Reddito di cittadinanza e povertà

“C’è stata la guerra tra ricchi e poveri e i ricchi l’hanno vinta”, affermava nel 2006 il miliardario Warren Buffet. Da allora le diseguaglianze sono cresciute e dello stesso avviso è l’Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, la quale sostiene che “2.153 super ricchi possiedono quanto altri 4,6 miliardi di persone, mentre il 50% più povero ha meno dell’1%”.
Tutto questo è sfuggito non solo alla destra politica del paese, ma anche al centro e al Partito Democratico, partito sinistro più che di sinistra. Tutte queste forze politiche non hanno risparmiato critiche al reddito di cittadinanza. misura voluta dai 5 stelle, forse imperfetta certamente limitata ma che nei primi 36 mesi di applicazione (aprile 2019-aprile 2022) il Reddito di cittadinanza ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari per 4,8 milioni di persone, per un’erogazione totale di quasi 23 miliardi di euro.
Le misure erogate sotto questa denominazione sono due:
– Il reddito di cittadinanza per un importo medio di 565 euro è un contributo economico destinato a chi è cittadino italiano o europeo o lungo soggiornante, purché residente in Italia da almeno 10 anni. Inoltre, è necessario avere un ISEE (Indicatore di Situazione Economica Equivalente) inferiore a 9.360 euro annui. Viene percepito da 1,05 milioni
di nuclei familiari con un importo medio di 581 euro
– Le pensioni di cittadinanza per un importo di 249 euro vengono percepite da 99 mila nuclei per una media di 288 euro.
In totale ci sono quindi 1.150 mila nuclei familiari che percepiscono una delle due misure pari a 2,6 milioni di persone coinvolte. Dall’aprile 2019, ad averne usufruito in media sono state 1,18 milioni di persone al mese. In questi tre anni il Reddito e la Pensione di Cittadinanza sono costati complessivamente 21,9 miliardi di euro. Il picco delle misure
erogate si è avuto nel luglio 2021 che è stato il mese con il maggior numero di beneficiari (1,4 milioni), nella fase più acuta della pandemia. Le due misure sono così ripartite: a beneficiarne 1,02 milioni di nuclei familiari di cittadini italiani, 41,8 mila di cittadini europei e 90 mila di cittadini extracomunitari. Gli importi medi sono stati rispettivamente di 553,
570 e 535 euro.
In 503 mila casi il nucleo percettore è costituito da una sola persona, in 232 mila da due persone, in 185 mila casi da tre, in 144 mila da quattro, in 61 mila da cinque e in 26 mila da sei o più. Gli importi crescono con l’aumentare dei componenti del nucleo familiare, passando da 452 euro in media per una persona a 718 euro per i nuclei con sei o più
membri. I nuclei familiari che prendono più di 1000 euro al mese sono 79 mila.

Distribuzione regionale dei benefici erogati

In Campania il Reddito o la Pensione di Cittadinanza riguarda il 12 per cento della popolazione, in Sicilia l’11,4 per cento e in Calabria il 9,8 per cento. Agli estremi opposti ci sono Trentino-Alto Adige con lo 0,6 per cento, Veneto con l’1 per cento e Valle d’Aosta con l’1,1 per cento.
A livello di importi, si va dai 430 euro in media del Trentino-Alto Adige ai 612 euro della Campania. Più in generale la media del Nord è di 486 euro, quella del Centro di 513 euro e quella del Mezzogiorno di 581 euro. Scendendo a livello provinciale, si vede che Reddito o Pensione di Cittadinanza a Palermo e a Napoli coinvolgono il 15% della popolazione, a Crotone il 14%, a Catania e Caserta il 13% e a Siracusa e Trapani il 10%.
Sotto l’1% di popolazione coinvolta ci sono Como, Sondrio, Lecco, Pordenone, Treviso, Vicenza, Belluno e Bolzano. In quest’ultima provincia RdC e PdC riguardano solo lo 0,1% della popolazione. Tra le province dove ci sono le maggiori città non ancora considerate vediamo che c’è Roma con il 3,9% della popolazione coinvolta, Torino con il 3%,
Milano con il 2,1% e Bologna con l’1,4%.
Questi dati ci dicono che se la misura venisse abolita e le risorse destinate alle imprese perché assumano. le aree più povere del paese, che ne hanno beneficiato verrebbero escluse, perché sono quelle dove esistono meno imprese che potrebbero fare ricorso a questa misura. È per questo motivo che le maggiori critiche al provvedimento vengono dalle aree del Nord e dai partiti che le rappresentano, dove è meno sentita l’esigenza di tutela dei più poveri e delle categorie marginali della popolazione.
Ma c’è di più: le critiche maggiori vengono al reddito di cittadinanza da chi dice che distribuendo reddito anche se minimo rende non conveniente accettare il lavoro. Se ne desume che le retribuzioni offerte sono di importo minore da quello che si ricava dal reddito di cittadinanza. Se ciò è vero è vero anche che le retribuzioni offerte sono miserabili, schiavistiche e ricattatorie senza considerare che le carenze di lavoratori sul mercato sono causate non solo dai bassi salari ma da una cronica carenza di forza lavoro conseguenza diretta del calo demografico e che a questo bisognerebbe porre rimedio ampliando le quote di migranti e non ipotizzando fantomatici blocchi navali dei migranti e hotspot in paesi terzi dove realizzare campi di detenzione per i migranti cosiddetti irregolari.
Le ragioni dell’economia e l’esigenza crescente di manodopera faranno giustizia di queste politiche anche se la destra andasse al governo, imponendo la difesa di una purezza etnica inesistente e insostenibile.
Rimane il fatto sia il reddito che la pensione di cittadinanza, essendo misure di solidarietà sociale dell’amministrazione pubblica, benché siano costituite da un importo esiguo, si configurano come un diritto che salvaguarda la dignità di chi la richiede. Emerge in tutta evidenza che il problema centrale è la questione salariale che va affrontata promuovendo in ogni modo deciso aumenti salariali per tutti e un salario minimo – stabilito per legge o come frutto dei contratti e soprattutto la lotta per contratti a tempo indeterminato.
I provvedimenti adottati in Spagna dimostrano che questa strategia è possibile e che deve diventare il centro dell’azione sindacale e che il problema è quello centrale, della società italiana, checché ne dicano i partiti nei loro programmi elettorali.

Povertà, miseria e religioni

Dall’erogazione di queste misure emerge comunque, in tutta evidenza, la presenza nel paese di circa 5 milioni di poveri censiti ai quali vanno aggiunti almeno altrettanti che vivono di retribuzioni miserrime e di lavori saltuari, mentre circa 500 mila giovani abbandonano ogni anno il paese in cerca di lavoro. Questo per non parlare di salari così bassi che milioni di famiglie di lavoratori non riescono ad arrivare alla fine del mese anche semplicemente pagando le bollette.
Ma nella “gerarchia della povertà” v’è ancora la categoria degli invisibili, dei senza dimora, dei lavoratori a nero delle migliaia di braccianti donne e uomini che vivono negli accampamenti precari e di fortuna, ultimi degli ultimi.
Schiavi in Italia.(vedi: La questione bracciantile, Ucadi , Newsletter Crescita Politica, Numero 147 – Giugno 2021).
Costoro, e non solo loro, sono costretti a rivolgersi a strutture di volontariato e di carità spesso gestite da confessioni religiose che organizzano mense, distribuiscono aiuti alimentari, forniscono vestiti e quant’altro può aiutare a vivere.
Tutte le religioni, consapevoli dell’evidente lesione dei diritti costituita dalle disuguaglianze sociali, dalla povertà e dall’indigenza, hanno inventato a partire dal giubileo[1] (remissione dei debiti) dei palliativi alla diseguaglianza, costituiti dall’elemosina e dalla carità. Molte sono le iniziative dei cattolici nel nostro paese ma anche gli altri culti hanno elaborato una posizione a riguardo. L’Islam, ad esempio, considera l’elemosina rituale (Zakat) come il terzo dei cinque pilastri che i fedeli sono chiamati a rispettare e la regolamenta legalmente; consente inoltre l’elemosina spontanea o volontaria (Sadaqa). Per consentire la carità ha messo a punto un particolare istituto giuridico (il Waqf) il cui funzionamento viene regolamentato da specifiche norme molto rigorose.[2]
Questi aiuti affidati alla carità, benché vengano spesso erogati disinteressatamente e a fini solidali, rischiano di essere offensivi nei confronti della dignità di chi versa in stato di bisogno, pur alleviando le sofferenze delle vittime della diseguaglianza economica e sociale.

Comunismo anarchico, povertà e uguaglianza

I comunisti anarchici rifuggono perciò dalla carità e dalla misericordia – misure, peraltro, prevalentemente spirituali – come rimedio strutturale a un sistema economico predatorio come quello capitalistico, combattendo qui ed ora la diseguale distribuzione delle ricchezze, si battono per il riconoscimento dell’uguaglianza economica e dei diritti e
praticano la solidarietà. Per questo motivo il comunismo anarchico ritiene che tali comportamenti vadano combattuti con crescente intensità, sia nella fase di transizione che in quella di realizzazione della società futura, fino alla loro radicale eliminazione.
L’anarchismo comunista formula una critica radicale alla carità, all’elemosina, visti come palliativo ad una società di mercato ritenuta dai liberali e dai liberisti. giusta e ordinata, accettata e condivisa; condanna e combatte queste pratiche raccomandate da tutti i culti in quanto ritiene che costituiscano una degenerazione della solidarietà.
La concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre minore di soggetti è così evidente e innegabile da aver indotto anche alcune confessioni religiose a denunciare quanto sta avvenendo. Ma mentre queste, pur considerando il fenomeno inaccettabile continuano a sostenere l’economia di mercato – quando non la collaborazione tra captale e lavoro – il comunismo anarchico affronta il problema alla radice e reca scolpito nel proprio DNA quanto affermava la Industrial Worker of the Word nel suo manifesto costitutivo: “La classe lavoratrice e quella capitalista non hanno nulla in comune. Non vi può essere pace mentre la fame e la povertà regnano fra i milioni di lavoratori ed i pochi,
che compongono la classe padronale, hanno tutte le ricchezze della vita. Fra queste due classi la lotta dovrà svolgersi finché tutti i lavoratori non si riuniranno sul campo politico, come su quello economico, per prendere e tenere quello che essi hanno prodotto con il loro lavoro, attraverso una organizzazione economica dei produttori senza affiliazioni con qualsiasi partito politico”.[3]
Per noi è la società a doversi far carico dei bisogni di tutti: l’esistenza stessa, e tanto più la persistenza della necessità della carità e dell’elemosina, per soddisfare dei bisogni,  rappresentano il fallimento del progetto di costruzione di una società di liberi ed eguali e perciò vanno combattute con ogni mezzo. È compito primario degli organi di autogoverno provvedere e organizzare la società in modo da consentire che essa provveda al soddisfacimento dei bisogni materiali, nei limiti delle risorse disponibili.
La Chiesa cattolica e la sua dottrina sociale sono estremamente consapevoli oggi che ogni protezione contro le diseguaglianze è venuta meno e che gli ultimi, i più poveri, sono disarmati a fronte di una disuguaglianza che cresce, mentre guardano ai ricchi che diventano sempre più ricchi, mentre cresce la miseria nel mondo. Ciò malgrado come rimedi indicano la temperanza, invocano la carità e l’elemosina, mentre è necessaria la rivolta, la realizzazione di una società di liberi ed eguali.
L’attuale pontefice, da oppositore della teologia della liberazione, che aveva cercato di imprimere al cattolicesimo organizzato un’impronta di classe, ha combattuto e confutato questa strategia politica nella società del suo paese d’origine proprio attraverso la carità e l’assistenza agli umili e ai diseredati con tanta intensità da indurre i superiori a trasferirlo a Córdoba, sospettandolo di simpatie verso le istanze egualitarie.
Asceso al soglio pontificio Jorge Mario Bergoglio si è mantenuto coerente alla sua visione del ministero pastorale. I suoi accorati appelli contro le diseguaglianze e la povertà, a fronte della crescita esponenziale delle diseguaglianze e delle sofferenze degli ultimi e degli emarginati, hanno il fine di indicare nella Chiesa cattolica e nella sua dottrina sociale la sola vera soluzione ai problemi che tuttavia rimane quella di una società di tipo capitalista caratterizzata da una economia di mercato, temperata dalla carità.
A questa strategia politica e a questa visione del mondo e dei rapporti sociali e produttivi il comunismo anarchico si oppone invece senza alcuna ambiguità, con tutta la risolutezza dovuta a contrastare l’avversario di classe e a perseguire giustizia sociale uguaglianza e libertà dal bisogno.
Al tempo stesso si oppone e combatte tutte quelle forze politiche che considerano il lavoro e il reddito una benevola elargizione dei padroni a un gregge di lavoratrici e lavoratori proni e senza dignità che devono ringraziare i padroni per le briciole dei loro profitti sotto forma di salari.
È questo che rende sempre attuale e urgente lottare per la rivoluzione sociale e il  ribaltamento del rapporto capitale-lavoro, per una società comunista.

[1] Nel Levitico 25,10 è scritto “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia”. Altri passi della Bibbia (ad es. Esodo 23, 10s e Neemia 10, 32) ne sottolineano soprattutto l’aspetto sociale. Di qui il triplice imperativo: la restituzione delle terre, il condono dei debiti e la liberazione degli schiavi. A fronte del peso economico del Giubileo l’ebraismo ne ridusse gradualmente la periodicità e  furbescamente il cristianesimo lo trasformò in occasione di redenzione dai peccati e portò a 25 anni la scadenza. Per il comunismo anarchico l’osservanza della disposizione è perpetua e comporta la restituzione alle donne e agli uomini della proprietà e del godimento di tutti quei beni e diritti che rendono la vita degna di essere vissuta.
[2] Sul punto, diffusamente: Giovanni Cimbalo, Il ritorno del Wafq, [Riv. Tel.], (www.statoechiese.it) n. 14 del 18 aprile 2015, pp. 1- 65.                                                    [3] Cfr.: John Reed, Red America. Lotta di classe negli Stati Uniti, Roma, Nova Delhi Libri, 2012.

La Redazione