Siamo sull’orlo del baratro? Forse che sì, forse che no.

Come usuale, il 31 maggio il Governatore della Banca d’Italia ha svolto le sue Considerazioni Finali [1] sull’andamento dell’anno trascorso e sulle prospettive del futuro di fronte a economisti, banchieri, autorità istituzionali, operatori economici etc. Ignazio Visco (che condivide il cognome, ma non la parentela, con l’ex ministro diessino Vincenzo e con questi anche la passione per il “fisco”), ha parlato di luci ed ombre, ma ha sfumato sulle reali prospettive dell’economia globale ed italiana in particolare. Una piccola notazione insignificante: in apertura del discorso ha parlato di “crisi umanitaria”[2], un errore ormai diffuso cui non dovrebbero soggiacere persone, che sono considerate e si considerano colte, come il nostro e pure lui, l’unto, il Presidente del Consiglio.

Pandemia e guerra

Secondo la relazione del Governatore le buone prospettive economiche esistenti nel 2019 sono andate incontro a due catastrofi inattese: la pandemia da Sars-Cov-2 e la guerra russa-ucraina. Ma mentre la prima è stata affrontata, almeno in Europa, con la messa in campo di ingenti risorse economiche, la seconda deve ancora dispiegare a pieno i suoi effetti.
Il rimbalzo congiunturale del 2021 sembra dare ragione alla prima delle due  affermazioni, anche se in realtà proprio di un rimbalzo per lo più si trattava, visto che i paesi occidentali hanno solo recuperato solo in parte i livelli di espansione repandemici (salvo la Gran Bretagna, che è tutta un’altra storia). Incerte sono le ricadute, invece, dell’evento bellico: Visco alterna deboli ottimismi a proiezioni più fosche [3]. Resta un’aria di rimpianto del tempo che fu: l’epoca felice degli scambi internazionali illimitati [4] e l’economia che scorreva sulle “catene globali del valore” [5], secondo un modello di globalizzazione, sia pur difettoso e da sottoporre ad un controllo, ma sicuramente (a detta sua), favorevole ai poveri del pianeta.

Posizioni solide

A detta di Visco oggi esistono in Italia i presupposti per superare senza contraccolpi troppo violenti la crisi internazionale, come già soddisfacentemente è stata assorbita quella pandemica[6]. Manco a dirlo su queste rosee previsioni pesano i soliti antichi difetti del sistema paese: alto debito pubblico, inefficienza del pubblico impiego, frammentazione dell’apparato produttivo. Sono le vecchie lamentele della finanza internazionale. Quello che occorre aggiungere è che il Governatore è tuttora un tenace assertore delle economie di scala [7]; peccato che già da oltre trent’anni uno storico dell’economia abbia studiato e dimostrato che non è la scala il fattore decisivo dell’impresa, ma lo scopo, ovverosia la mano “visibile” del management [8].

I rischi della guerra

Abbiamo già visto come per Visco il grosso pericolo della crisi bellica in corso sia la distruzione di quella rete internazionale degli scambi, l’unica in grado di garantire il massimo benessere per una maggioranza crescente della popolazione mondiale. Questo per il futuro, a conflitto concluso con il suo lascito di inasprimento dei rapporti internazionali, ma nell’immediato esso ha generato un aumento del costo delle materie prime, aumento che si è riverberato sui prezzi di tutte le merci. Il rallentamento che ne deriva per l’evoluzione congiunturale, pur godendo di un buon lascito dell’anno scorso, sarà visibile in tutta l’economia globale, ma in particolare per quelle nazioni che più dipendono da altre per l’approvvigionamento energetico [9]. Questo anche se, come mostrato nella figura 1 del rapporto, le tensioni sul prezzo del gas hanno avuto inizio almeno sei mesi prima dello scoppio del conflitto, prezzo che si è attualmente attestato sui livelli di un anno fa [10]; per il Governatore la colpa delle tensioni geopolitiche ancora di là da venire all’inizio del 2021, ciò per escludere qualsiasi riferimento a manovre speculative, che come ben si sa non hanno mai luogo nei mercati.

La sottovalutazione dell’inflazione

Per il Governatore il problema è il riemergere per pericolo inflazionistico, anche se egli nutre fiducia sul suo contenimento entro limiti ragionevoli, grazie alla flessione della domanda, dovuta ai rincari delle merci [11]. Il quadro europeo, ed italiano in particolare, gli appare meno fosco che negli Stati Uniti. Le dinamiche inflazionistiche, contrariamente alle sue previsioni, sono invece esplose in maniera estremamente accentuata, subito dopo la sua Relazione Finale, e non solo negli USA [12] . Per ulteriore disdetta il quadro economico per l’Italia si complica, aumentando la pressione sui prezzi: non solo ci sono ritardi negli approvvigionamenti di pezzi di ricambio, ma ora la catena della logistica è andata incontro a forti difficoltà per mancanza di autotrasportatori e carenza strutturale del trasporto ferroviario; sono in sofferenza l’import di ogni genere di merci, delle materie prime in particolare, ed anche l’export, carta vincente dell’economia italiana, vede compromesse le sue possibilità[13].

Il problema è nelle richieste salariali

È evidente che le cause della reviviscenza inflazionistica sono tutte interne alla congiuntura internazionale ed alle speculazioni finanziarie. Ma per il Governatore quello che bisogna controllare sono i salari; non a caso il giorno dopo il suo intervento Il Sole 24 ore, il giornale di Confindustria, titolava trionfante che secondo Visco occorreva evitare la spirale prezzi-salari: musica per le loro orecchie. In effetti nelle Considerazioni Finali il problema dei salari è un tema ricorrente. A quietare il Governatore non basta la constatazione, che pure fa, che ormai da tempo la dinamica salariale in Italia è stata depotenziata, grazie anche ad una serie di sciagurati accordi sindacali [14]. Ma il la lingua batte dove il dente duole e così i salari divengono gli imputati, più e più volte messi alla gogna [15].

Chi paga l’inflazione

Cosa sta a significare questa diversione di sguardo dai profitti [16] e dalle scelte geopolitiche fatte dai governi, per appuntarlo sui salari dei lavoratori. Il conto è presto fatto. Per prima cosa fa apparire l’inflazione come frutto dell’ingordigia dei ceti a reddito fisso. Ma per di più scarica i costi dell’inflazione su di essi. Se infatti l’inflazione cresce per effetto di cause che non dipendono dalla contrattazione e se la contrattazione non fa fronte al differenziale tra
remunerazione costante e prezzi crescenti, il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti è destinato a ridursi e quindi su di essi e solo su di essi si riverseranno gli oneri della crisi. Questo, però, è un problema marginale per il nostro Governatore, che ha in serbo una semplice propostina.

Al vostro buon cuore

“Data l’incertezza delle prospettive economiche il rialzo dovrà avvenire con gradualità; sarà più agevole se le pressioni per incrementi salariali connesse con la risalita dell’inflazione saranno contenute, anche grazie a misure di bilancio volte a frenare il rincaro dell’energia e sostenere il reddito delle famiglie più colpite”. Ovverosia la carità pelosa dello Stato sopperirà come può, ovviamente poco e male, ai disagi dei meno abbienti, purché questi stiano buoni ed aspettino gli aiutini che loro si potrà e vorrà concedere. E perché no, le dame di carità ed i gruppi di volontariato? I poveri sentitamente ringraziano!

[1] https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2022/cf_2021.pdf
[2] “Che orienta il suo pensiero e la sua azione a migliorare materialmente e moralmente la vita umana e la convivenza dell’uomo nella società”, in Vocabolario Treccani: https://www.treccani.it/vocabolario/umanitario/.
[3] Due citazioni per tutte: “Ciò consente una più graduale normalizzazione della politica monetaria, attenuando i rischi di un impatto recessivo sull’economia” e altrove “Non si possono però escludere sviluppi più avversi. Se la guerra dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia, il prodotto potrebbe ridursi nella media del biennio”.
[4] “In un mondo diviso in blocchi si perderebbe anche, e soprattutto, quel patrimonio di fiducia reciproca – per quanto fragile e non scontato – che, oltre a essere indispensabile per la convivenza pacifica tra le nazioni, rappresenta una insostituibile base per affrontare le sfide cruciali per le prossime generazioni”.
[5] Sono le catene di approvvigionamento, che rendono possibile ai paesi anche poveri di svilupparsi se riescono ad inserirvisi. Grazie alle nuove tecnologie informatiche non è più necessario che il controllo della produzione sia prossimo ai luoghi dove essa  materialmente si verifica, per cui ora è possibile delocalizzare il capitale a piacimento (“frammentazione globale”). Da un punto di vista complessivo la ricchezza che i perde in un territorio si produce in un altro, anzi accrescendosi, e quindi secondo gli economisti opporsi alle delocalizzazioni non è solo inutile, ma anche dannoso, con buona pace delle miserie umane che si verificano nei territori abbandonati (Cfr.: BRANKO MILANOVIC, Capitalismo contro capitalismo: la sfida che deciderà il nostro futuro, Edizioni Laterza, Bari 2020, pp. 165-173.
[6] “La ristrutturazione condotta nel decennio precedente la pandemia ha permesso alle imprese italiane di affrontare la crisi in condizioni di bilancio relativamente solide. Un recupero di competitività è in atto da tempo. Il sistema finanziario, anch’esso rafforzatosi, è in grado di offrire un adeguato sostegno al settore produttivo. La ritrovata fiducia nelle prospettive economiche del Paese ha favorito il ritorno alla crescita degli
investimenti e la ripresa”.
[7] “In Italia le aziende con oltre 250 addetti, che hanno in media migliori risorse manageriali e organizzative e una maggiore capacità di sostenere i costi dell’innovazione e di adattarsi alla transizione verde, impiegano meno di un quarto degli occupati, circa la metà che in Francia e in Germania”.
[8] ALFRED D. CHADLER JR., Scale and scope: The Dynamics of Industrial  Capitalism, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge mass. 1990. Dimensione e diversificazione: le dinamiche del capitalismo industriale / Alfred D. Chandler jr; con la collaborazione di Takashi Hikino; edizione italiana a cura di Franco Amatori ; traduzione di Patrizia Battilani, Paola Contarini, Fabrizio Zecchin, Il Mulino, Bologna 1994.                                                                                                                 [9] “Il quadro congiunturale si è deteriorato anche nell’area dell’euro, che è particolarmente esposta agli effetti economici del conflitto. Secondo le stime più recenti, quest’anno la crescita del prodotto dovrebbe risultare inferiore al 3 per cento, ben al di sotto di quanto previsto pochi mesi fa; un incremento già in larga parte acquisito grazie alla forte ripresa del 2021 e che implicherebbe quindi solo una modesta espansione dell’attività in corso d’anno. Il rischio di un andamento meno favorevole è significativo. Come per le altre economie che importano beni energetici, lo shock di offerta ha rilevanti ripercussioni anche sulla domanda: il peggioramento delle ragioni di scambio incide negativamente sulla disponibilità di risorse di famiglie e imprese, frenando consumi e investimenti.”
[10] È appena il caso di notare che mentre per l’Europa il prezzo del gas è cresciuto negli ultimi due anni di 9 volte al MWh, negli stati Uniti esso è solo raddoppiato.
[11] “Il peggioramento delle ragioni di scambio e la perdita di potere d’acquisto tenderanno a contenere la domanda finale, attenuando la pressione sui prezzi.”
[12] CARLO MARRONI, Bankitalia: Pil giù al 2,6%, costo della vita al 62,2%, in Il Sole 24 ore, a. 158, n° 159, sabato 11 giugno 2022, p. 2; MARCO VALSANIA, La corsa dei prezzi scote gli Usa: 8,6% a maggio, al top da 40 anni, a. 158, n° 159, sabato 11 giugno 2022, p. 3.
[13] MARCO MORINO, Trasporto merci al collasso, export e forniture a rischio, a. 158, n° 159, domenica 12 giugno 2022, p. 3.
[14] “Non si sono finora registrati segnali di trasmissione delle pressioni dai prezzi alle retribuzioni anche per le caratteristiche del modello di contrattazione italiano, disegnato in modo da limitare le ricadute di incrementi dell’inflazione dovuti a shock di natura energetica.”
[15] “Non va però trascurato il rischio di un aumento delle aspettative d’inflazione oltre l’obiettivo di medio termine e dell’avvio di una rincorsa tra prezzi e salari. Al momento le aspettative non si discostano significativamente dal 2 per cento e, a differenza di quanto è avvenuto negli Stati Uniti, la dinamica delle retribuzioni dell’area è sinora rimasta moderata, anche se in alcuni paesi sono state avanzate richieste di recuperi retributivi di elevata entità. Se queste si risolvessero in aumenti una tantum delle retribuzioni, il rischio di un avvio di un circolo vizioso tra inflazione e crescita salariale sarebbe ridotto”. E altrove: “Interventi di bilancio di natura temporanea, e calibrati con attenzione all’equilibrio delle finanze pubbliche, possono contenere i rincari dei beni energetici e sostenere il reddito disponibile delle famiglie più colpite, riducendo in entrambi i casi le pressioni per incrementi di natura salariale.”
[16] Quando è stata avanzata l’ipotesi di tassare gli extraprofitti, ovverosia l’ingente maggior gettito che le imprese hanno accumulato in questo periodo di crisi approfittando dei problemi generati dal conflitto e dalle scelte dissennate volute dagli Stati Uniti, il solito giornale di Confindustria ha gridato allo scandalo, presentando un’azione di equità redistributiva come una forma illecita di appropriazione.

Saverio Craparo