L’Italia per quanto riguarda il PNRR, Piano nazionale di rinascita e resilienza, nato grazie a prestiti erogati su debito comune garantito dall’Unione europea a bassi tassi di interesse per rilanciare l’economia dei paesi che ne fanno parte, si dibatte tra incapacità e ritardi. Quanto sta avvenendo non è solo frutto della cronica incapacità del paese di spendere le risorse a disposizione, a causa di una burocrazia camaleontica e farraginosa, ma dipende da carenze strutturali relative ai criteri con i quali viene valutata l’efficacia degli investimenti. Vi è infatti una differenza profonda tra le logiche che guidano la Comunità europea e quelle che presiedono all’attività di governi, come quello italiano, che fanno degli investimenti pubblici un’occasione per impiegare risorse destinate ad avere efficacia in due direzioni: quella dell’investimento in se stesso, rispetto agli obiettivi economici e produttivi che esso ha, e la ricaduta in termini di profitto e di occupazione clientelare che produce, di profitto illecito destinato ai facilitatori e sponsor politici dell’investimento, alla quota ti profitto che i decisori politici riservano a se stessi per ripagarsi dal punto a livello clientelare ed elettorale per le risorse ottenute. In altre parole ogni investimento produttivo pubblico è un’occasione per ridistribuire a livello clientelare parte rilevante delle risorse investite così che il valore produttivo dell’investimento decade e deperisce in relazione alla forza e alla capacità di penetrazione delle lobby nella spartizione del profitto e nell’acquisizione di quote più o meno rilevanti di esso.
Questa logica è stata quella che ha guidato l’utilizzazione del fiume di denaro pubblico riversatosi soprattutto verso i territori del meridione e del centro Italia, che pure hanno beneficiato negli anni di investimenti che avrebbero dovuto sollevare attraverso l’aiuto pubblico l’economia del territorio. È il caso dell’esperienza ventennale della Cassa per
il Mezzogiorno che in una sua prima fase ha avuto tuttavia il merito di operare su investimenti che avevano un respiro e un’ampiezza territoriale da permettere la realizzazione di opere infrastrutturali. Non è un caso che lo strumento Cassa è entrato definitivamente in crisi con la riforma del titolo V della Costituzione che, frammentando l’unità nazionale, ha reso autonome le Regioni e settorializzato e suddiviso, parcellizzandoli, gli interventi della Cassa, divenuti così inefficaci, in assenza di una centralizzazione delle decisioni e degli investimenti stessi.
Investimenti e criteri di rendicontazione
È del tutto ovvio e naturale che a qualsiasi investimento deve corrispondere una precisa rendicontazione delle spese sostenute che ne permetta di verificare la corretta esecuzione. Sotto questo aspetto degli investimenti pubblici si è concentrata l’attività della Pubblica amministrazione che in sede di controllo si è limitata, quando è stata capace di effettuarli, a quello contabile relativo all’esecuzione dell’investimento, al fine di verificare che non vi fossero stati illeciti nella assegnazione degli appalti, nell’esecuzione delle opere, nell’utilizzo dei materiali idonei e di quant’altro presiede ad
una sua corretta esecuzione Questo controllo formale è stato spesso criticato, perché inefficace, a causa degli illeciti commessi nell’effettuare le verifiche durante le diverse fasi dell’assegnazione dell’appalto dell’opera e dell’esecuzione della stessa. Da qui iniziative come quella del Codice degli appalti che aveva il compito dichiarato di limitare, se non di evitare, la corruzione nell’arco dell’affidamento dell’appalto medesimo e dell’esecuzione dell’investimento pubblico.
Ebbene, nel caso del PNRR, la Commissione europea non si limita a chiedere una rendicontazione che risponda ai criteri suddetti e quindi la trasparenza in materia di appalti e di esecuzione dell’opera, ma richiede una verifica del risultato, ovvero ragiona secondo una logica estranea alla tradizione italiana dell’investimento pubblico. Una volta che l’investimento è stato effettuato e l’opera realizzata la Commissione richiede un ulteriore step di verifica dell’efficacia dell’investimento medesimo. Ad esempio, se ad essere finanziato è stato un asilo la Commissione chiede di conoscere quanti sono i bambini fruitori della struttura, a quanto ammonta il personale impiegato, se è sufficiente ad erogare il servizio, qual è la qualità, l’ampiezza temporale del servizio, se la popolazione destinataria dell’investimento aveva effettivamente bisogno dei posti asilo creati, e quindi, in altre parole, di conoscere qual è la ricaduta economica dell’investimento. Il controllo del risultato così concepito cozza in modo palese con le modalità con le quali l’Italia ha provveduto a stendere le richieste relative al PNRR, o almeno molta parte di esse.
Nel redigere i progetti e le richieste si è puntato sulle capacità di progettazione, di ideazione, di inventiva delle amministrazioni richiedenti, dei soggetti che hanno formulato le richieste, piuttosto che provvedere scrupolosamente alla verifica di quale fosse la ricaduta di impatto sulla struttura produttiva e sulla richiesta di servizi che il progetto comportava. Accade perciò che al momento di mettere a terra il progetto ci si sta accorgendo che, in molti casi, ad esso non corrisponde un impatto positivo in risposta a dei bisogni emergenti dal territorio e che quindi diviene impossibile dare
una risposta positiva al controllo di risultato, una volta che l’investimento è avvenuto, con il rischio di vedere verificato il finanziamento comunitario all’investimento medesimo. Ci si accorge così di non poter impunemente costruire, come spesso si è fatto, delle cattedrali nel deserto. forti del fatto che l’investimento pubblico richiede una spesa a carico dello Stato, soggetto anonimo, al quale non occorre rendere conto.
Ad esempio se prendiamo come punto di riferimento una delle Regioni italiane che dispongono di una sanità tra le più disastrate, la Calabria, abbiamo modo di verificare che nella Regione sono stati fatti investimenti relativi alla realizzazione di strutture ospedaliere e sanitarie di notevole entità. che queste sono state abbandonate ancora prima di essere completate (come è avvenuto per l’Ospedale di Scalea) quando non, come nel caso dell’ospedale di Paola, dismesse il giorno dopo averle inaugurate, in omaggio ad un calcolo errato rispetto ai fabbisogni del territorio, oppure in omaggio e per consentire il disfunzionamento della sanità pubblica, per avvantaggiare quella privata.
Queste distorsioni si vanno a sommare a quelle derivanti dalle obiettive carenze di capacità progettuali delle strutture territoriali che, depauperate da anni di progressiva liquidazione delle competenze tecniche e progettuali delle quali disponevano, in nome del risparmio di spesa delle strutture, non dispongono di capacità progettuali, il che fa sì che l’Italia sia detentrice di un vero record rispetto ai finanziamenti comunitari, in particolare ad opera delle Regioni del Mezzogiorno, le quali hanno rinunciato ad usufruire di fondi proprio a causa dell’incapacità di progettare e di spendere le risorse disponibili, restituendole a Bruxelles, tanto che è famoso il caso di un’autostrada in Polonia che viene chiamata, a livello popolare. autostrada Italia, costruita con i fondi comunitari recuperati tra quelli non spesi e non usufruiti dall’Italia.
Le zone economiche speciali
Il meccanismo appena descritto permette di individuare una delle cause degli attuali ritardi nella messa a terra dei progetti del PNRR, ragioni di carattere strutturale alle quali vanno aggiunte le lotte relative agli incarichi di direzione e gestione dei progetti. Rimane il fatto che l’obbligo di vedersi revocare il finanziamento dell’investimento ottenuto perché è inefficace dal punto di vista degli stakeholders, ovvero dei destinatari ad esso interessati e coinvolti, frena oggi l’esecutivo dal procedere nell’attuazione dei progetti e lo obbliga e lo consiglia a chiedere le rinegoziazioni in modo da non sottoscrivere prestiti che dovranno comunque essere onorati, anche se concessi ad un basso interesse, e ai quali non corrisponderà un effettivo beneficio economico.
Se non che dalle cronache relative alle trattative con l’Unione europea giunge un segnale nuovo che rischia di mettere i bastoni fra le ruote alla politica del governo di destra-centro soprattutto per ciò che concerne l’attuazione dell’autonomia differenziata
La Commissione europea e Commissaria per la Concorrenza Margrethe Vestager, hanno accolto favorevolmente la proposta avanzata dal Ministro agli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr di istituire una Zona economica speciale unica per il Sud. Verrebbero così unificate la attuali 8 zone esistenti. Le regioni interessate sono
l’Abruzzo, la Campania, la Puglia, la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna che andrebbero a costituire una macroregione per la quale si darebbe corso all’introduzione di una legislazione particolarmente favorevole e soprattutto ad un coordinamento centralizzato degli investimenti.
Le zone economiche speciali vengono solitamente create per attrarre maggiori investimenti, soprattutto quelli stranieri, e promuovere lo sviluppo di Regioni particolarmente disagiate. Lo strumento non è nuovo e risale addirittura al 1937 ed è stato impiegato con successo in moltissimi paesi; mira ad estendere a tutto il Mezzogiorno le misure di semplificazione e accelerazione delle procedure approvative e autorizzative e di sostegno alle imprese, estendendo l’autorizzazione unica per l’avvio delle attività produttive e la riduzione di un terzo dei termini di conclusione dei procedimenti, assicurando trasparenza ed efficienza dell’intero processo con la creazione di uno “Sportello Unico Digitale”. Si vuole in tal modo, creare un regime fiscale di vantaggio, che contempla l’abbattimento totale della tassazione su alcune tipologie di imprese; applicare procedure amministrative semplificate; assicurare possibilità di rimpatrio agevolate di investimenti e profitti per le imprese straniere che vi investono; garantire dazi ridotti su importazioni, esenzione su tasse per esportazione; canoni di concessione agevolati.
Il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che in queste aree peggiorano enormemente le condizioni di lavoro dei lavoratori ,con forti limitazioni dei diritti fondamentali dei lavoratori, come le esperienze passate in tutto il mondo insegnano. Così ancora una volta si crea profitto sfruttando in modo ancora più brutale i lavoratori.
La contraddizione più profonda del provvedimento che si intende intraprendere è costituita dal fatto che a fronte di una possibile attuazione dell’autonomia differenziata per alcune regioni e del decentramento dei poteri che caratterizza questa operazione per il Sud e questa gran parte del paese si applica un criterio del tutto diverso, anzi opposto, che prevede la centralizzazione delle decisioni è una unicità di interventi operativi affidata ai poteri centrali con una forte riduzione dell’autonomia. C’è da dire poi che l’intervento avviene su un’area che non è omogenea dal punto di vista delle caratteristiche economiche e strutturali, perché diversa è la situazione della Campania e della Puglia da quella della Calabria o della Basilicata, per non parlare delle condizioni decisamente particolari di Sicilia e Sardegna. Non ce dubbio comunque che con questo provvedimento il panorama istituzionale del paese si complica ancora di più e assume in prospettiva una struttura sempre più caotica di difficile governabilità.
Un governo che si autodefinisce nazionalista e patriottico sta provvedendo attraverso decisioni quando mai scollegate e caotiche a disarticolare la struttura istituzionale e la governance del paese, consegnando alle future generazioni una struttura balcalizzata del territorio italiano che risponde a interessi sempre più localistici, mettendo in atto forze centrifughe, che non solo dissolvono la coesione nazionale, rendendo impossibile l’applicazione omogenea dei diritti costituzionali su tutto il territorio, e quindi precludendo la possibilità di usufruire di un’effettiva realizzazione dei servizi tesi ad attuare il principio di uguaglianza dei cittadini, ma di fatto allontanano il paese dalla coordinamento con il resto d’Europa
G. L.