LA GUERRA RUSSO UCRAINA

All’inizio venne Biden: le cose nel suo paese non gli andavano molto bene. La pandemia aveva messo economicamente a terra il paese e ancora infuriava. Il piano di rilancio economico stentava ad essere approvato, l’inflazione crescente diveniva sempre più preoccupante, il controllo sul Congresso vacillava. Le elezioni di Midterm si avvicinavano e rischiava di perderle.
I competitors internazionali degli USA sembravano in condizioni migliori: l’Europa sembrava uscita meglio dalla pandemia e i focolai di infezione sembravano destinati a spegnersi. L’economia si avviava a una ripresa possibile, grazie al Ricovery Fund e sembrava sul punto di partire una trasformazione globale green della economia europea che avrebbe lanciato l’Unione verso un nuovo modello di sviluppo economico.
La Cina sembrava in ripresa economica dopo la pandemia. Gli USA, ritirantisi dall’Afganistan, creavano nell’area Indo-Pacifica, con Gran Bretagna e Australia, l’ Aukus, una sorta di NATO del Pacifico, nel tentativo di contenere l’espansione della presenza cinese, ma la Cina sembrava marciare indomita verso la realizzazione delle sue vie della seta, beneficiando della globalizzazione alla quale era riuscita a imporre regole convenienti e ad associare ads esse una divisione internazionale del lavoro quanto mai favorevole alla sua economia.
L’America Latina bolliva come al solito, come una pentola a pressione: il Venezuela in situazione di stallo, ma con un governo ostile agli USA, il Cile lanciato verso l’esperienza di una ritrovata democrazia, la Colombia che avviava il suo esperimento di governo campesino, mentre in Brasile, ai blocchi di partenza, Lula si preparava a una corsa probabilmente vincente alla Presidenza. Intanto la Cina penetrava sempre più profondamente nell’economia del continente, controllando le materie prime e assorbendo la produzione agricola e zootecnica, replicando la politica di cooperazione allo sviluppo già sperimentata con successo in Africa. India e Giappone sembravano uscire, la prima lentamente, il secondo con la solita efficienza, dalla pandemia, come del resto la Corea del Sud e Taiwan e rilanciare le loro economie.
Il Medio Oriente continuava a produrre profughi, mentre una guerra strisciante divorava l’area ai confini della Turchia, potenza militare crescente, impegnata nel sogno di ricostruzione dell’impero ottomano, dalle coste del Nord Africa all’Asia centrale, mentre Israele continuava a condurre la sua eterna lotta contro i palestinesi e si protraevano le eterne trattative sul nucleare iraniano. La Russia, silente, faceva i suoi affari in Medio Oriente e in Africa, offrendosi come guardiano stabilizzatore di regimi più o meno dittatoriali. Alla sua ombra gli oligarchi, integrati nel sistema capitalistico, lucravano le sue enormi ricchezze.
Allora il Presidente Biden si chiese cosa avrebbero fatto i suoi predecessori, naturalmente democratici, e trovò subito una risposta: avrebbero esportato la crisi all’estero, magari in Europa, che appariva il concorrente in prospettiva più pericoloso per gli USA: dal vecchio continente non venivano solo segnali di un rilancio economico possibile. ma anche quello di una rinforzata coesione interna. La sua economia si reggeva su un basso costo dell’energia, assicuratole dai rapporti con la Russia. Già, un binomio pericoloso quello: energia e materie prime a prezzo accessibile in cambio di
trasformazione e collocazione sul mercato di prodotti di consumo e giganteschi profitti per i controllori dell’economia russa che forniva generosamente le materie prime e l’energia. Una integrazione perfetta, frutto dei trent’anni di pace in Europa (ma di guerre ovunque nel mondo) che erano seguiti alla fine della Guerra Fredda.
Si, è vero, la NATO ne aveva approfittato e aveva piazzato i suoi missili ovunque, a corona intorno alla potenza militare russa, che, debole in economia, possedeva però un deterrente militare degno di contrastare quello USA. Era da tempo che ogni tentativo veniva fatto da parte USA per destabilizzare Bielorussia e Ucraina, che insieme rappresentavano il ventre molle della frontiera tra NATO e Russia. Si era tentato con la Bielorussia, puntando sulla presenza di un dittatore impresentabile e decotto, ma non era stata calcolata la capacità di tenuta del suo regime, grazie all’ancoraggio alla Chiesa Ortodossa Russa, che attravrso la sua filiale locale, aveva fidelizzato le istituzioni e larghi strati della società Bielorussa, stabilendo su una parte rilevante del paese un controllo ferreo. Non restava che l’Ucraina.

L’Ucraina

La Russia aveva costruito per l’Ucraina un modello di controllo simile a quello bielorusso di controllo e di ancoraggio a Mosca che faceva perno sul ruolo politico stabilizzante della Metropolia del Patriarcato di Mosca nel paese, come Chiesa maggioritaria, ma non aveva fatto i conti con il turbolento mondo dell’ortodossia ucraina, con le sue aderenze con l’occidente, con le male arti degli USA, che operavano nel paese dal 1994 per destabilizzarlo, con il possibile ruolo del Patriarcato di Costantinopoli, finanziato dagli USA, che poteva bilanciare l’influenza del Patriarcato Ortodosso di Mosca dando vita a una nuova Chiesa filo occidentale. E infine Mosca non aveva a Kiev un uomo al governo della tempra del dittatore bielorusso, ma solo omuncoli spaventati, pronti a fuggire ad ogni stormir di fronda, preoccupati solo d’arricchirsi.
L’Ucraina era perciò ritenuta da Mosca uno Stato debole, un non-Stato.
Ne è prova l’annessione alla Russia della Crimea nel 2014, che lasciava come strascico una guerra vera e sanguinosa. La regione contesa era quella del Donbass, un’area una volta pesantemente industrializzata che produceva principalmente carbone e acciaio e dotata di un significativo apparato industriale di merci destinate al mercato russo, ma
mediante industrie non competitive sul mercato europeo. Da qui la deindustralizzazione e lo smantellamento di un apparato produttivo, frutto degli investimenti del periodo sovietico e il bisogno degli oligarchi locali di promuovere a Kiev un trattato di associazione al mercato russoper poter continuare a vendere i propri prodotti. Questa richiesta veniva disattesa scegliendo i rapporti con l’U. E. In altre parole agli interessi russi erano legate quelli delle classi agiate dell’area che del commercio e dei rapporti economici con la Federazione russa vivevano e che non avrebbero potuto coltivare gli stessi interessi nell’U. E.; al mercato europeo preferivano un’unione doganale con la Russia e con le contigue regioni russofone.
Massa di manovra di questi interessi erano le popolazioni russofone che temevano e temono la perdita della propria identità linguistica ed i lavoratori industriali dell’area che avevano avuto modo di verificare che la perdita della partnership con i russi aveva portato alla non convertibilità delle produzioni delle proprie fabbriche e delle miniere, , con conseguente chiusura e perdita del posto di lavoro. Pertanto, gli interessi delle popolazioni del Donbass erano e sono orientati verso il retrostante territorio russo. Quelle popolazioni hanno quindi ingaggiato una battaglia per la loro indipendenza che è costata loro 14.000 morti. Sempre, quando si sviluppano lotte nazionalistiche, da queste traggono vantaggio le borghesie nazionali, mentre il conto viene pagato dalle classi subalterne.
Da 8 anni – tra il disinteresse di tutti – la guerra nel Donbass si trascinava, bloccata in combattimenti di trincea, condotti più che dall’esercito regolare ucraino, da battaglioni di volontari, ai quali nell’ultimo anno si è sostituita la guardia nazionale, nella quale i battaglioni di volontari sono stati assorbiti e inquadrati.
Ma la perdita della Crimea e la guerra nel Donbass hanno profondamente trasformato l’Ucraina. Durante il governo di Porošenko il paese è profondamente mutato. Si è completato il processo di unificazione delle Chiese Ortodosse che chiedevano l’autocefalia, si è costituita la Chiesa Ortodossa Ucraina che ha ottenuto l’autocefalia richiesta dal Presidente della Repubblica, oltre che dai prelati della nuova Chiesa, sponsorizzata dagli Stati Uniti e dall’allora segretario di Stato Pompeo.
Giungevano così a buon fine le attività dell’International Republican Institute (IRI) creato a Kiev nel 1994. La quasi totalità dei fondi dell’Istituto (stimati in $ 50–100 mln) proviene dal Dipartimento di Stato USA per mezzo dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ed il National Endowment for Democracy (NED). L’IRI, pur avendo la sua sede principale a Kiev operava anche fuori dalla capitale, nelle regioni le cui comunità non sarebbero altrimenti state raggiunte dal messaggio dell’Occidente, come quelle orientali. Il personale dell’IRI comprendeva i background religiosi e geografici più diversi, rappresentando ben 10 regioni dell’Ucraina: da Leopoli all’ovest a Luhansk all’est. Fino al 2015, aveva propri uffici a Odessa e Simferopoli. In occasione del decimo anniversario dell’apertura della prima sede dell’IRI in Ucraina, il Patriarca Filaret (allora patriarca della Chiesa Ortodossa Ucraina di Kiev) aveva impartito
una speciale benedizione all’Istituto, a riprova dei legami tra la sua Chiesa e gli ambienti della diaspora ucraina negli Stati Uniti e in Canada, dove il Patriarca si recava ogni anno per raccogliere finanziamenti.
L’IRI, che non è stato estraneo ai fatti di piazza Maidan, tanto da esserne ritenuto l’ispiratore, ha successivamente curato con il sostegno britannico la riorganizzazione e l’addestramento dell’esercito ucraino che si è svolto, a partire dal 1995, nella base di Yavoriv, presso il confine polacco. Questo processo di rafforzamento dell’esercito è continuato e si è intensificato con l’elezione del nuovo Presidente Zelens’kyj, personaggio allevato da Ivan Bakanov, oggi capo del partito “Servitore del popolo”. Direttore esecutivo dal 2013 di “Kvartal 95” e “Studio Kvartal 95”, società di produzione televisive di proprietà di Igor Kolomojskij, un imprenditore, e politico israeliano e cipriota, miliardario, Presidente del Parlamento Ebraico Europeo, comproprietario di PrivatBank, proprietario del FC Dinipro e di jewish News One, Bakanov dal marzo
2014 al marzo 2015 è stato governatore dell’oblast’ di Dinipropetrov, uno dei 24 oblast’ dell’Ucraina È considerato tra le persone più ricche dell’Ucraina, con un patrimonio netto stimato di 1,8 miliardi di dollari nel 2022, è lui il finanziatore e il principale beneficiario dell’elezione di Zelens’kyj.

La guerra

Per comprendere il precipitare della crisi occorre premettere alcune considerazioni, per quanto sommarie, sulla sua composizione di classe del paese, partendo ancora una volta dagli effetti della rivoluzione arancione. Bisogna tener presente che nell’URSS le politiche economico-sociali di sostegno all’occupazione avevano dato vita a una classe media detentrice di un reddito medio basso, che soffriva nella nuova nazione di crescente incertezza, derivata dalla liberalizzazione del mercato del lavoro. In Ucraina questi strati della società finirono per essere rappresentati da una minoranza rumorosa, costituita da neonazisti e suprematisti slavi, sostenitori dell’idea che l’antica Ucraina fosse “la culla degli Ariani”. Perciò costoro hanno dato vita a formazioni paramilitari di sostegno alla collocazione occidentale del paese. Non si tratta di un processo del tutto
spontaneo, perché è stato accompagnato dall’assistenza della NATO, finanziata dagli USA, che hanno utilizzato come sub agenti istruttori militari britannici, con l’ovvio consenso del Governo di quel paese per addestrare militarmente le milizie nazionaliste.
Nel gennaio 2019 andava a buon fine l’operazione di concessione dell’autocefalia alle denominazioni ortodosse della Chiesa Ortodossa Ucraina, antagonista della Metropolia moscovita, che passava all’attacco, rivendicando edifici proprietà e beni della Chiesa filorussa. Veniva così a mancare una delle principali leve per condizionare dall’interno la politica governativa in Ucraina. A dicembre il governo ucraino varava la legge sui cappellani militari che assegnava con funzioni di “motivatore” un cappellano non solo ai reparti dell’esercito regolare, ma anche ai corpi di volontari nel frattempo assorbiti all’interno della guardia nazionale. In questa situazione la Russia, che nel frattempo aveva organizzato manovre militari ai confini, sempre più allarmata, decideva di condurre una guerra di aggressione e imvadeva Ucraina.