La Presidente del Consiglio italiano che ha delegato la gestione della politica interna del paese ai suoi sodali che ne combinano di cotte e di crude, ha concentrato la sua attenzione sulla politica estera e ha fortemente voluto la “Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni” svoltasi a Roma il 23 luglio. Su invito italiano vi hanno partecipato tutti gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, i vertici delle Istituzioni europee e delle Istituzioni finanziarie internazionali, con l’obiettivo di per affrontare le emergenze e lanciare una strategia di sviluppo condivisa dei paesi coinvolti.
Non vi è dubbio che l’iniziativa rappresenta una ripresa dell’iniziativa politica estera italiana che cerca di sostituirsi alla Francia – non a caso non invitata alla conferenza – nello svolgere un ruolo attivo in Africa e nei paesi della sponda sud del Mediterraneo, con l’intendo dichiarato di ostacolare in tal modo i flussi migratori, spostando la frontiera dell’Unione europea ai paesi della sponda sud del Mediterraneo e al tempo stesso con l’obiettivo di penetrare nelle economie dei paesi coinvolti, prendendo a pretesto l’intenzione di promuoverne lo sviluppo, attraverso attività di partenariato paritario, rispolverando la formula di cooperazione che fu di Enrico Mattei, al quale ha intitolato il suo programma di intervento per l’Africa. A tenerle bordone, nella figura di pupo, il Ministro degli Esteri Taiani, di fatto commissariato, mentre lei volerà a Washington per ottenere OK da papà Biden che la tiene per mano perché possa agire come sub agente degli USA in Africa.
Si è trattato, di qui, di una prima iniziativa, caratterizzata da discorsi sostanzialmente fumosi, da promesse generiche, ma sostenuta da una filosofia e da obiettivi invece chiari: si vogliono moltiplicare protocolli come l’accordo appena sottoscritto con la Tunisia sul controllo delle coste e il respingimento dei migranti, al fine di creare un cordone sanitario, incaricato di gestire quel fantomatico blocco navale ipotizzato
in campagna elettorale che dovrebbe fermare i migranti, in nome e per conto dello Stato italiano, il quale fa da ufficiale pagatore, insieme all’Unione europea, che, non a caso, affianca la Meloni. Questo lavoro sporco, di fatto criminale, che già Minniti appaltò alle tribù libiche e ai trafficanti di uomini di quel paese, oggi la Meloni lo trasforma in incarico di Stato e lo affida ufficialmente al dittatore tunisino noto razzista, a sua volta, in attesa di un’analoga proposta da sottoscrivere con il dittatore egiziano, con il quale sono in corso trattative, accordi doganali, accordi commerciali e quant’altro, e dei quali, forse, l’accordo sul rilascio di Patrick Zaki, costituisce un’anticipazione positiva. Si delinea così la politica estera, ma anche quella migratoria, del governo Meloni tuttavia più complessa e articolata di quando di primo acchito possa sembrare.
Mercato del lavoro emigranti
Rispetto ai programmi elettorali del suo partito sembra di poter affermare che il pragmatismo che caratterizza il modus operandi della Meloni premier la stia inducendo a rivedere le proprie posizioni in materia di emigrazione, sostituzione etnica, e altro ciarpame del genere, sotto la spinta e le pressioni della Confindustria e del patronato,
preoccupato della necessità di dover disporre di forza lavoro qualificata da utilizzare nelle imprese.
Se fino ad ora gli interessi del patronato in materia di manodopera di provenienza migrante erano soprattutto quelle provenienti dal mondo agricolo e bracciantile, da quello dei servizi e della logistica, dei servizi, si trattava di disporre di braccia a buon mercato, possibilmente relegate nel mercato nero, al quale questo mercato del lavoro può attingere a causa delle caratteristiche strutturali di organizzazione del lavoro (temporaneo, precario, stagionale) ora le esigenze di forza lavoro stanno cambiando perché con la crescita delle conseguenze della crisi demografica e il contemporaneo andamento positivo dell’economia e dell’occupazione nel paese, crescono le richieste di lavoratori qualificati sul mercato del lavoro, mentre sempre più si fa pressante l’esigenza di disporre di forza lavoro qualificata da impiegare.
In questa nuova prospettiva la Bossi Fini, benché rivisitata, non è più funzionale a rispondere alla gestione, soprattutto clandestina, anzi volutamente clandestina, del mercato del lavoro migrante ma opporre cambiare strategia e provvedere alla preventiva formazione di forza lavoro da assumere, prova ne sia su richiesta delle organizzazioni datoriali il governo ha aumentato i flussi migratori regolari, portandoli a una cifra molto vicina alle 500 000 unità, ipotizzate dal cognato della premier.
In questa nuova situazione il governo guarda realisticamente alle esigenze dell’economia e sceglie, giocoforza, vi assecondare le richieste del patronato, non senza aver selezionato il più possibile i migranti da far entrare nel paese.
L’elemento di contraddizione di questa strategia è costituito dal numero enorme di migranti che in modo crescente raggiunge le coste italiane, che giornalmente impone la propria presenza sul territorio del paese, mentre appare poco realistica la speranza, che il governo sembra coltivare, di potere in futuro, proprio attraverso gli accordi che sta
sottoscrivendo, di poter respingere almeno una parte di coloro che già sono entrati in Italia, per i quali non resta altra strada che quella di facilitarne l’esodo oltre frontiera, verso l’Europa, in modo che diventino un problema per gli altri paesi, i quali peraltro costituiscono la loro meta finale. Su questa strada il governo ha una contraddizione rappresentata dagli impegni che contemporaneamente sta prendendo, coinvolgendo l’Unione europea nella gestione del flusso migratorio, ma costituisce una delle conseguenze del pragmatismo, quello di una politica a la carte, giorno per giorno, senza guardare alle conseguenze di lungo periodo delle scelte che via via vengono intraprese.
Ma c’è di più: nella strategia di lungo periodo che guida l’azione della premier italiana – la quale si sente investita di questo ruolo per un periodo sufficientemente lungo da permetterle di dispiegare con efficacia la sua strategia. Perciò ha l’ambizione di fare della politica migratoria uno degli elementi qualificanti di una futura maggioranza che dovrebbe guidare la prossima Commissione dell’Unione europea, e da questo ruolo e da questo scanno gestire il fenomeno con certamente maggiore efficacia e strumenti.
Quello della premier è un calcolo azzardato ed ambizioso, ma parte di quella strategia più generale che essa persegue, la quale si concretizza nella convinzione che solamente attraverso una consolidata influenza del suo partito nell’Unione europea è possibile rendere duraturo e stabile il controllo e la gestione dell’Italia, secondo i suoi obiettivi e i suoi desiderata, poiché oggi il potere vero, sia finanziario, che economico, che politico, risiede a Bruxelles piuttosto che a Roma. Prova ne sia che il governo italiano da lei diretto oggi pratica una politica economica di fatto predeterminata dal suo predecessore e da questi instradata su binari rigidamente controllati da Bruxelles.
Non potendo dire che Bruxelles controlla il governo e dirige il governo italiano la Meloni ha deciso di dare la scalata a Bruxelles.
Una opposizione inesistente
A fronte di questa capacità di iniziativa della destra la sinistra in Parlamento appare incapace di qualsiasi risposta anche perché, con supponenza, ha sottovalutato e continua a sottovalutare la capacità, sia tattica che strategica della destra. Ciò fa si che balbetti e – divisa com’è – cerca disperatamente di ripartire, trovando nella richiesta decisamente minimale del salario minimo, deciso per legge almeno un obiettivo unificante, quando dovrebbe avere in somma cura il problema dei bassi salari, del lavoro precario, dell’assenza di tutele e garanzie per il lavoro. E tutto questo mentre è in atto un attacco senza precedenti ai poveri e agli incapienti e aumentano le code presso le associazioni di solidariato sociale e di carità.
Viene da chiedersi se esiste un limite oltre il quale non è possibile andare, prima che la rabbia esploda incontenibile e questo anche se i sondaggi elettorali fotografo un paese rassegnato.
La Redazione