Le profonde trasformazioni sociali, intervenute nell’ultimo ventennio hanno
profondamente modificato la distribuzione delle popolazioni sui territori, incidendo sulla percezione che esse hanno del potere, del ruolo dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, della gestione degli interessi collettivi. Si tratta di un fenomeno di dimensioni globali che investe tutti i paesi, anche se in misura diversa, che, a nostro avviso, incide anche sul comportamento elettorale delle popolazioni, contribuendo ad allontanarle dal voto e dalla partecipazione.
Restringendo lo sguardo al nostro paese notiamo che la popolazione italiana è
così distribuita: il 34,3% vive nelle grandi città, il 41,2% in città e sobborghi e il 24,5%
degli italiani nelle aree di campagna. A questa distribuzione corrispondono comportamenti elettorali, livelli di partecipazione omogenea che si estendono agli abitanti delle periferie delle grandi città. Se, approfondendo l’analisi, spostiamo il nostro sguardo ai rapporti e alle differenze tra queste aree e, utilizzando alcuni indici significativi che utilizzano come parametri principali il reddito, gli stili e la qualità della vita, rileviamo prioritariamente che la somma tra gli ultimi due gruppi è maggioritaria e che i parametri di valutazione dei comportamenti sono tra questi due gruppi pressoché simili.
Identiche sono le difficoltà nel trovare lavoro, nella utilizzazione dei servizi, come asili nido e scuole, accesso alle cure, viabilità e trasporti, disponibilità di alloggi, possibilità di accesso alla cultura e alle attività culturali, a quell’insieme che consente un buon livello di qualità della vita e di trascorre il tempo libero. In particolare, allo stesso modo viene
vissuto il rapporto con l’immigrazione che si distribuisce in forme diverse tra i due insiemi. Mentre nella prima, quella delle città, vediamo vagare spesso migranti in transito, alla ricerca delle opportunità per trasferirsi in altri luoghi, nelle seconde due aree vediamo formarsi degli insediamenti che si estendono fino alle periferie delle città più grandi, erodendo spazi e contendendo il territorio alle comunità autoctone che, nella persistente carenza di servizi, si vedono conteso il poco che hanno. Maturano così le condizioni per atteggiamenti di tipo razzista, di rifiuto dei nuovi venuti e comportamenti di respingimento, di emarginazione che a livello elettorale si rivelano, in mancanza di ogni politica di integrazione, un sostegno a quelle forze politiche che svolgono un’attiva propaganda di respingimento, favorendo al tempo stesso con la trasformazione in clandestini dei migranti lo sviluppo di un mercato del lavoro nero, la formazione di un esercito industriale di riserva, che concorre ad abbassare i salari ed è funzionale ai padroni.
Questi diversi interessi e comportamenti generano una differente distribuzione del voto e dei consensi e danno corpo ad un crescente scontro sociale tra città e campagna, tra metropoli e periferie, che si manifesta in un diverso comportamento rispetto al voto. Così mentre le città scelgono di farsi rappresentare e gestire da quelle forze che accettano di misurarsi con il mutare della società e dei valori, l’altro blocco sociale guarda a destra, a quelle forze della conservazione che, offrendo “l’usato sicuro”, fanno riferimento ai valori e ai comportamenti percepiti come tradizionali che non sono altro che quelli abitudinari. Vengono affrontate in questo modo le inquietudini, la paura, il timore del cambiamento, l’incertezza derivante da un mondo che non si conosce, che fa paura e rispetto al quale non ci si sente di essere attrezzati per affrontarlo.
Questi comportamenti, è evidenziato da quanto sta avvenendo in molti paesi dove si vedono prevalere la paura del cambiamento, i timori per uno sviluppo tecnologico incontrollato, che si traducono in consenso elettorale per le destre.
La mancata risposta della sinistra riformista
L’angoscia che attraversa il mondo del lavoro,che semina incertezza e lascia pochi redditi e lavori sicuri, che trasforma il mondo della produzione e del lavoro, non è stata raccolta e capita dalla sinistra riformista in modo adeguato, tanto che la sola risposta che essa ha dato è stata quella di proporsi come il gestore buono di un capitalismo reso più umano. Questa scelta è la logica conseguenza del fatto che avendo scelto la realizzazione dell’utopia marxista come la sola capace di produrre un’alternativa al capitalismo e avendola vista fallire e dissolversi è intervenuta la resa. Una nuova e più attenta analisi dei fattori produttivi e delle trasformazioni indotte dal capitalismo non ha sostituito il progetto di società futura ormai palesemente inadeguato, con proposte credibili, realizzabili, organiche, efficaci, dotate di un’opportuna strategia per raggiungere l’obiettivo.
In altre parole, dopo il fallimento o meglio dopo la crisi l’economia di piano la componente marxista non ha avuto più niente da dire in economia e sulle modalità di costruzione della società futura e si è limitata a ritocchi e aggiustamenti per rendere compatibile e funzionale all’impianto capitalistico la struttura sociale e produttiva che aveva realizzato.
Nei paesi occidentali la sinistra ha sposato il cambiamento e l’innovazione, recependo acriticamente la modernità, lo sviluppo tecnologico, telematico, l’introduzione della robotica, lasciando dietro di sé le macerie della classe che diceva di rappresentare, aprendo le porte di una prateria nella quale la destra si è lanciata, proponendo il ripristino della tradizione, valori certi, la conservazione dell’esistente, l’immagine di un mondo conosciuto e sicuro nel quale muoversi, esigendo in cambio la rinuncia a un’eguaglianza promessa, ma mai realizzata, alla solidarietà, alla speranza di un domani migliore, offrendo come proposta politica il rifiuto del cambiamento e la conservazione dell’ordine esistente, quanto non quella di volere e saper costruirne uno mondo securitario e protettivo che trova conferme nel recupero della tradizione.
Da qui discende la promessa, del tutto illusoria, di una soluzione dei problemi, ma tant’ é.
Il fallimento della sinistra rivoluzionaria
La sinistra rivoluzionari non è stata da meno e incapace di leggere e interpretare i cambiamenti non ha saputo riformulare una propria teoria economica, facendola seguire la proposte realistiche percorribili di riorganizzazione della società e di perseguire e prospettare un nuovo modello di relazioni sociali e tra le classi capace di introdurre più uguaglianza, coniugata con la libertà, perciò ha visto progressivamente e inesorabilmente ridursi il proprio ruolo e la propria credibilità e perdere ogni possibilità di orientamento delle masse e di rappresentanza dei loro interessi, cosicché ha perduto i legami ispiratori nella propria azione, impoverendosi ulteriormente sia dal punto di vista teorico che di proposta politica, tattica e strategica. Oggi la sinistra rivoluzionaria è relegata ad un ruolo politico marginale, mentre spezzoni di essa, gruppi e gruppetti, cercano di rifondarla su base ideologica, non riuscendovi anche per carenza di analisi
della fase e, sul piano pratico. per essere lontani dal concreto operare nella società.
Occorrerebbe capire invece che per ripartire bisogna lavorare sul territorio, intervenire attuando il recupero della memoria dei territori, magari producendo leggeri mutamenti di comportamenti, ma offrendo comunque dei punti di riferimento a spezzoni di classe disorientati e alla ricerca della propria coscienza di classe. Tutto questo avviene, ma in
luoghi sparsi e separati, senza alcun coordinamento, anche perché manca l’organizzazione politica che questo coordinamento possa attuare, facendolo vivere e rendendolo utile al coordinamento delle lotte e dell’azione politica.
Pertanto, parafrasando uno slogan che fu della politica maoista, non possiamo che “Dire lasciamo che millefiori fioriscano, poi ne raccoglieremo i frutti.”
Nell’immediato, contro questo governo
Occorre prendere atto che in Italia una prima fase della strategia della destra si è realizzata con la piena occupazione dello Stato, le suoi centri di potere. Si tratta ora di impedire che questa sua occupazione si consolidi e non c’è miglior modo che dimostrare che essa è fonte di inefficienza, è contraria agli interessi di tutti. La cartina di tornasole da utilizzare è quella di misurarsi sull’attuazione del PNRR, sottolineando sia l’incapacità di realizzazione delle opere, gli errori nella selezione di quelle da eseguire, l’incapacità di utilizzare l’indebitamento del paese ai fini di permettere la soluzione dei principali problemi che esso ha, come quello di dotarsi di un’assistenza sanitaria efficiente e ugualitaria, attuare il risanamento del territorio e la messa in sicurezza di esso, una politica energetica capace di soddisfare i bisogni del paese, ma innanzitutto di rifiutare della guerra tanto più quando questa viene imposta senza un voto parlamentare e quindi far crescere l’opposizione ad ogni coinvolgimento nel proseguimento dello sforzo bellico a favore dell’Ucraina.
Questo ultimo problema deve essere assunto come prioritario insieme a tutte le persone di buona volontà, anche perché sulla sua soluzione si basa la possibilità di rifondare sia i partiti riformisti che le forze rivoluzionarie, le quali non possono prescindere dalla ricerca della pace e dal rifiuto della guerra in ogni modo, come strumenti di risoluzione delle controversie internazionali. La narrazione sulla scelta necessari e paese aggressore non regge a fronte della necessità di mettere un freno alla politica imperialista degli Stati Uniti che mira prioritariamente all’indebolimento dell’Europa.
È giunto il tempo di prendere atto che un nuovo ordine mondiale si è creato, di natura multipolare, che è sotto gli occhi di tutti: un mondo a placche, nel wuale va concludendosi l’epoca del predominio del dollaro sul mercato mondiale delle monete e come moneta di scambio e di commercio, per un mondo diverso e forse migliore, dove i paesi più deboli non vengono mortificati dall’azione imperialistica di uno di essi che impone a tutti gli altri l’ordine mondiale.
La Redazione