Voci allarmate si levano in Europa, denunciando lo scoppio della prima
guerra sul Continente dopo la Seconda guerra mondiale. La sporca coscienza
collettiva e quella di molti, ha rimosso la guerra che ha accompagnato la dissoluzione
dell’ex Jugoslavia, che ha portato anch’essa in Europa morte, distruzione e gli orrori del
genocidio. Ma si trattava dei Balcani e ad attaccare erano i puri occidentali che guardavano da spettatori al massacro di 8.000 mussulmani bosniaci a Sbrenica,
bombardavano ospedali a Belgrado, sganciando bombe “intelligenti” – come ebbe a dire
il presidente del Consiglio pro tempore D’Alema – targate di sinistra: ne viene che quanto avvenuto può è deve non suscitare orrore e deve sparire dalla memoria.
Nel caso della guerra in Ucraina invece gli europei guardano con preoccupazione agli eventi in corso, temendo il coinvolgimento dei paesi NATO che sfocerebbe in una guerra nucleare. Mentre gli ucraini chiedono che la NATO interdica all’aviazione russa i
cieli dell’Ucraina i paesi occidentali rifiutano a parole di farsi coinvolgere, ma inviano
sistemi d’arma e volontari, combattendo con la Russia una guerra per interposta persona.
Malgrado tanta “prudenza” l’occidente rischia di farsi coinvolgere nello scontro dalla copertura mediatica della guerra, dagli effetti economici che la guerra produce sia a
causa delle sanzioni che per gli effetti sui costi dell’energia. Il conflitto è giunto al punto
da spingere gli europei ad essere insolitamente solidali verso milioni di profughi che si riversano ad occidente in fuga dalla guerra accolti con generosità da paesi solitamente inospitali nei confronti dei migranti. La guerra viene vista con preoccupazione nel mondo, ma ciò non toglie – e dovrebbe farci riflettere – che ad esempio, l’India vede quella in Ucraina come una “piccola guerra europea”, una guerra che però rischia di essere di lungo periodo e rispetto alla quale bisogna attrezzarsi per capire e domandarci cosa possiamo fare per far tacere le armi e costruire la pace.
Tra aggressori e aggrediti
È impossibile parlare della guerra con razionalità, perché la guerra non ha nulla di razionale e la ragione non può comprendere; ciò non significa che le guerre non nascano da interessi, che non siano segnate dalla ricerca del potere. dal bisogno delle istituzioni di basarsi sul consenso, artatamente costruito sul dolore e la sofferenza, e quindi sull’amor di patria, inteso come difesa di una società unita da un’esperienza comune, che cancella usi, costumi, tradizioni ed appartenenze diverse, proprie di ogni nazionalità e identità, per costruire un consenso omogeneo, che affonda le radici nel
comune dolore, nei rapporti d’odio, nell’appartenenza ideologica invece che nella bellezza della diversità e nella coesistenza. Noi rifiutiamo questa assurdità e gli uomini che se ne fanno interpreti, come rifiutiamo il ruolo di primi attori della guerra. Sappiamo bene che al di là delle ambizioni di Putin e di Zelens’kyj non è la loro personale malvagità e cupidigia a spingerli a cercare la guerra, né tanto meno la loro follia, ma sono gli interessi economici e strategici, le ragioni vere di tanto dolore. Si, non è la follia che muove la guerra, ma ciò che viene dagli interessi economici che stanno dietro al possesso dei minerali di ferro, nichel, neon, di terre rare del Donbass, al grano, al mais, all’orzo, alle granaglie, coltivate nelle pianure ucraine, al controllo di territori strategici necessario per garantirsi il possesso e la gestione dei prodotti economici e strategici di cui sopra. È la gestione dei mercati, la ricerca del profitto dei padroni, che in questa
parte del mondo in Russia come in Ucraina si chiamano oligarchi, ma sono degli sporchi padroni, dei capitalisti sfruttatori.
È questo il motivo per il quale noi rifiutiamo la guerra e il massacro in nome dei padroni e chiediamo ai popoli di cercare la pace, affermando che è possibile attraverso il dialogo e nella pace costruire istituzioni comuni che trovino la loro legittimazione non nella Chiesa non nell’amor di patria, non nell’odio, ma nella collaborazione e nelle istituzioni partecipate, che è possibile costruire a livello di comunità senza sottostare agli interessi di questo o quell’oligarca, di questo o quello Stato, di questa o quella patria.
Siamo consapevoli che ora tanto odio è stato versato; tanto dolore e tante distruzioni hanno scavato un solco profondo tra fratelli e sorelle, tra padri e figli, fra madri e figli e che sarà doloroso ricostruire e dimenticare, ma bisogna impegnarsi e lavorare per questo, piuttosto che prevalere gli uni sugli altri, in nome e per conto di padroni lontani dalle terre e dai luoghi di Ucraina. Arriva la primavera e bisogna tornare nei campi a seminare; occorre farlo perché ci sia il raccolto.
La Redazione