IL BRASILE VA A LULA

Luiz Inácio Lula da Silva (Pt), ha vinto il ballottaggio con il 50,83% dei voti (59.596.247), contro il 49,17% di Bolsonaro (57.675.427) e diviene Presidente per la terza volta. Lula ha battuto l’attuale capo dello Stato, Jair Bolsonaro (Pl, destra) e il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria, con il 98,86%. Bolsonaro è il primo Presidente in carica a perdere le elezioni, dopo una campagna elettorale drammatica, che ha visto l’assassinio di militanti del Partito di Lula. Il paese diviso e le opposizioni controllano le amministrazioni di molti Stati tra i più popolosi, segno evidente della forza del clientelismo nella società. Per capire quanto sta avvenendo è perciò necessario ripercorrere tutto l’iter di queste elezioni

I risultati del primo turno elettorale

Il 2 ottobre si erano svolte le elezioni politiche nei 26 Stati federati e nel Distretto federale e giudiziario, entità delle quali si compone il paese. Al tempo stesso si era votato per eleggere il Presidente della Repubblica, ma era stato necessario ricorrere al secondo turno. In Brasile l’ esecutivo è guidato dal capo dello Stato, eletto con un mandato di quattro anni, con possibilità di rielezione; nomina il Governo e possiede il potere di proporre leggi. Il potere legislativo è di competenza del Congresso Nazionale, formato dalla Camera dei deputati di 513 membri eletti ogni 4 anni e dal Senato di 81 membri che restano in carica 8 anni.
Al primo turno aveva visto Lula in testa con il 49 % e Bolzonaro secondo con il 44 %; il primo con il 67% dei voti e il secondo con il 43% delle preferenze. Tra i due una differenza di 6 milioni di voti. La mappa del voto del primo turno aveva messo in evidenza un Brasile diviso in due: rosso (per Lula) negli Stati del nord-est, e blu (per Bolsonaro) in quelli del centro–sud. I due sono l’espressione di visioni antitetiche del paese: Lula aveva vinto in 14 Stati, quelli più poveri e rurali, conquistando il sostegno delle classi popolari, delle donne e dei giovani. Su di lui l’avversario aveva fatto pesare il sospetto della corruzione, nonostante che le sue condanne nell’inchiesta Lava Jato fossero state annullate, dimostrando l’interesse privato del Pubblico ministero che lo aveva inquisito. Nel suo programma il vincitore ha promesso di riprendere la lotta alla fame, di cancellare l’immagine di un Brasile ‘Stato-pariah’, a causa delle sue scelte
sull’ambiente, e la massiccia deforestazione dell’Amazzonia, sponsorizzata da Bolsonaro. Il futuro destino del più grande polmone verde del pianeta era dunque indissolubilmente legato alla sua elezione.
Il Presidente uscente, ex capitano dell’esercito, aveva vinto in 14 Stati, grazie al sostegno degli elettori controllati dalle Chiese evancelicali, sostenitrici della “teologia della prosperità”[1] e favorevoli allo sfruttamento dissennato delle risorse naturali del paese; costoro rappresentano un terzo dell’elettorato nelle grandi città e nel settore dell’agrobusiness.
Bolsonaro, ha concentrato la sua strategia sulla difesa di valori “morali” (Dio, patria, famiglia) e sugli attacchi al suo avversario, che ha definito “un ladro” e un “ex detenuto”.
La polarità del voto e la durezza dello scontro testimonia del fatto che queste elezioni presidenziali erano importanti per il futuro del Brasile, per gli equilibri politici nel continente e nel resto del mondo dalla fine della dittatura.

Il Paese va a destra

Il partito del Presidente uscente ha vinto le legislative, col risultato che Camera e Senato avranno ancora una maggioranza di destra, prova ne sia che alcuni dei sostenitori di Bolsonaro, come l’ex ministro della salute, Eduardo Pazuello e il suo ex ministro dell’ambiente Ricardo Salles sono stati eletti. Il Partito Liberale di Bolsonaro ha eletto almeno 99 parlamentari, portando a casa il miglior risultato in 24 anni, trasformando il Congresso nazionale nel più conservatore della storia democratica del paese. Ecco perché il governo di Lula si preannuncia difficile: come già accaduto in altri paesi latino americani e non solo, l’estrema destra è profondamente radicata nella società brasiliana, e si può dire che il populismo bolsonarista rappresenta un pericolo costante e reale.
Sull’esito del voto del primo turno ha pesato il tasso di astensione salito dal 20,3% del 2018 all’attuale 20,94 – nonostante che il voto sia obbligatorio – danneggiando principalmente i partiti vicini a Lula. Perciò nonostante ci sia ancora battaglia per l’attribuzione delle cariche di governo, per i prossimi quattro anni i giochi sono fatti. Tra i 513 deputati federali eletti alla Camera il 2 ottobre, alcuni partiti predominano come União Brasil, il Partido Progressistas (Pp) e il Partido Liberal (Pl) di Bolsonaro. Un numero di seggi più contenuto per gli altri, come il Partido Democrático Trabalhista (Pdt), il Partido dos Trabalhadores (Pt) e Socialismo e Liberdade (PSol). A ricevere più voti è stato il candidato della sezione di Minas Gerais del Partido Liberal (Pl) Nikolas Ferreira, celebre youtuber sostenitore di Bolsonaro che ha ottenuto 1.492.047 voti. A seguire costui, con uno stacco di quasi mezzo milione di voti, Guilherme Boulos, leader dei movimenti sociali che ha corso con lo PSol per lo Stato di San Paolo, che ha totalizzato poco più di un milione di voti. Il Partido Liberal di Bolsonaro risulta il più votato tra deputati e senatori – che oggi occupano 129 seggi rispetto ai 43 che avevano della legislatura precedente – con un aumento record del 200% delle preferenze rispetto al 2018. La formazione di Lula invece, il Pt, crolla da 118 a 85 deputati. A seguire, União Brasil, Movimento Democrático Brasileiro (Mdb) e Progressistas (Pp) si sono assicurati la maggior parte degli scranni.
Malgrado questi risultati deludenti per la sinistra sono migliorate tra gli eletti “le quote rosa” alla Camera dei deputati dove, rispetto al 2018 si registra il 18% delle donne in più. Tra i 513 deputati eletti al Congresso Nacional, le donne sono in totale 91, e nella Camera bassa, per la prima volta nella storia, siederanno anche due deputate transgender: Erika Hilton (PSol), eletta con più di 256mila voti nel collegio di San Paolo, e Duda Salabert (Pdt) di Minas Gerais, con oltre 208mila voti. Le due candidate avevano già incarichi politici nei rispettivi Stati prima di raggiungere la Camera
bassa del Parlamento. Anche la rappresentanza indigena ha guadagnato spazio. È stata eletta Sônia Guajajara (PSol) con più di 156mila voti, Célia Xakriabá (PSol), con 101mila voti, e la bolsonarista Silvia Waiãpi (Pl), che ha ottenuto più di 5mila voti nel suo Stato di Amapa. Al Senato federale, dei 27 neoeletti che costituiscono un terzo della Camera alta – composta da 81 seggi – ben 20 hanno un qualche legame o simpatia per il presidente uscente. Questi risultati dimostrano che non sempre la rappresentanza delle minoranze appartiene alla sinistra e che la destra sa parlare alla “pancia” del paese.
In coincidenza con il secondo turno gli elettori hanno scelto il governatore in 12 Stati su 26, ossia in Alagoas, Amazonas, Bahia, Espirito Santo, Mato Grosso do Sul, Paraiba, Pernambuco, Rio Grande do Sul, Rondonia, Santa Catarina, San Paolo e Sergipe. Questa partita sembra essere stata vinta in maggioranza dai candidati della destra. Per
recuperare spazio politico e consenso Lula ha promesso ai governatori eletti che se vincerà lui vi sarà un collaborazione tra governo centrale e autorità periferiche e ha attenuato i toni della sua campagna elettorale. Con questa strategia aperturista, pur non cedendo nulla sul suo programma, è riuscito ad ottenere il sostegno di Simone Tebet, cattolica liberale e leader della “terza via” centrista, che ha invitato i suoi quasi cinque milioni di elettori a votare per Lula al secondo turno. La leader del Movimento Democratico Brasileiro, di ispirazione cattolica, pur avendo sempre avversato i comunisti di Lula e aver sostenuto l’impeachment di Dilma Rousseff, la compagna di partito che succedette a Lula, ha scelto di convergere su Lula per contrastare gli evangelicali che sono i principali nemici dei cattolici ai quali continuano a sottrarre
fedeli, giocando così un ruolo importante nella vittoria del Presidente.
Il sostegno di Simone Tabet è stato importante non solo per i voti che può aver portato, ma anche perchè lei è l’esponente di punta del settore dell’agronégocio (il settore agroalimentare) dell’industria nello Stato di Mato Grosso del Sud da dove proviene.
Nelle prime dichiarazioni dopo la vittoria Lula ha detto che “in una delle elezioni più importanti della sua storia c’è un unico vincitore” e che “Non è una vittoria mia o del mio partito, ma di un immenso movimento democratico. La maggioranza del popolo ha lasciato detto chiaro che desidera più democrazia e non meno. Vuole più libertà, più
uguaglianza e più fraternità.”
È del tutto evidente che nelle condizioni date al neo Presidente spetta un compito difficilissimo se vuole riuscire a sviluppare quel programma di riforme sociali che ha aiutato ad uscire dalla povertà assoluta più di 44 milioni di diseredati del paese, se vuole restituire alla società brasiliane un futuro che la aiuti a superare i milioni di morti della pandemia non ancora domata e affrontata in modo irresponsabile dal predecessore, se vuole contribuire a salvare il pianeta contenendo almeno la deforestazione dell’Amazzonia. É possibile che la sua sia una vittoria dell’Umanità.

1. La teologia della prosperità predica la ricerca individualistica del benessere, del successo economico-sociale e della salute. La fede, viene perciò interpretata come segno di benedizione divina che premia aspirazioni e ambizioni del fedele. La “teologia della prosperità”, invece, canonizza una concezione neoliberista e meritocratica secondo la quale la ricchezza sarebbe il segno di una benedizione divina che premia la fede del soggetto col benessere, il successo economico-sociale, la salute, la prosperità appunto. Povertà, malattia, miseria, infelicità sono, al contrario, espressioni del giudizio e della maledizione divina, per cui è necessaria la conversione e il discepolato nei confronti di coloro che sono esaltati da Dio con la ricchezza. Non ci si deve, quindi, impegnare nei mutamenti sociali, nella redenzione delle classi misere, nella liberazione dall’oppressione economica, ma dedicarsi alla sequela dei protetti da Dio, alla ricerca del guadagno personale, nella prevalenza dell’individualismo sul bene comune.

La Redazione