NEOCORPORATIVISMO

Silenziosamente, ma con pervicacia e costanza, il governo Meloni mette in atto il suo progetto politico di costruzione di una società neo corporativa di tipo “moderno”. Si tratta di un corporativismo costruito non più sulle professioni e i mestieri che, esprimendo la rappresentanza nella Camera delle Corporazioni, gestiscono Stato e dinamiche sociali ma di un corporativismo censitario costruito sull’imposizione fiscale
privilegiata. Nella nuova Italia che si prepara i conflitti tra capitale e lavoro non verranno superati mediante l’intervento autoritario dello Stato e la costituzione di corporazioni a base economica e di mestiere, sul modello di quelle medievali, ma i cittadini verranno accorpati in modo da costituire un insieme di categorie censitarie che lo Stato, gestore del prelievo fiscale, individua come titolari di situazioni di privilegio che, in deroga al principio di uguaglianza e di progressività del prelievo fiscale, godono di un trattamento fiscale di favore che consente loro di godere dei servizi sociali destinati a tutti contribuendo alla ricchezza comune con un contributo minore, esercitando un potere politico espresso mediante l’appartenenza di ceto. È questo il senso e il significato politico della riforma del fisco che si prepara come frutto della delega fiscale esercitata dal Governo.
Accadrà così che un lavoratore autonomo e un lavoratore dipendente, a partita di
reddito prodotto, avranno regimi fiscali diversi: meno tasse per il lavoratore autonomo,
maggiori per il lavoratore dipendente. Le aliquote verranno ridotte avvantaggiando i
redditi più alti in ossequio che è meglio tassare i poveri che sono tanti e non i ricchi che
sono pochi, quando in realtà sono tanti. Basta guardarsi intorno e guardare ai titolari di
patrimoni, ai possessori di barche all’ancora dei porti turistici intestati a società di comodo, alle auto possedute ed esibita per le strade o davanti ai locali alla moda e raffrontarli con le rispettive dichiarazioni dei redditi.

Meno tasse per tutti

Ma cosa vuol dire “meno tasse per Tutti” (più correttamente meno tasse per i più ricchi) e non meno risorse pubbliche disponibili e quindi meno servizi per tutti, meno sanità, meno scuola, meno formazione, meno trasporti, meno servizi: questa scelta impoverisce la società nel suo complesso, impoverisce tutti. Attenti a gioire della soppressione del reddito di cittadinanza perché+ la presenza di una fascia di poveri strutturali è un potente polo di attrazione che risucchia nell’indigenza e nella disperazione i più poveri che sono prime di tutto quelli che pur lavorando hanno un reddito insufficiente a soddisfare le esigenze di una vita minimamente dignitosa. Costoro sono prima degli altri i titolari di lavori precari e temporanei, la grande maggioranza dei giovani, i lavoratori anziani vittime di crisi aziendali, risucchiati dalla
precarietà, tutti chiamati ad affrontare una tassa sui poveri, l’inflazione, che naviga intorno al 10%.
Per conseguire questo risultato il Governo brandisce l’arma della flat tax che significa tassa piatta, ovvero una tassazione senza progressività, con il risultato che dietro un’uguaglianza formale di trattamento chi ha di più o guadagna di più paga meno. L’idea di fondo di questa impostazione è che ognuno deve pensare a se e che il ruolo dello stato e dei poteri pubblici deve ridursi il più possibile. Così se vuoi la sanità te la paghi e altrettanto fai con la scuola, i trasporti, i servizi, tutto. Una società egoista dove i ceti e le classi più forti vedono garantita e assicurata le loro posizioni di privilegio.
Inoltre nelle intenzioni del Governo, a rafforzare e sostenere il processo di redistribuzione del reddito e della ricchezza, dovrà contribuire l’attuazione dell’autonomia differenziata che avrà la funzione di concentrare verso alcune Regioni la ricchezza e i redditi del paese. In tal modo si creerà la base di consenso necessaria stabilire una gerarchia sociale e di reddito che ristrutturerà profondamente la società, contribuendo a mutare il sentire sociale.
Questo ambizioso progetto di ridisegnare la società si accompagna a quello di rimozione di comportamenti e visioni etiche come la lotta contro la cosiddetta teoria gender, una revisione dei costumi, il ripristino dei valori della cosiddetta famiglia tradizionale, cercando in tal modo il consenso delle fasce più retrive del paese, avendo come modelli l’Ungheria di Orban o la cattolicissima Polonia delle zone free-gay, nella convinzione che il mutamento delle condizioni economiche e strutturali possono incidere al punto da condizionare e determinare i costumi.

Per una società aperta e solidale

Il progetto economico, sociale e istituzionale della destra necessità di una risposta forte e decisa, di una strategia articolata che ribalti questo disegno seguendo un percorso e con azioni chiare e condivise. In mancanza di una maggioranza alternativa in Parlamento la sola strada percorribile è quella della mobilitazione e della lotta sociali iniziando con l’opporsi al progetto di attuazione dell’autonomia differenziata attraverso la costruzione di un rifiuto del progetto a partire dai territori che agisca sul piano della mobilitazione dei cittadini, dei residenti e che coinvolga anche le istituzioni locali a prescindere dalle maggioranze politiche che ne detengono la gestione. Le stesse élite politiche delle regioni delle Regioni meridionali, svantaggiate e colpite dalla progettata redistribuzione delle risorse conseguente all’attuazione dell’autonomia differenziata nella consapevolezza che esse possono trovare conveniente schierarsi contro il progetto senza lasciarsi catturare da piani devastanti e faraonici come quello del ponte sullo stretto che costituirebbe una cattedrale nel deserto alla luce dello stato disastroso della rete viaria e ferroviaria di Calabria e Sicilia con la quale il ponte andrà ad
impattare.
Al tempo stesso l’opposizione deve aprire un fronte di lotta per tutto ciò che riguarda il diritto al lavoro, contro il lavoro precario, perché venga stabilito un salario minimo e facendo ripartire le vertenze e le lotte per il rinnovo dei contratti di lavoro, rivendicando l’aumento dei salari, decisamente troppo bassi.
Va costruita una piattaforma di lotta contro il lavoro clandestino e sotto pagato perché solo attraverso questa via è possibile lottare contro l’emigrazione clandestina che lo alimenta. Occorre avere chiaro che lo sfruttamento del lavoro nero è reso possibile attraverso le leggi sull’emigrazione e la Bossi Fini che immettendo e lasciando nell’irregolarità strutturale i migranti creano e alimentano in modo costante un mercato parallelo del lavoro, sotto pagato e in nero che deprime i salari e fa concorrenza sleale agli altri lavoratori. Solo spezzando questa spirale perversa e creando una grande
alleanza di tutti i lavoratori regolari e irregolari è possibile ribaltare i rapporti di forza e creare nella società i germi di un mutamento della situazione politica.
Nello stesso tempo va sviluppata e sostenuta la lotta per la casa come diritto primario di tutti a poter disporre di un bene essenziale a condurre una vita dignitosa; va combattuta la battaglia per il potenziamento dell’assistenza sanitaria sul territorio e per maggiori risorse al servizio sanitario pubblico, ponendo fine al commercio di malati tra Regioni ricche e povere, a tutto vantaggio della sanità gestita dai privati che erodono in tal modo le già scarse risorse pubbliche.
In questa direzione possono essere di aiuto i mutamenti di linea politica che si intravedono almeno in alcuni partiti riformisti, ma questo deve poter avvenire senza delegare nulla, confidando nel ruolo carismatico di leader giovani e meno giovani, donne o uomini che siano. Sono i fatti e i comportamenti concreti a fare la differenza e a mostrare gli intenti reali delle forze politiche che si propongono per la gestione del paese, ma ancor più l’impegno di tutti in prima persona a l’azione diretta.

Verso un nuovo ciclo di lotte

La crisi del processo di globalizzazione indotto dalla guerra ucraina e il processo di passaggio da un mondo bipolare ad un mondo multipolare impongono a tutte la forze politiche una attenta riflessione e una riconsiderazione della loro strategia e persino della loro visione di società. Non vi è più spazio per i nazionalismi e per i sovranismi e la dimensione delle aree di gestione economica e politica delle società travalica la dimensione della nazione e si sposta verso quella di macro aree che gravitano intorno ad interessi convergenti. Resta da stabilire se tra queste diverse aree si stabiliscono relazioni conflittuali o di convivenza pacifica, anche se competitiva.
La scelta sembra essere obbligata perché, mentre lo scenario delle relazioni conflittuali si muove nella direzione del conflitto nucleare e quindi del reciproco annientamento, solo il secondo scenario garantisce sulla sopravvivenza del genere umano. Ma perché questo nuovo equilibrio possa funzionare è necessario che anche all’interno delle diverse aree prevalga la gestione condivisa della società su quella conflittuale.
In questa prospettiva e tenendo conto di questo quadro di riferimento è necessario che operino le forze rivoluzionarie, ma anche le forze politiche della sinistra riformista e che queste si muovano nella prospettiva e si aprano a comportamenti diversi, predisponendosi a svolgere un ruolo positivo e costruttivo, cosa che può avvenire solo
abbandonando e rinnegando la deriva ordoliberista imboccata negli anni ’80 del secolo scorso per condividere una strategia di profonda ristrutturazione dei rapporti sociali e produttivi, caratterizzata dalla redistribuzione egualitaria della ricchezza, delle risorse e del benessere, non solo all’interno di alcune aree del pianeta, ma su tutto il globo.
In questa direzione sembrano andare le lotte sociali in corso ed è compito di chi guida oggi le forze di sinistra anche riformiste, mettere in atto comportamenti, strategie, proporre vertenze che, operando contemporaneamente sulle due sponde, quella dei diritti economici e sociali e quella dei diritti civili e delle libertà,rendano possibile una sempre maggiore partecipazione di tutti alle scelte e alla gestione della società.
Solo per questa via è possibile evitare che la società e l’intero pianeta precipitino nella regressione sociale, soccombano al progressivo ridursi delle possibilità di vita dignitosa, sfuggano alle guerre e alla distruzione reciproca, alimentata dall’odio e dal desiderio di potere, dalla ricerca della ricchezza e dall’egoismo.

La Redazione