una moneta comune anti-dollaro, ma la questione è allo studio dei diversi partners. Certo l’adesione all’organizzazione dell’Arabia Saudita, che ha aperto le trattative per diventare un nuovo membro della Banca multilaterale, introduce la presenza di un paese che dispone di immense riserve di capitali, e così dicasi per altri membri come gli emirati Arabi Uniti che certamente non negheranno il loro sostegno alla nuova istituzione bancaria.
Forza e debolezza dei BRICS
L’allargamento attuale dei BRICS, nati nel 2001 come raggruppamento di Paesi che condividono una situazione economica in via di sviluppo e dispongono di abbondanti risorse naturali strategiche, sono caratterizzati da una forte crescita del PIL e detengono una quota significativa del commercio mondiale ha un precedente nell’ingresso del Sudafrica nel 2010 e conosce ora un ulteriore sviluppo che inserisce nel gruppo. Paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran che sono tra i maggiori produttori di combustibili fossili; questo inserimento consente al gruppo di
controllare larga parte della produzione mondiale di greggio e di gas naturale. Occorre inoltre ricordare che tra i paesi candidati c’è il Venezuela il cui ingresso nell’organizzazione viene dato per imminente. In tal modo la gran parte dei paesi
produttori di petrolio e gas farebbe parte dell’organizzazione che avrebbe in questo modo la possibilità di orientare la produzione e la commercializzazione di questa importante materia prima.
L’ingresso rapido dell’Argentina nell’organizzazione è stato esplicitamente voluto dal Presidente del Brasile Lula, il quale ha voluto in questo modo dare un segnale a tutta l’America Latina, facendosi carico di un Paese che si trova a vivere una contingenza economica difficile, con un’inflazione altissima, e ciò malgrado che disponga di immense risorse e ricchezze, evidentemente mal utilizzate e mal gestite.
Meno si comprendono le ragioni che hanno indotto l’organizzazione ad ammettere a farne parte Paesi come l’Etiopia e l’Egitto che non sembrano presentare caratteristiche tali da suscitare a prima vista l’interesse dei Brics, a meno che non si concluda per la scelta di dare un segnale d’attenzione ai paesi africani ed inquadrare l’ammissione nell’ambito della politica di buon vicinato con la parte povera del mondo.
Vi è chi ha voluto vedere nei BRICS un’alternativa al G7 e uno strumento di contrapposizione all’Occidente. Se questo è vero per la Russia e la Cina, certamente non è così per l’India che si sforza in ogni occasione di ricordare che lo spirito con il quale i Brics operano è quello di collaborare per un più armonico funzionamento dell’economia mondiale e per dare al commercio e agli scambi tra le diverse economie un maggiore equilibrio. Così dicasi per altri paesi che operano all’interno dell’organizzazione, ma il dato di fatto è che il modello BRICS rappresenta oggi un’alternativa ad un’economia dominata dal dollaro e dalle ragioni di scambio fissate dalle economie più avanzate dell’Occidente.
Certamente la crescita di questa aggregazione non potrà che potenziare la trasformazione degli equilibri internazionali, facendoli evolvere nella direzione di un mondo multipolare all’interno del quale giocano un ruolo certamente nuovo paesi
come Cina, Russia e India.
In particolare, l’allargamento dell’organizzazione dimostra il sempre minore isolamento della Russia a livello internazionale, tanto più che in occasione della riunione di Johannesburg essa ha assicurato che provvederà a fornire gratuitamente 50.000 tonnellate di grano a sei Paesi africani, tra i quali il Burkina Faso, il Mali, l’Eritrea e altri Paesi africani, presumibilmente nell’area del Sahel, dove si concentrano gli interessi strategici della Russia in Africa. Inoltre, il governo russo ha dichiarato: “Quest’anno prevediamo di esportare circa 55 milioni di tonnellate in base ai nostri piani di raccolto. Questa cifra può essere ritoccata al rialzo nel corso del raccolto. Se vedremo che le nostre previsioni di raccolto in termini di volume di cereali sono in crescita, adegueremo la cifra anche in termini di volumi di esportazione.” Un riscontro a queste dichiarazioni della Russia viene dalla constatazione che la scorsa settimana, il Kenya ha iniziato a
lavorare 34.000 tonnellate di condensato per i fertilizzanti, fornito gratuitamente dalla Russia a maggio. Secondo i media locali, questo condensato sarà utilizzato per produrre 100.000 tonnellate di prodotti finiti, che saranno assegnati come input sovvenzionati agli agricoltori, facendo guadagnare consenso verso il donatore.
Prospettive e sviluppo
Nelle intenzioni della Cina i Paesi BRICS “dovrebbero essere compagni sulla strada dello sviluppo e della rivitalizzazione e opporsi al disaccoppiamento e alla rottura delle catene degli approvvigionamenti e alla coercizione economica.” Occorre ricordare che dopo Johannesburg restano in lista d’attesa Algeria, Bangladesh, Bahrein, Bielorussia,
Bolivia, Cuba, Honduras, Indonesia, Kazakistan, Kuwait, Palestina, Nigeria, Senegal, Thailandia, Venezuela, Vietnam, mentre non sono da escludere ulteriori richieste di adesione nella misura in cui le politiche praticate dall’organizzazione si riveleranno efficaci per garantire finanziamenti allo sviluppo attraverso la Banca che essi stessi hanno fondato e attraverso le politiche di cooperazione instaurate. È da rilevare inoltre che in molti di questi paesi la Cina è presente con massicci investimenti, soprattutto in infrastrutture che agevolano lo sviluppo di questi paesi, ma al tempo stesso li legano
all’economia cinese.
La conseguenza è che il mondo multipolare è ormai una realtà e all’Occidente e agli Stati Uniti in particolare non resta che prenderne atto, in attesa di vedere sempre più insidiato il ruolo del dollaro come cardine del sistema monetario mondiale. Se ciò dovesse avvenire ci troveremmo di fronte alla fine di una rendita di posizione per l’economia statunitense che risale quantomeno alla fine della Seconda guerra mondiale e che porrà non pochi problemi sconvolgendo le regole di funzionamento sia monetarie che del commercio globale.
Quanto sta avvenendo non potrà che avere dei contra colpi sull’Unione europea e sulla sua economia che sarà chiamata a scegliere da che parte stare. Il ruolo di vassallaggio verso l’economia americana, come anche quello di partnership privilegiato nei confronti
dell’economia USA è destinato a tramontare e i nuovi equilibri saranno difficili da disegnare perché bisognerà fare i conti con un assetto geopolitico ed economico del tutto nuovo e al momento imprevedibile. Ne sa qualcosa l’industria tedesca che
deve decidere come comportarsi con le sue esportazioni in Cina e come affrontare la crescita della concorrenzialità delle merci prodotte nei paesi BRICS.
Mario Draghi, ex presidente della BCE e ex premier italiano, ha avvertito in una recente dichiarazione rilasciata all’Economist in relazione ai problemi futuri dell’Europa: “Le strategie che hanno garantito la prosperità e la sicurezza dell’Europa in passato – la
dipendenza dall’America per la sicurezza, dalla Cina per le esportazioni e dalla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente insostenibile per i cittadini, mentre l’opzione radicale di uscire dall’Ue ha prodotto risultati decisamente contrastanti. Creare un’unione più stretta si rivelerà, in ultima analisi, l’unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità tanto agognate dai cittadini europei.“
I nuovi scenari
Nel momento in cui ipotizziamo impossibili scenari di evoluzione dei rapporti economici e commerciali a livello mondiale non vogliamo formulare un giudizio di valore, ma ci limitiamo esclusivamente a constatare quali sono le linee di tendenza sulla base delle quali si muovono i nuovi grandi attori della politica economica internazionale, destinati a
divenire attori di una nuova politica di potenza che non sono né peggiori né migliori delle potenze capitalistiche occidentali che le hanno procedute, né dei gruppi di Stati e di potenze che sopravvivono nello scenario europeo e nordamericano e che continueranno ad operare per perpetuare lo sfruttamento della parte debole del mondo, a tutte le latitudini. Anzi, a ben guardare, del nuovo aggregato BRICS fanno parte paesi retti da regimi che non brillano certo per l’apertura alle libertà civili, basti pensare all’Arabia Saudita, l’Iran, agli Emirati Arabi Uniti e, perché no, alla Cina, alla Russia, all’India.
Le nefandezze del governo dell’Arabia Saudita sono fin troppo note: basti richiamare l’omicidio del giornalista Cassogi e la repressione delle libertà civili nel paese, mentre è noto il suo ruolo nel sostegno della politica dei movimenti wahabiti nel mondo quando non dei movimenti jihadisti; che dire poi dell’Iran dove da più di un anno è in corso una
feroce repressione delle donne e delle loro più elementari libertà, mentre vige uno sfruttamento di classe attuato da una società clericale gestita da un clero retrogrado e ottuso. Anche gli Emirati Arabi Uniti non brillano certamente per né per le libertà civili, né per quella delle donne, né per i diritti dei lavoratori, sfruttati fino a causarne la morte, in una totale assenza delle garanzie più elementari di sicurezza sul lavoro e di tutela dei diritti dei lavoratori.
In quanto alla Cina, le libertà civili del paese sono state immolate sull’altare del conquistato benessere della popolazione che, peraltro, conosce crescenti diseguaglianze e una sempre maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di un’élite borghese che costituisce ormai il nerbo portante del paese. La famosa locuzione della sua Costituzione che descrive lo Stato cinese come un’entità governata da un’alleanza tra operai contadini e borghesia nazionale è, certamente, oggi squilibrata a favore del potere esercitato da quest’ultima componente di classe.
Che dire poi della Russia dove la dittatura putiniana sta portando il paese al disastro e dove si impone sempre più la visione panrussa del potere sostenuta dalla Chiesa Ortodossa Russa e basata sulla stretta alleanza tra Stato e Chiesa, dove la Chiesa fornisce la copertura ideologica alla politica di espansione e di potenza dello Stato, con il totale sacrificio delle libertà civili e l’imposizione di valori tradizionali quanto regressivi che fanno strage dei più elementari diritti di cittadinanza.
Tra i membri dei Brics si impone per il suo ruolo e la sua presenza l’India retta dalla politica dell’Hindutva, l’ideologia nazionalista su cui si fonda la visione politica del premier Modi, basata sul motto “Hindu, Hindi, Hindustan”: una religione, l’induismo, una lingua, l’hindi, per una terra consacrata a una comunità nazionale omogenea e la cui
dominazione deve spettare a un ceppo ben definito: quello indu.
L’analisi seppur sommaria dei paesi membri si conclude con l’Etiopia retta da un governo che ha fatto propria la “teologia della prosperità”, delle Chiese evangelicali, pervertendo tradizione e natura del paese nonché dall’Egitto la cui tendenze dittatoriali e criminali del governo sono ben note.
Un’eccezione sembra essere rappresentata dal Sudafrica che dopo scelte difficili si avvia verso una politica di sviluppo tuttavia non priva di ombre e soprattutto dal Brasile che sotto la gestione di Lula sembra aver ritrovato quello slancio verso politiche sociali aperte e verso la tutela dell’ambiente e che tenta di trainare su questa via l’Argentina in crisi.
In questi paesi, al di là di come si qualifichino i diversi governi, le classi subalterne vengono sfruttate per perseguire una politica di concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, per perpetuare la schiavitù del lavoro salariato, peraltro caratterizzata da retribuzioni spesso al di sotto delle soglie di sussistenza. Basti pensare alle condizioni
di lavoro praticate in India per rabbrividire nel confronto con situazioni analoghe ma forse di più attenuato e raffinato sfruttamento nei paesi dell’occidente.
Non vorremmo infatti che dalla nostra analisi che constata l’evoluzione della situazione economica e politica si ricavasse l’impressione di una soddisfazione per quanto sta avvenendo, per un terzomondismo d’accatto, esaustivo delle ragioni di classe, che gode per la fine dell’egemonia dell’occidente in campo economico e politico. Purtroppo,
l’evoluzione e lo sviluppo delle forme di Stato e di governo rimane fortemente punitivo degli interessi delle classi sfruttate e tende a perpetrare il dominio di classe e lo sfruttamento capitalistico con forme che vedono mutare solamente la configurazione degli attori principali che detengono le leve del potere ma mantengono intatto lo sfruttamento di classe.
La soluzione va cercata in un nuovo e forte internazionalismo, basato sulla solidarietà di classe e sulla edificazione di sistemi giuridici istituzionali che garantiscano un’equa distribuzione delle risorse, un accesso di tutti i lavoratori ai beni prodotti e alle cose belle della vita, il modo che sia consentito a tutti di accedere alle risorse per soddisfare i propri bisogni. Questa funzione diviene oggi sempre più possibile sulla base dell’evoluzione delle capacità produttive, delle nuove tecnologie, di una visione più attenta delle risorse offerte dal pianeta, dal bisogno di rispettare la natura per una razionale utilizzazione delle risorse in modo da soddisfare equamente i bisogni di tutti.
G.C.