Uno dei punti di programma condivisi da tutta la destra dello schieramento politico – sia pure con sfaccettature diverse – è la trasformazione della Repubblica in senso presidenzialista: si va dal presidenzialismo spinto dei neofascisti ex missini, a quello temperato dal federalismo della Lega, a quello gerontocratico del Cavaliere, aspirante Presidente in pectore. In ogni caso l’intento è quello di seppellire la Repubblica nata dalla Resistenza.
C’è molto di identitario e ideologico in questo programma che del resto ha ignobili origini nel “piano di rinascita democratica” progettato da Licio Gelli e parte dalla riforma in senso presidenzialista della Repubblica, con il Presidente eletto mediante elezione diretta e non rieleggibile, per “rivitalizzare” il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato, ai partiti politici alla stampa, ai sindacati.
Alcuni degli obiettivi originari sono già stati raggiunti ad esempio, abolendo le provincie e riducendo il numero dei parlamentari, mentre restano da superare il bicameralismo perfetto attraverso una “ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica).la riforma della magistratura, provvedendo alla separazione delle carriere di Pubblici ministeri e magistrati giudicanti, ka responsabilità del CSM nei confronti del Parlamento e, sul piano sociale l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Come si vede c’è ben poco di nuovo se non la presenza dell’autonomia differenziata – sulla quale peraltro i due principali partiti di destra hanno idee diverse – che accontenta la Lega e dovrebbe attenuare la centralizzazione dei poteri, effetto possibile del presidenzialismo.
La riforma costituzionale è un obiettivo importante per la destra, soprattutto neofascista, che vive di simboli ed ha quindi bisogno di dare un segnale di discontinuità rispetto alla Costituzione del 1947 “saldando” il conto con la storia, ravvivando quella fiamma che porta nel simbolo per dare un messaggio alla sue componenti storiche e radicali.
Sul piano sostanziale ha bisogno di costruire un rapporto diverso con le istituzioni per “educare il popolo” alla difesa della nazione, rafforzando il senso di appartenenza etnica e combattendo l’emigrazione, difendendo i valori tradizionali, la religione, la famiglia, coltivando la xenofobia. Per questi motivi punta a conseguire la maggioranza dei due terzi per poter apportare le modifiche costituzionali. senza bisogno di referendum confermativo, ma solo con il voto parlamentare.
Dovrebbe fungere da elemento di compensazione e riequilibrio della centralizzazione costituita dal presidenzialismo l’attuazione dell’autonomia differenziata con l’obiettivo di incardinare le risorse al territorio di fatto accentuando gli squilibri tra le diverse aree del paese. Invece di riflettere sulla pessima prova data dal regionalismo in occasione della pandemia in relazione alla gestione del sistema sanitario e trarre da questa esperienza un incentivo a un maggior coordinamento del sistema nazionale del servizio sanitario nazionale da parte della Lega si insiste nell’incrementare il localismo alla ricerca di un’identità perduta, di un’Italia dei comuni che sarebbe minacciata dall’emigrazione e dal meticciati. Per questo motivo rimangono immutate, benché non esplicitate e ribadite, le posizioni sulla scuola, i programmi scolastici, la formazione.
I fiancheggiatoti: il terzo polo
Il fantomatico centro – pompato dai sondaggisti, dalla stampa benpensante, dagli opinionisti – opera da fiancheggiatore e non si oppone, ma sposta l’obiettivo sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio che diverrebbe titolare di un inedito premierato. D’altra parte la sua composizione, fatta di mancati riformatori della Costituzione, sconfitti dalle urne, di avventuriere e avventurieri della politica, procacciatori d’affari e affaristi essi stessi, conditi dall’immagine di un frontmen rappresentato da un bue grasso dei Parioli, affiancato da sedicenti tecnici del buon governo, ha altri interessi per doversi preoccupare della democrazia, della partecipazione e privilegia piuttosto i rapporti oligarchici.
Nei suoi 20 punti c’è di tutto dalla scelta nuclearista – vagheggiando un nucleare di quarta generazione che non esiste e che ha assorbito inutilmente tante risorse – ai rigassificatori e agli inceneritori, ipotizza una militarizzazione del territorio per imporre ai cittadini riluttanti queste scelte. Il modello di riferimento è la cosiddetta agenda Draghi, che di fatto non esiste, e comunque è costituita da un programma concordato con la destra. Il tutto condito con l’affermazione che il Governo Renzi è “il migliore” che il paese ha avuto. L’obiettivo dichiarato è la riproposizione di Draghi al governo offerto alla Destra come garanzia e marchio di legittimazione per la gestione-spartizione del potere, grazie alla banda espertissima in materia, costituita dalla classe politico-affaristica renziana. L’alleanza tra la destra e il centro è il vero obiettivo di questo aggregato politico affaristico.
La risposta dei sedicenti democratici e progressisti
I partiti della sedicente sinistra, raggruppati nel cartello elettorale un po’ per necessità dettate dalla legge elettorale e un po’ per convinzione si limitano a dire che i problemi del paese sono altri e al momento del massimo sforzo si aggrappano al simulacro Mattarella, individuando nella sua longeva presenza nel Palazzo la trincea difensiva, al più utile per scongiurare il presidenzialismo gerontocratico e impresentabile del soggetto aspirante in pectore a detronizzarlo, chiedendone le dimissioni. in ragione del mutamento della struttura istituzionale della Repubblica. Il balbuziente di Arcore aspira infatti a coronare il suo cursus honorum occupando il Quirinale.
Democratici e progressisti, invece di limitarsi a dire che i problemi del paese sono altri – cosa peraltro vera – potrebbero e dovrebbero chiaramente pronunciarsi contro il progetto presidenzialista, in modo da allontanare ogni dubbio da possibili inciuci post-elettorali. Mentre ammiccano a riforme costituzionali possibili il cuore del loro programma privilegia i diritti di status piuttosto che le cause strutturali del disagio economico e sociale.
Un esempio per loro dovrebbe essere costituito dai provvedimenti varati dal Governo socialista spagnolo che limitano le tipologie di contratto a termine e incentivano le aziende ad assumere i dipendenti con contratti più stabili o a tempo indeterminato, provvedimenti che hanno prodotto una rapida riduzione della precarietà.
A sinistra si ode uno squillo
Ambiscono a rappresentare le ragioni e gli interessi della sinistra sociale i 5 stelle, alla ricerca disperata di uno spazio politico, ma ancora incapaci di rispondere con convinzione alle domande che gli elettori si pongono, a fronte delle tante derive imboccate dal Movimento, alle alleanze ondivaghe con la destra.
Schiacciati ai margini dalla legge elettorale, frantumati dai tanti abbandoni di politici, peraltro ignobili, i resti di quella che ambiva ad essere una forza politica di rinnovamento profondo appaiono oggi caratterizzati da candidati generati da rapporti parentali, messi insieme nell’emergenza di una crisi identitaria non risolta, i cui effetti si vedranno forse nel tempo, completando un panorama politico che conferma la convinzione che l’unica alternativa possibile non è quella di maneggiare in modo maldestro gli istituti della democrazia diretta ma quella di intraprendere e praticare lotte politiche e sociali nelle quali gettare le basi dell’opposizione alle politiche padronali e dello sfruttamento del lavoro.
La Redazione