AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA SCUOLA

Nell’applicazione dell’autonomia differenziata l’attribuzione alle Regioni della competenza in materia scolastica riveste un’importanza strategica e tattica. Passerebbero alle dipendenze della Regione, quindi da dipendenti dello Stato diventerebbero dipendenti di ogni singola Regione di appartenenza i docenti, i dirigenti scolastici, ma anche tutto il personale Ata. Verrebbe costruito un organico regionale del personale scolastico, banditi concorsi regionali per provvedere al reclutamento, regionalizzata da subito la Dirigenza scolastica; contratti di lavoro ad ambito regionale
regolerebbero il rapporto di lavoro, sia per quanto riguarda diritti e doveri degli insegnanti che il trattamento retributivo, con la possibilità delle diverse Regioni di differenziare gli stipendi su base territoriale. La mobilità verrebbe sottratta alla negoziazione sindacale. Tutto ciò si evince dal contenuto delle intese stipulate dal governo Gentiloni con le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto che avevano già formulato le loro richieste sulla scuola.
È quindi possibile prevedere gli effetti di quando sta avvenendo, tenendo conto che si calcola uno spostamento di risorse per la scuola da Sud a Nord del paese di circa un miliardo e mezzo di euro. Con l’istruzione regionale sarebbe negato l’esercizio del diritto allo studio in maniera uguale su tutto il territorio nazionale e si realizzerebbe un doppio
regime fra quello nazionale e quello regionale. Le scuole si differenzierebbero sempre più radicalmente, il divario Sud-Nord non potrebbe che aumentare, la diffusione uniforme di scuole dell’infanzia e tempo pieno sarebbe definitivamente negata, il valore legale del titolo di studio sarebbe compromesso. Ma quello che è forse ancora più grave è che e le Regioni potrebbero decidere autonomamente su programmi, strumenti e risorse.
Non si tratta a riguardo di disporre l’insegnamento del dialetto o una maggiore attenzione per la storia locale ma di dettare i contenuti dei programmi incidendo più di oggi sulla scelta dei liberi di testo, l’impostazione della didattica la declinazione del contenuto dei programmi, ponendo le basi di una differenziazione sempre maggiore del paese. Da non trascurare la possibilità di decidere della composizione delle classi. In passato i tentativi in tal senso contenuti nelle leggi regionali sono stati stoppati dall’intervento della Corte Costituzionale che tuttavia alla luce dell’intervenuta riforma
potrebbe avere maggiori difficoltà ad intervenire. E questo senza contare che un’autonomia si fatta andrebbe contro il disposto dell’art. 33 della Costituzione che attribuisce ala Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione.

L’autonomia differenziata per la scuola come arma strategica

La scuola, nei suoi ordini e gradi impiega circa un milione di addetti e vede coinvolti un numero di lavoratori/elettori molto rilevante. Spezzare, frammentare, distruggere l’unità contrattuale di questo comparto attraverso interventi normativi e salariali significa imprimere una direzione molto precisa alla modifica del mercato del lavoro, alla dinamica salariale, all’esercizio dei diritti sindacali ponendo fine al contratto nazionale di lavoro, aprendo la strada alle gabbie salariali, con la motivazione che il diverso costo della vita tra i territori del paese giustificherebbe questa scelta che non tiene conto del fatto che nelle Regioni del meridione nelle quali il valore reale del salario è più alto altri costi come i servizi, dai trasporti alla salute, sono più cari, a causa della carenza e più spesso dell’assenza che vi è nell’accesso a questi servizi, il che fa si che questa scelta si rivelerebbe uno strumento ulteriore di allargamento delle diseguaglianze sociali e
di classe. Regionalizzare le retribuzioni di una categoria di lavoratrici e lavoratori così numerosa avrebbe anche un valore strategico nell’aprire la strada alla differenziazione di tutti i salari, ristrutturando in un’ottica regressiva i rapporti sociali di tutti., attraverso l’estensione dello stesso criterio a tutto il mondo del lavoro. Ma c’è di più, e questo aspetto riguarda le modalità con le quali si pensa di gestire la differenziazione salariale: il ricorso ad incentivi e risorse che provengono dai privati che operano sul territorio. Il loro apporto sarebbe di entità certamente diversa, cosa che avviene in parte già oggi a
causa della sciagurata attuazione dell’autonomia scolastica ad opera soprattutto della “mala scuola” voluta da Renzi, creando ulteriori differenze di opportunità. Con la differenza che nel nuovo contesto normativo creato dall’autonomia differenziata sarebbe possibile risarcire i finanziamenti ricevuti con modifiche nei piani di studio o anche aumentando nei programmi l’incidenza delle ore dedicate all’attività di scuola/lavoro, che tante vittime e tanto sfruttamento produce ed ha prodotto, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, ma non solo. Diminuirebbe quindi il peso della formazione, rendendo una farsa sempre più evidente il pomposo nome attribuito al Ministero che governa la scuola che associa questa attività al merito.

Scuola e territorio

Ma la scuola, come sistema unico di formazione, ha anche una funzione di coesione sociale, soprattutto in quei territori nei quali il disagio sociale è maggiore. Essa offre ai giovani uno spazio di formazione unitario che, sottraendoli alla dominanza assoluta e totalizzante delle famiglie, quando non al loro disinteresse e addirittura all’abbandono, li induce ad elaborare in un ambito protetto valori e comportamenti che fanno di loro degli attori sociali, dei cittadini titolari di diritti e di doveri di solidarietà, ad accettare regole di convivenza che consentano la crescita della consapevolezza di se e degli altri, dei valori della convivenza nella diversità.
In altre parole, l’autonomia differenziata aumenterebbe una differenziazione ingiusta nell’accesso alle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale che esiste già, non solo tra Regioni, ma anche all’interno delle stesse Regioni e città: nidi, scuole per l‘infanzia, tempo pieno nella scuola dell’obbligo, disponibilità di palestre e laboratori,
effettiva disponibilità di scelta tra più indirizzi di scuola secondaria di secondo grado, che differiscono infatti a seconda di dove si vive e cresce. E spesso queste differenze si sovrappongono alle diseguaglianze sociali e di contesto, invece di compensarle. Prova ne sia che a fronte di una dispersione scolastica nazionale media del 12,7%, ad esempio la Sicilia raggiunge il 21,1% e la Puglia il 17,6%, mentre in Lombardia la dispersione è all’11,3%, vicino all’obiettivo europeo del 9% entro il 2030.
Uno degli effetti di questa strategia che produce un indubbio impoverimento in qualità e quantità di servizi offerti dal sistema scolastico pubblico è il rafforzamento del ruolo e della funzione sociale della scuola privata, e segnatamente quella del maggiore operatore privato del settore che è costituito dalle scuole confessionali, mondo dal quale l’attuale ministro dell’Istruzione proviene, essendo docente dell’università Europea di Roma appartenente alla Congregazione della Sacra Croce.
Guardando a quello che sta avvenendo per quanto riguarda la scuola l’attuazione dell’autonomia differenziata rappresenterebbe il punto di arrivo di quel processo di smantellamento della scuola pubblica che ha avuto i suoi campioni con le legge Berlinguer sull’autonomia scolastica che ha dato vita al sistema pubblico-privato integrato, accentuato ed aggravato dalla riforma voluta da Renzi, sedicente della ”buona scuola”, provvedimenti che oltre che costituire un grave attacco al sistema scolastico pubblico hanno contribuito a far fallire il progetto politico del PD che queste scelte ha fortemente voluto, scardinando, attaccando e distruggendo la sua base elettorale, costituita dai lavoratori della scuola.
È forse per questo motivo che Bonaccini, nel momento in cui si appresta ad esercitare la sua OPA sulla segreteria del Partito, sembra aver deciso, sia pure tra mille ambiguità, di rinunciare per la Regione che amministra a rivendicare le competenze sulla scuola. Non vogliamo pensare che a motivare la sua scelta attuale sia la crisi politica del suo
collaboratore assessore Bianchi, poi ministro del Conte 2, noto alle cronache almeno regionali, per aver motivato la richiesta regionale di competenze sulla scuola, portando ad esempio gli interessi dei Comuni della costa adriatica a disporre di un istituto tecnico di formazione per salvaguardare il mestiere tradizionale di raccoglitori di padelle
(molluschi) un tempo molto diffuso in riviera!

Le necessità reali di riforma

Eppure, la scuola avrebbe bisogno di un piano di interventi serio ed articolato per i diversi gradi. Il paese soffre della assenza cronica di asili e gli investimenti del PNRR non soddisfano assolutamente il fabbisogno anche a causa dell’incapacità dei Comuni e delle Regioni di redigere i progetti e presentare le richieste di finanziamento oppure motivate dall’incertezza sulla disponibilità di risorse per gestire poi le strutture realizzate. L’edilizia scolastica in generale necessiterebbe di investimenti in fabbricati, strutture, laboratori, informatizzazione, potenziamento della rete bibliotecaria.
Un serio intervento andrebbe messo in campo per la formazione e l’aggiornamento del personale i cui salari, a parità di mansioni e in assoluto, sono i più bassi d’Europa. Andrebbero previsti concorsi periodici e programmati per l’assunzione in ruolo degli insegnanti, dando certezza sui tempi di espletamento e la rapidità per l’assunzione e l’immissione in ruolo in modo da evitare la carenza di organico che puntualmente riemerge ad ogni inizio dell’anno scolastico. Andrebbero definite con equità le procedure di mobilità e di trasferimento. Andrebbe curato l’aggiornamento del personale consentendo periodici permessi per la formazione. Il restingimento dei ruoli a livello regionale annulla la mobilità e la restringe drasticamente.
Da alcune parti si sostiene che tutto questo meglio si realizzerebbe con l’autonomia differenziata senza fare chiarezza sul fatto che una formazione differenziata e la formazione di 20 sistemi scolastici differenziati costituirebbe un danno anche economico, restringendo il mercato del lavoro e immettendo una rigidità disfunzionale nel rapporto tra datori di lavoro e lavoratori nel ricorso alle competenze e professionalità occorrenti.
L’immagine che esce da questo progetto è quello di un definitivo arretramento del paese, della sua corporativizzazione che avrà il solo effetto di incrementare la fuga dei giovani. Ammonta a circa 500 mila giovani all’anno il numero di coloro che oggi emigrano verso altri paesi e territori, alimentando i crescenti vuoti di forza lavoro
sul territorio.
È per questi motivi che occorre far crescere consapevolezza di quanto sta avvenendo e un movimento di lotta che abbia come obiettivo specifico l’opposizione all’autonomia differenziata, sia per quanto riguarda la scuola che più in generale. Oltre contrastare il progetto politico della destra, dove il partito di maggioranza, in nome dell’unità della
coalizione, offre alla Lega lo scalpo del sistema scolastico e della formazione, occorre costruire un movimento politico che rivendichi la riqualificazione della scuola oggi sottoposta a una gestione regressiva, anche dal punto di vista pedagogico della quale è artefice un Ministro dell’istruzione che vuole introdurre come elemento educativo l’esaltazione delle differenze, l’umiliazione degli studenti, la mortificazione del sapere, una visione sempre più provinciale, ristretta, elitaria della cultura, propria della Congregazione dei legionari di Cristo e del suo guru Marcial Maciel Degollado alla
quale appartiene.

La Redazione