La destra ha riunito a Roma il 5 aprile gli stati generali della cultura per porre rimedio alla cosiddetta egemonia che la “sinistra” eserciterebbe in questo settore. L’affermazione di partenza relativa all’egemonia di una cultura definita “di sinistra” è così singolare da richiedere un chiarimento pregiudiziale ad ogni altra considerazione sull’evento.
Nella sua spasmodica coltivazione del vittimismo la destra italiana ama definirsi vittima dell’egemonia di una presunta “cultura di sinistra” che egemonizza o avrebbe egemonizzato la cultura italiana.
Si tratta – a nostro avviso – di un’affermazione del tutto gratuita perché, a ben guardare, la gran parte degli intellettuali di sinistra sono effettivamente di destra anche se non se ne rendono conto o amano ammantarsi della convinzione che i loro punti di vista appartengano alla sinistra. In realtà la gran parte degli intellettuali italiani hanno da tempo abbandonato il loro rapporto con la collocazione di classe e utilizzano riferimenti culturali e valoriali del tutto privi di riferimenti ideologici e di collocazioni rispetto agli schieramenti politici (con poche lodevoli eccezioni).
Piuttosto la loro appartenenza a gruppi o sodalizi è dettata da fini economici e commerciali, finalizzati a rivendicare ed ottenere ruoli retribuiti lautamente nella comunicazione, nella letteratura, nella narrativa, nell’arte e in tutte le cosiddette attività culturali. Se così non fosse non si spiegherebbe il deserto valoriale del quale la sinistra soffre in questa fase storica dello scontro di classe. Né maggiori riferimenti sono offerti dal mondo culturale per quanto riguarda le scienze sociali e giuridiche, perché anche qui prevale una navigazione di piccolo cabotaggio di soggetti alla ricerca di legittimazione ai fini di ottenere cattedre universitarie, incarichi per la redazione di articoli di fondo di giornali, per svolgere il ruolo di opinionisti che fanno scuola nella politica del paese e nei talk show televisivi.
Una verifica della effettiva collocazione degli intellettuali è possibile guardando i loro incarichi e alle tante o poche fortune che essi o esse raccolgono e per rendersi conto che se pure una cultura di sinistra esiste, essa è tutt’altro che egemone ma anzi è emarginata e marginalizzata.
Da queste considerazioni consegue che se effettivamente la destra vuole rinsaldare la propria compagine per diffondere influenza culturale nel paese non ha che da riconoscere e confermare gli attuali propagandisti della intellettualità sedicente di sinistra più accreditati, efficaci venditori di pioggia e di bel tempo, che caratterizzano la cultura italiana.
Risolto il primo punto pregiudiziale rimane quanto avvenuto nello svolgersi concreto dell’iniziativa, egemonizzata da loschi figuri, che hanno l’unico obiettivo, peraltro dichiarato, di scalare le commissioni di sottogoverno alle quali è demandato il compito di distribuire i finanziamenti della cultura, partendo dalla empirica considerazione che vi è possibilità di produrre cultura a condizione di disporre di risorse e che quindi la disponibilità di risorse da possibilità di attingere alle “intelligenze” che caratterizzano il mondo culturale. In altre parole, disponendo di risorse si può andare a fare shopping nel mercato culturale, reclutando intellettuali alla bisogna o finanziando sé stessi, che è cosa sana e giusta.
Ma il discorso doveva essere condito di riferimenti culturali e allora sembra che i convegnisti abbiano rispolverato il solito Prezzolini (comunque da aggiornare) e, perché no, Antonio Gramsci. Questo fatto ha suscitato la sorpresa e lo sconcerto di alcuni osservatori e la preoccupazione dei cosiddetti intellettuali organici o sedicenti tali della sinistra che si sono visti scippati dei riferimenti al nume tutelare della cultura della sinistra italiana, mito del resto alimentata da una pubblicistica di provenienza statunitense che ha valorizzato oltremodo la portata e il significato dei Quaderni dal carcere, monumento culturale della sinistra riformista italiana che ha avuto il merito di epurare le componenti di sinistra del partito italiano ed ha consentito a Togliatti la costruzione de cosiddetto “partito nuovo”.
Tuttavia, a ben guardare, il riferimento per la destra a Gramsci come padre nobile non è sbagliato perché proprio a Gramsci che si deve deve la caratteristica della sinistra italiana di tendere all’interclassismo. Basti un riferimento agli scritti di Gramsci su “Ordine nuovo” a proposito delle alleanze fra operai e contadini. Ebbene Gramsci scrivendo di movimento cattolico diceva testualmente che mentre il partito del quale egli si faceva promotore, era e doveva essere egemone bel movimento operaio erano i cattolici e il movimento da essi costituito ha dirigere politicamente i contadini e poiché la
rivoluzione non avrebbe potuto che realizzarsi attraverso l’alleanza tra gli operai e i contadini conveniva considerare che l’Osservatore romano non è un bollettino parrocchiale, bensì “un giornale che orienta milioni e milioni di uomini e donne e che quindi i comunisti (sic!) avrebbero dovuto guardare con attenzione prioritaria al movimento cattolico come un alleato necessario e anzi da ricercare.
Si comprende allora l’affezione della funzionalità dell’interclassismo gramsciano ad una visione culturale funzionale alla visione sociale della destra e non estranea all’iniziativa degli Stati generali della cultura della destra.