Non c’è niente di meglio di una guerra di aggressione per far nascere l’amor di patria. Avrebbe dovuto saperlo Putin, prima di scatenare una guerra di aggressione verso un paese fratello, non solo per lingua, tradizioni, storia e cultura, ma anche perché – come sa bene – molte famiglie del paese aggredito, come di quello aggressore, sono miste o hanno (e forse avevano) una parte dei membri residenti in Russia e una parte in Ucraina. Malgrado ciò il plutocrate russo ciò ha scatenato le sue armi di distruzione su bambini, donne, uomini, giovani e anziani, ha colpito ospedali e scuole, biblioteche e università, ha distrutto le loro case, li ha terrorizzati e affamati, li ha resi pieni di odio, un odio che sarà difficile cancellare, che si radica nella carne, che si trasforma in culto dei morti e in amor di patria. Quello che sta avvenendo resterà nella storia, nella memoria collettiva per generazioni, costruirà l’identità Ucraina sull’odio per i russi.
Se Puntin voleva spingere gli ucraini nelle braccia degli europei d’occidente c’è riuscito perfettamente, cementando da ambedue le parti riconoscenza e solidarietà: basti riflettere sul moto spontaneo di accoglienza, certo alimentato dai governi, ma sicuramente frutto di simpatia verso l’aggredito, verso chi è debole e fragile – o si rappresenta con abilità come tale – e si trova schiacciato da una macchina da guerra impressionante. Il risultato è l’orgoglio delle persone ferite, che si sentono vittime di un ingiustizia, che vedono brutalmente scomparire sotto le bombe non solo la vita ma il proprio vissuto, le proprie cose, i propri ricordi, gli amici, la socialità, le prospettive del futuro e si ritrovano nudi, disperati, in fuga, senza più niente, ma con tanto odio dentro, tanto orgoglio e tanta voglia di combattere. Un vero capolavoro per gli interessi geo strategici russi, per quelli del paese che Puntin dice di voler difendere e del quale dice di curare gli interessi.
Ma Puntin non è stato il solo a fare questo capolavoro: attori comprimari sono quegli ucraini, preti ortodossi sostenitori dell’autocefalia, che hanno dato vita alla Chiesa Ortodossa Autocefala e hanno fornito legna da ardere al patriottismo antirusso, quei preti puzzolenti d’incenso e di cera, che hanno a cuore d’impossessarsi in esclusiva dei beni materiali della Chiesa, strappandoli ad altri preti altrettanto rapaci che, in nulla dissimili da loro, sublimano la loro libido nella ricerca smisurata del potere, ammantati di una liturgia fastosa, quanto ricca di rituali e orpelli, ammantata di canti che dovrebbero essere di lode a Dio, ma esaltano solo il loro bisogno di potere e di ricchezza. Da loro una puzza di incenso e di candele si sparge fino ad avvolgere i cadaveri di donne, vecchi e bambini, di giovani soldati, che loro accompagneranno in una bara, celebrando il loro sacrificio in nome del Dio degli eserciti.
Quando prese il potere Vladimir Putin, svuotato di ogni convinzione ideologica, si aggrappò alla Chiesa Ortodossa Russa per ottenere la legittimazione del suo potere e il Patriarca di allora, Alessio II, ne scrisse il programma politico di sostanziale restaurazione della Grande Russia. Lo Stato russo aveva rispolverato il rapporto armonico che in uno Stato a maggioranza ortodossa regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e ne aveva fatto il fondamento della Russia rinata, del nuovo impero. Non è un caso, dunque, che l’appoggio maggiore alla sua aggressione all’Ucraina sia venuto
dall’attuale Patriarca Kirill che ha imputato a lesbiche e gay la responsabilità del disordine morale nel quale l’Ucraina sarebbe caduta, legandosi all’occidente!
È singolare che altrettanta riprovazione per gli stessi soggetti è stata espressa dalle confessioni religiose ucraine e soprattutto da quella Chiesa Ortodossa Autocefala che si proclama filo occidentale ed europeista, ma è reazionaria quanto quella moscovita: tutte queste confessioni hanno condannato l’uguaglianza di genere e i tentativi di introdurre un mutamento dei costumi nel paese, dimostrando di non essere migliori del loro nemico giurato: il Patriarca Kirill di Mosca.
Nasce il patriottismo ucraino
Certamente il despota russo ha condito la sua azione anche con motivazioni strategiche che non mancano di realismo: la guerra in Ucraina c’era già: sono otto anni che nel Donbass si combatte una guerra di trincea, che i sostenitori dell’ancoraggio dell’Ucraina all’occidente e alla NATO, unitamente agli emissari dei paesi occidentali, cercano di creare le condizioni migliori per lo scontro. Perciò ha denunciato l’invio di consiglieri militari, il tentativo di ufficializzare una adesione alla NATO fatta credere possibile e indolore agli ucraini per il fatto che era noto a tutti che la NATO era in modo ufficioso già operativa nel paese.
Una mano l’ha data il Governo ucraino, imponendo l’ucraino a discapito del russo, alimentando le pretese della Chiesa Ortodossa Autocefala a discapito di quella affiliata al Patriarcato di Mosca, accentuando l’azione militare repressiva verso la popolazione del Donbass, fascistizzando le forze armate, riconoscendo sempre più autonomia alle
formazioni paramilitari, fino ad istituzionalizzarle.
Ebbene ora che c’è, Puntim, vuole non solo in Donbass, ma tutta la costa fino a Odessa ed oltre, vuole recuperare la Transnistria, tagliando l’accesso al mare dell’Ucraina. E per ottenere questo obiettivo, scatena una guerra criminale, un genocidio, che colpendo principalmente la popolazione, fa delle tante nazionalità che compongono il paese una sola cosa: la patria ucraina da difendere, facendo si che nelle comuni sofferenze e nel comune dolore si costruisca una solidarietà tra le diverse nazionalità del paese che si trasforma in amor di patria.
Questo capolavoro di manipolazione della coscienza collettiva delle nazionalità ucraine non sarà mai perdonato a Putin dai russi che vedono in quello ucraino un popolo fratello, anche se con la guerra riuscirà a strappare allo Stato ucraino porzioni più o meno ampie di territorio. Ormai, comunque vada, Putin ha rotto i legami tra Russia e Ucraina.