Il ritorno della razza

Nella strategia di formattazione dei valori messa in atto dal partito neofascista ricopre un ruolo assolutamente centrale il ripristino dell’idea di nazione. Riformulandolo il termine nazione diviene sinonimo di patria e viene descritto come “la società naturale che prescinde da qualunque convenzione, similmente alla famiglia”. Da questa affermazione che appartiene alla premier discende logicamente che farne parte ha come presupposto primario l’appartenenza di sangue, il legame genetico, in altre parole appartenervi è un fatto essenzialmente e primariamente biologico, prova ne sia che dalla premier e presidente del partito la nazione viene assimilata alla “famiglia come società naturale”. E ancora consegue che si consideri come famiglia esclusivamente quella biologica in modo che le due definizioni si tengano per mano come parte di un ”pacchetto” valoriale che sintetizza la narrazione messa a punto dalla destra al governo.
Che non si tratti di affermazioni occasionali e peregrine è testimoniato dal fatto che questi concetti sono stati più volte espressi dalla premier e da esponenti del suo partito e che si rifanno a loro volta alla nozione di stirpe (ovvero, di origine o discendenza familiare, in quanto connessa con la nobiltà e l’importanza del casato) o di lignaggio (ovvero, un gruppo di discendenza unilineare che fa riferimento a un noto antenato apicale che può essere matrilineare o patrilineare, a seconda che sia tracciato rispettivamente attraverso madri o padri). o, più semplicemente, riprendendo la definizione che Giorgio Almirante, segretario di redazione della rivista “La difesa della razza”, dava di nazione sulle sue colonne.

Spegnere la fiamma realizzando i valori che custodisce

Il ritorno a questi significati valoriali nelle intenzioni della destra deve fare da stella polare per trasformare il clima culturale del paese, facendolo involvere verso la riscoperta di valori riconducibili alla narrazione della storia e alla visione della vita elaborate durante il ventennio fascista che fu un regime di governo totalitario – come Mussolini stesso riconobbe – certamente reazionario, teso a ripristinare un insieme di valori da sempre condivisi e sostenuti dalle classi dominanti a sostegno di una società gerarchica e di classe che ha come obiettivo la diseguaglianza e che al conflitto tra
capitale e lavoro oppone il corporativismo come dottrina sociale ed economica. In altre parole, la narrazione che la destra fa oggi fa propria un’equazione: come il fascismo fu la risposta alla richiesta di innovazione e trasformazione sociale che caratterizzò il Biennio rosso 1919-1921 in Italia e il dopoguerra rivoluzionario negli anni ’20, oggi la riproposizione di quei valori è la risposta ai “guasti” introdotti nella cultura, nel costume e nei valori sociali dalle lotte iniziate nel 1968-69.
Questa scelta tende a rimuovere il clima culturale e politico che mise all’indice e emarginò nel sentire sociale e nei costumi, con la ricerca dell’uguaglianza, della libertà e della solidarietà il culto della forza, l’autoritarismo, la conservazione ottusa dei valori della tradizione, la repressione della libertà sessuale e affettiva, il culto della forza della
violenza e della guerra che erano stati i caratteri distintivi del fascismo.
La restaurazione auspicata e perseguita dalla destra può avvenire aggiornando, attualizzando e riproponendo con un nuovo linguaggio una struttura della società corporativa, classista, caratterizzata da forti elementi istituzionali di dirigismo, che delega a una democratura la gestione della politica e della società. Ecco perché si accompagnano a questa narrazione le riforme istituzionali che, disegnando nella sostanza un nuovo quadro istituzionale, pongono fine alla Repubblica nata dalla Resistenza e consentono la stipula di un nuovo patto costituzionale che vuole essere per la destra post-fascista il vero momento di pacificazione nazionale perché permetterebbe di cancellare quello che fu il frutto della sconfitta del fascismo.
Dall’analisi che la destra fa della situazione politica internazionale ricava la convinzione che esistono oggi le condizioni per realizzare questo progetto, prova ne sia la crescita in tutto il mondo e soprattutto in Europa dei partiti e movimenti di destra che si fanno portatori di identiche istanze, sia pure nei diversi contesti sociali, che danno vita a
democrature che trasformano le Repubbliche parlamentari di orientamento liberal costituzionale in regimi gestiti da autocrati, che raccolgono il mandato popolare a fronte di una inesistente proposta di governo e a una crisi di prospettive e di valori della “sinistra riformista”.
Il progetto ha portata e dimensioni mondiali e per ciò che riguarda l’U.E dovrebbe concretizzarsi con il successo elettorale dei conservatori e un’alleanza di questi con il centro in modo da rafforzare e ulteriormente rilanciare questo processo nei singoli paesi. A livello dei singoli Stati, l’ingresso paventato dell’Ucraina nell’U. E. dovrebbe andare a rafforzare la visione dell’Europa come l’insieme delle patrie, ovvero degli Stati, fortemente autonomi, ma legati da interessi comuni, che si ergono a custodi dei valori e a garanzia delle identità, per assicurare nell’unità di interessi la diversità contenuta all’interno di un paniere valoriale comune che si rifà ai tradizionali valori di Dio patria e famiglia sostenuti dalla tradizione.

La risposta riformista

È appena il caso di dire, ed è comunque del tutto evidente, che i partiti riformisti d’Europa non hanno capito qual è il progetto della destra, anzi nella loro arroganza, ritenendosi depositari del progresso e di una supposta superiorità culturale lo sottovalutano sistematicamente e tutto questo, in realtà, per nascondere il fatto che non hanno nessuna risposta da dare, nessuna proposta strategica da opporre. Osservano attoniti ed impotenti lo sviluppo degli eventi, si dibattono nelle spire di vuote elaborazioni tese ad interpretare gli sviluppi possibili del capitalismo, nell’illusione di
temperarne le disuguaglianze e la violenza finendo in realtà per perfezionarne gli strumenti di dominio, privi di una strategia propria e di una lettura della storia, di una narrativa convincente, che possa illuminare le masse e far capire ciò che si prepara.
Il fatto è che questi partiti hanno perduto la loro identità, stritolati dalla loro funzione di interpreti degli interessi del turbo capitalismo che essi hanno alimentato e favorito in tutti i modi possibili e immaginabili, a danno delle classi e dei ceti che dicevano di voler rappresentare. Ciò fa sì che anche quando essi adottano provvedimenti anche timidamente progressisti finiscono per perdere il consenso delle classi popolari delle quali non conoscono più bisogni ed interessi. In particolare, manca un’analisi complessiva della strategia di sviluppo del capitale e quindi, di conseguenza, un progetto politico di contrasto a queste tendenze.
C’è l’incapacità di leggere il nuovo assetto geostrategico del mondo e ciò fa in modo che le proposte politiche che questi partiti formulano sono del tutto inefficaci e privi di concretezza. Particolarmente carente si rivela la loro capacità di gestione dell’economia, sono incapaci di dare risposte convincenti all’innovazione tecnologica, al diffondersi della robotica, dell’informatica e della telematica e di conseguenza a capire come in che modo è mutato il mondo del lavoro, l’organizzazione e della produzione, la distribuzione delle merci. Questa incapacità di lettura delle trasformazioni del mondo si riflette in una drammatica assenza di proposte, mentre crescono la divisione fra ricchi e poveri, le diseguaglianze all’interno degli Stati e tra le classi e al di fuori di esse nel mondo, tra paesi ricchi e paesi poveri, paesi sfruttati i paesi sfruttatori.
In questo quadro drammatico un ruolo fondamentale è svolto dalla guerra non solo come evento di distruzione di beni per accumulare profitti e beneficiare della ricostruzione, investendo sulle miserie e sulla morte delle persone, ma anche per dirimere inevitabili conflitti fra le diverse aree di potere e di interessi economici che caratterizzano oggi un mondo che si va organizzando per placche e va assumendo una dimensione multipolare che si regge su equilibri instabili e problematici, sempre sull’orlo di un possibile conflitto nucleare, giudicato oggi come un evento possibile e accettabile.
In questa miseria della ragione e della politica occorre mettere mano ad una lettura del mondo e dei valori che possa garantire una reale e chiara autonomia di classe rispetto agli obiettivi del capitale sia economico e industriale che finanziario, come dei suoi servi sciocchi che gestiscono le istituzioni politiche e di governo avendo chiaro che non possono essere i rivoluzionari – ovvero coloro che ritengono necessario un totale ribaltamento dei rapporti economici e una radicale trasformazione dei rapporti politici sociali in senso egualitario – a costruire una strategia per chi si limita nella migliore delle ipotesi ad inseguire la chimera riformista.

La nostra risposta

È perciò necessaria una nostra risposta che parta anch’essa dalla definizione dei principi e dei concetti di base che devono muovere la nostra azione affinché gli uomini e le donne del pianeta vedano una prospettiva, si muovano e lottino per soddisfare i loro reali interessi e per un mondo migliore e una società più giusta e egualitaria che ponga al centro dei suoi obiettivi la felicità sulla terra, la realizzazione piena dei rapporti di uguaglianza economica, realizzi la libertà affettiva, coltivi l’arte e la bellezza come valori, si liberi da quel ciarpame di tradizioni che costituiscono un pesante fardello sulle spalle dell’umanità, a cominciare dal ricercare in un dio e in una vita trascendente la soluzione all’infelicità e alla diseguaglianza
Per noi le idee e i concetti di nazione e di patria che caratterizzano la lettura che della storia danno le classi dominanti sono inaccettabili poiché riteniamo che l’ambito territoriale, tradizionale e culturale, cui si riferiscono e si sviluppano le esperienze affettive, morali, politiche dell’individuo, costituiscono certamente l’essenza di un popolo, ma che questo insieme di persone, variegato e complesso può avere o non avere comunanza di origine, di lingua, di storia, di religione o professare l’ateismo, ma l’importante è che abbia coscienza di costituire un unico corpo, indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica, perché costituisce la nazione umana, in quanto “nostra patria è il mondo intero”, la “nostra legge è la libertà” e perciò “ovunque uno sfruttato si ribelli troverà un mondo di fratelli”; è perciò che rifiutando le contrapposizioni e le guerre tra i popoli noi che siamo internazionalisti e solidali, ci proponiamo come i
precursori della nazione umana.
Ne viene che il primo obiettivo della nostra azione è il rifiuto della guerra comunque motivata e la ricerca della pace costruendo relazioni di cooperazione e di coesistenza che vedano la nascita sul territorio di comunità autogestite e autogovernare che perseguono i valori che abbiamo richiamato.
La sfida politica parte dar rendere palese quanto sta avvenendo e quali sono i piani del nemico di classe e ciò al fine di contrastarli e sconfiggerli per procedere al tempo stesso alla messa a punto della strategia e delle tattiche necessarie per creare le condizioni per iniziare la costruzione della società che vogliamo. Per realizzarla non possiamo far
altro che mettere in campo il nostro ruolo di militanti nella lotta di classe lavorando in modo da costruire insieme a tutti, e con la partecipazione ed il confronto, l’alternativa per un mondo migliore.

G. L.