AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA SANITÀ

La nostra netta opposizione all’attuazione dell’autonomia differenziata ci iscrive fra i difensori dell’unità nazionale e dello Stato unitario, ma la nostra opposizione al progetto è mossa dalla convinzione che con la riforma dell’autonomia regionale proposta si violi il principio di uguaglianza, accentuando le differenze sociali e lo sfruttamento delle classi subalterne; ci è estranea la preoccupazione per la messa in discussione dell’unità dello Stato e della nazione. Quello che viene messo in discussione attraverso questo intervento sulla struttura delle istituzioni e l’accesso alle risorse fiscali è l’eguale diritto delle persone che vivono sui territori gestiti dallo Stato italiano di godere di eguali possibilità di soddisfare i loro bisogni e di accedere al godimento di servizi come quelli della salute, dell’istruzione della casa, al godimento dei diritti civili e ad eguali condizioni di benessere.
Come comunisti anarchici abbiamo in massima cura consentire migliori condizioni possibili di uguaglianza, e quindi di libertà, a tutti cittadini e residenti sul territorio gestito da ogni Stato in attesa di una possibile trasformazione rivoluzionaria e abolisca le patrie e i confini: questo è il nostro riformismo. Da qui la necessità di opporsi con forza, impegno e decisione ad ogni azione degli avversari di classe volte a peggiorare l’attuale situazione di sfruttamento.
Questo obiettivo può essere perseguito solo approfondendo nel merito delle diverse materie oggetto del trasferimento di competenze l’analisi delle conseguenze dell’autonomia differenziata delle Regioni italiane oggetto della proposta governativa e delle modalità con le quali si propone di attuarla.

L’attacco alla salute

Del testo del ddl approvato nel Consiglio dei ministri abbiamo dato conto nella precedente newsletter, tratteggiandone l’iter di applicazione nelle sue diverse tappe e a quell’articolo rimandiamo.[1] Nell’analizzare gli effetti che dal ddl sull’autonomia differenziata scaturiscono partiremo dalla sanità perché è questa la voce di spesa maggiore delle Regioni che utilizza e gestisce la massa dei finanziamenti trasferiti oggi dallo Stato. La sanità inoltre è uno dei settori chiave, insieme a quello pensionistico in una fase in cui una quota sempre maggiore di popolazione ha bisogno di accedere al servizio perché in età avanzata,a causa della crescente incidenza delle malattie professionali da lavori usuranti e dannosi, per soddisfare il bisogno di assistenza nella fase di diagnosi prenatale e di parto, soprattutto a livello diffuso sul territorio.
In materia le maggiori competenze richieste dalla Lombardia dal Veneto e dall’Emilia Romagna sganciano definitivamente dalle altre Regioni quelle che sono oggi al vertice della fornitura di prestazioni sanitarie non solo per qualità e quantità, ma che forniscono dietro rimborso delle prestazioni servizi sanitari ad altre Regioni, amplificando le diseguaglianze di un SSN, oggi universalistico ed equo solo teoricamente, ma che di fatto fornisce prestazioni diseguali e squilibrate per quantità, qualità e costi. È pur vero che i princìpi fondanti del SSN si sono già dissolti da tempo, anche senza alcun ricorso all’autonomia differenziata; è stato sufficiente rendere operativa la competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute perché disuguaglianze storiche e strutturali si approfondissero.
Il regionalismo differenziato completa l’opera, legittimando normativamente in modo e misura irreversibile il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute, contravvenendo agli obiettivi del PNRR, che – non dimentichiamolo – è un’operazione di prestito di tutti i cittadini che
dovrebbe assicurare un futuro più equo, riducendo le diseguaglianze regionali e territoriali.
L’attuazione dell’autonomia differenziata in materia sanitaria trasforma definitivamente le regioni del Sud in clienti delle tre Regioni che hanno richiesto l’autonomia. Mentre nelle prime si concentrano i disservizi e le carenze – basti considerare che le Regioni del Centro-Sud (eccetto la Basilicata) sono e rimangono da 12-16 anni in Piano di rientro della gestione finanziaria e che Calabria e Molise sono ancora commissariate – già da tempo il flusso di malati dalle altre Regioni si dirige verso di esse, facendo del settore un’occasione di impresa e di profitto. In queste tre Regioni si concentrano gli investimenti in strutture, formazione del personale, assunzioni, grandi ospedali, con la possibilità di governare il mercato del lavoro con maggiori risorse per attrarre personale medico e infermieristico. In esse opera la sanità privata che utilizza il doppio lavoro di medici e personale infermieristico.
In questo contesto lo spostamento del bilancio regionale verso i rapporti in convenzione con la sanità privata attraverso la maggiore autonomia regionale concorre efficacemente a smantellare il sistema sanitario pubblico, contribuendo ad aumentare il costo sociale della salute.
Né l’intervento sui LEA le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di compartecipazione (ticket), – che dovrebbe essere contestuale all’attuazione dell’autonomia differenziata, ma non lo è – può contribuire a correggere il sistema ipotizzato. Le valutazioni dei 34 indicatori ripartiti tra attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera dimostrano, previa analisi dei 10 monitoraggi annuali del Ministero della Salute dal 2010 al 2019 in adempimento cumulativo 2010-2019 come percentuale di punti ottenuti sul massimo ottenibile (2.250 in 10 anni) che le tre Regioni
richiedenti l’autonomia differenziata sono al vertice delle prestazioni e che il divario con le altre Regioni non potrà che crescere.[2]
Ne consegue che il regionalismo differenziato in sanità aumenterà le diseguaglianze, perché renderà le Regioni del Centro-Sud – che avranno sempre meno risorse per riqualificare i loro servizi – “clienti” dei servizi prodotti dalle Regioni del Nord.

Necessità di riforme e equità delle prestazioni

La dimostrata iniquità della riforma proposta non significa che il sistema attualmente vigente sia privo di difetti storture e necessità di modifiche. se è vero che in molte Regioni ci sono problemi di governance e di risanamento dei bilanci è anche vero che manca un piano sanitario credibile, che l”assistenza sul territorio è inesistente , che quella domiciliare lo è altrettanto se non di più, che la rete dei medici di base andrebbe rinforzata, per non parlare delle gravi carenze nell’utilizzo delle strutture, realizzate ed abbandonate per compiacere il bisogno di fare affari della sanità privata.
C’è poi da dire che sul piano politico generale è sbagliato utilizzare il regionalismo differenziato come merce di scambio per conciliare gli obiettivi di Fratelli d’Italia con quelli di una forza politica miope, eversiva e fuori dal tempo, come la Lega, rimasta partito dei territori del nord, offrendole come scalpo sacrificale quello della salute di tutti. Se non altro perché siamo di fronte tardiva “valorizzazione “ di macroregioni, poste fuori dal centro dello sviluppo dell’economia dell’Europa, come dimostra il calo di investimenti della Regione Lombardia negli ultimi 10 anni. Occorrerebbe che la classe politica nel suo insieme si rendesse conto che ciò che sta avvenendo sul piano economico ha sganciato Lombardia e Veneto dalla Baviera e dal nucleo economico dell’Europa centrale orientandone la produzione verso altri mercati.
Volerne sostenere l’economia mediante l’investimento a spese dei cittadini di tutto lo Stato , rastrellando le risorse necessarie per rilanciare l’economia di questi territori facendone degli hub di servizi sanitari per tutto il paese, costituisce un investimento regressivo, destinato a fallire per il progressivo impoverimento dei clienti (i cittadini delle altre Regioni) che saranno sempre meno in grado di pagare le prestazioni, perché impoveriti. Se a ciò si aggiunge lo spostamento di risorse sempre maggiori verso la sanità privata sovvenzionata è del tutto evidente che i profitti si concentreranno su una sanità elitaria, su prestazioni diseguali, sulla crescita della spesa di ognuno per cure mediche direttamente e al di fuori del circuito pubblico, con conseguente crescita delle disuguaglianze.
Del resto, il meccanismo è ben evidenziato dall’analisi del funzionamento del sistema sanitario in Calabria e dalle ragioni della sua crisi già oggi, come abbiamo a suo tempo rilevato e documentato.[3]
Bisogna invece intervenire per colmare il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese, modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale, ovvero la distribuzione delle risorse, aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, affinché le prestazioni siano uniformi. I princìpi ispiratori del federalismo, volti alla piena applicazione del principio di sussidiarietà e a migliorare l’efficienza amministrativa, devono, innanzi tutto, salvaguardare la capacità di redistribuzione del reddito per consentire a tutte le persone l’esercizio dei diritti costituzionali fondamentali, in particolare il diritto alla tutela della salute evitando che la sanità divenga un bene pubblico per i residenti in una Regione del Nord e un bene di consumo per le altre regioni se i loro cittadini hanno bisogno di accedervi.
Per raggiungere questo obiettivo la sanità non può che essere pubblica, supportata da un sistema fiscale progressivo che redistribuisca la ricchezza in maggior benessere sociale, in tutti i campi a cominciare dal servizio sanitario. Le prestazioni sanitarie di qualità ed efficienti devono far parte dell’attività redistributiva di ricchezza da parte dello Stato, evitando che la soluzione dei problemi connessi alla tutela della salute entri a far parte della sfera di spesa dei singoli in rapporto alle capacità di reddito.
La pandemia ancora in corso ha dimostrato a tutti l’importanza dei presidi sanitari territoriali, la presenza di strutture sanitarie disseminate sul territorio e non solo di grandi ospedali, la necessità di programmare reclutamento e formazione del personale sanitario di ogni tipo e qualifica (dai medici ai paramedici) per soddisfare le crescenti necessità di una popolazione sempre più anziana, contrastare la malattia e il dolore, e incrementare le possibilità di crescita demografica, offrendo migliori servizi e benessere a tutti e in misura paritaria.
Ma se l’obiettivo è questo l’autonomia differenziata è quanto di più sbagliato per raggiungere lo scopo poiché costituisce la negazione di una società solidale tanto più necessaria oggi che cresce a dismisura il numero degli incapienti e che gli appartenenti a famiglie al di sotto della soglia di povertà si avvicinano ai 6 milioni. E non dimentichiamo che in situazioni di povertà uno dei primi bisogni a risentire è la tutela della salute, come dimostra il calo nettissimo, di controlli e analisi mediche, di diagnosi preventivi quando non la rinuncia alle cure.

[1] Dimmi dove vivi e ti dirò che diritti avrai, Pubblicato il 1 Febbraio 2023 da Ucadi in Numero 167 – Gennaio 2023, Newsletter, Anno 2023.
[2] Vedi: Report Osservatorio GIMBE n. 1/2023, pp. 10-11
[3] Sul fallimento del servizio sanitario della Calabria, Pubblicato il 16 Novembre 2020 da UCADI in Newsletter, Anno 2020, Numero 139 – Novembre 2020.

La Redazione