Venti di guerra in Europa

La crisi interna dell’Amministrazione Biden che vede i suoi progetti di interventi economici bloccati dai Repubblicani si scarica sulla politica estera e crea la crisi Ucraina. In tal modo ottiene con un colpo solo più risultati: mette in difficoltà l’Europa sugli approvvigionamenti energetici, rallentando la ripresa dell’economia dell’Ue che
rappresenta un concorrente forte e competitivo sui mercati; cerca di risollevare le sorti della potenza militare USA dopo lo smacco in Afganistan, utilizzando la sgangherata, ma pur sempre utile Alleanza Atlantica (NATO) in funzione anti russa, sfruttando i risentimenti dei paesi dell’Est del continente: chiama a raccolta il patriottismo yankee e intanto continua a fare gli sporchi affari di famiglia (Biden) in Ucraina, che risalgono a ben prima dell’elezione alla Presidenza dell’attuale inquilino.
Quanto sta avvenendo viene presentato dalla propaganda occidentale e da un codazzo di pennivendoli idioti e ignoranti come un’aggressione del malvagio Putin all’Occidente: Putin è tutt’altro che uno stinco di santo, ma è il caso di cercare di vederci chiaro.

L’Ucraina

Oggi l’Ucraina comprende alcune entità territoriali diverse: la Bucovina settentrionale (di etnia e lingua rumena abitato anche da popolazioni russofone), la parte orientale della Galizia, con Leopoli, che entrò a far parte della Repubblica Ucraina nel 1941, e la Rutenia orientale, abitata da popolazioni di lingua e tradizioni polacche che in realtà si
estendeva fino a comprendere anche i territori compresi tra i bacini dei fiumi Bug orientale e a quello del fiume Dnestr, sia alle foreste a nord-est, e che era abitata da popolazioni slavo orientali; venne annessa all’Ucraina dopo la Seconda guerra mondiale. Fa parte, inoltre, dell’attuale Ucraina la fascia costiera di territorio prospiciente il Mar Nero che parte dal Donbass e arriva fino a Odessa, compresa la Crimea, che era ed è abitata da popolazioni russofone e tatare. [1]
Nel giugno del 1954 la Crimea, territorio tradizionalmente russo, in seguito a una decisione del Soviet Supremo dell’URSS, per volere di Chruščёv, allora Primo segretario del Partito, venne trasferita all’Ucraina, nell’ambito della politica di riorganizzazione e decentramento dello Stato e di bilanciamento delle nazionalità: occorreva riequilibrare il rapporto la tra popolazione russofona e le altre per dare stabilità alla Repubblica.
Con la dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina acquista la propria indipendenza, ma lo Stato è debole e fragile e, come tutti gli Stati a maggioranza ortodossa, privo del cemento “ideologico”, costituito dal comunismo che sosteneva (magari con la forza) la coesione dei diversi popoli; deve cercare ora legittimazione nell’autocefalia della propria Chiesa con la quale lo Stato ha bisogno di costruire una relazione sinfonica che consenta il reciproco riconoscimento delle sfere di competenza, in modo che una istituzione sostenga l’altra. Ma, mentre questa strada è relativamente agevole da percorrere
per alcuni Stati che hanno già una Chiesa nazionale. per l’Ucraina questo obiettivo è molto difficile da perseguire: nel paese coesistono da tempo più Chiese, la maggiore delle quali è legata a Mosca, attraverso il Patriarcato Russo.

La lotta per una Chiesa ortodossa nazionale

Si accentua così lo scontro tra tre entità, mentre una quarta componente sta a guardare: si contendono il primato la Chiesa Ortodossa Ucraina – Patriarcato di Kiev (UPT-KP), una Chiesa nata da una scissione dalla Chiesa Ortodossa Russa nel gennaio 1992 per iniziativa del Metropolita Filaret, che chiedeva l’autocefalia (indipendenza) dal Patriarcato di Mosca; la Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina (UAOC), una Chiesa presente all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Canada, il cui Patriarca, il Metropolita Mstyslav, era un noto reazionario, al servizio degli occupanti tedeschi durante la guerra; la Chiesa Ortodossa Ucraina, UPC (MP), legata a Mosca, con a capo “il Metropolita di Kiev e dell’Ucraina”, il 28 ottobre 1990 era divenuta – proprio per venire incontro alla richiesta di autonomia – una Chiesa “auto amministrata”.
Faceva da “spettatrice” la Chiesa Greco Cattolica Ucraina, (UGCC), dipendente da Roma, fortemente radicata nei territori ex polacchi, nella Galizia e nell’Ucraina ad occidente di Kiev.
Nel 1999 il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Ucraina, Patriarcato di Kiev. assume la decisione, su proposta di Filaret di costituire un Dipartimento di Educazione Spirituale e Patriottica della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Kiev per le Forze Armate dell’Ucraina, che organizzerà la politica di questa Chiesa nel settore. Non è un caso che la decisione venga assunta dopo un viaggio di Filaret negli Stati Uniti per promuovere il ricongiungimento delle strutture della sua Chiesa in quel paese, in un rapporto organico con la Chiesa madre. I cappellani militari di questa Chiesa entrano a far parte dell’organismo di coordinamento e dialogo dei cappellani militari, con sede a Washington, organismo nel quale ricopriranno incarichi direttivi. Per rafforzare il loro ruolo politico verrà emanato il “Codice del cappellanato” accompagnato da “,”Linee guida in materia di miglioramento della cooperazione militare-religioso tra confessioni
religiose e Forze Armate.

Gli USA in Ucraina la “rivoluzione Arancione”

Fin dal 1994 gli Stati Uniti si sono dotati di uno strumento per le operazioni in Ucraina, con l’intento di spostare il paese nell’orbita occidentale, venendo meno all’impegno preso con il Trattato segreto degli Urali tra Koll e Gorbaciov – con avallo USA – con il quale l’occidente si impegnava a lasciare lungo i confini russi una cintura di Stati neutrali (Trattato rimasto segreto e del quale la NATO nega l’esistenza).
Viene istituito l’International Republican Institute (IRI), il quale non pretende nemmeno di essere un’Organizzazione Non Governativa. La quasi totalità dei fondi dell’Istituto (stimati in $ 50–100 mln) proviene dal Dipartimento di Stato USA per mezzo dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ed il National Endowment for Democracy (NED). L’IRI pur avendo la sua sede principale a Kiev operava anche fuori dalla capitale, nelle regioni le cui comunità non sarebbero altrimenti state raggiunte dal messaggio dell’Occidente, come quelle orientali.
Il personale dell’IRI comprende i background religiosi e geografici più diversi, rappresentando ben 10 regioni dell’Ucraina: da Leopoli all’ovest a Luhansk all’est. Fino al 2015, aveva propri uffici a Odessa e Simferopoli. In occasione del decimo anniversario dell’apertura della prima sede dell’IRI in Ucraina, il Patriarca Filaret ha impartito una speciale benedizione all’Istituto, a riprova dei legami tra la sua Chiesa e gli ambienti della diaspora ucraina negli Stati Uniti e in Canada, dove il Patriarca si è recato più volte per raccogliere finanziamenti.
Nel 2005 Juščenko, divenuto Presidente, promuove e alimenta la divisione tra i territori occidentali, da lui controllati politicamente, e la parte orientale del paese, i cui interessi erano rappresentati dagli oligarchi che si erano impossessati della struttura industriale, concentrata nelle aree del Donbass e la cui produzione aveva come mercato la Russia. Per realizzare il suo disegno politico Juščenko dovette necessariamente sostenere l’espansione della Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina (UAOC) e della Chiesa Ortodossa Ucraina – Patriarcato di Kiev (UPT-KP), schierate su posizioni decisamente antirusse e coltivare buone relazioni con la Chiesa Greco Cattolica Ucraina, (UGCC), fortemente radicata nei territori ex polacchi, nella Galizia e nell’Ucraina ad occidente di Kiev.
Va detto, inoltre, per una migliore comprensione delle cause della crisi ucraina fornire alcune per quanto sommarie informazioni sulla sua composizione di classe. Bisogna tener presente che nell’URSS le politiche economicosociali di sostegno all’occupazione avevano dato vita a una classe media detentrice di un reddito medio basso, che
soffriva nella nuova nazione Ucraina di crescente incertezza, derivata dalla  liberalizzazione del mercato del lavoro. Questi strati della società finirono per essere rappresentati da una minoranza rumorosa, costituita da neonazisti e suprematisti
slavi, sostenitori dell’idea che l’antica Ucraina sia “la culla degli Ariani”. Perciò costoro hanno dato vita a formazioni paramilitari di sostegno alla collocazione occidentale del paese e ben alimenta dagli USA, scesero in piazza per promuovere, insieme ai servizi segreti ucraini, la cosiddetta “rivoluzione Arancione.”
Il quinquennio che segue è caratterizzato da un qualche risveglio di partecipazione popolare, testimoniato da un maggior coinvolgimento dei giobani nella vita politica, che induce a prestare attenzione alle problematiche connesse all’esercizio delle libertà civili e ai bisogni etici e spirituali dei cittadini, mentre le confessioni, più concretamente, rivolgono le loro attenzioni all’esercito, il cui controllo si è dimostrato essenziale per governare la recente crisi. Da parte sua il nuovo Presidente, per rafforzare la sua base sociale, lega fortemente il problema religioso a quello delle nazionalità, promuovendo quelle confessioni religiose che si dichiarano a favore di un’Ucraina su posizioni filoccidentali, fortemente sostenuto dagli abitanti delle regioni occidentali e centrali del paese, su posizioni antirusse. Intanto la gestione del potere da parte di Juščenko coinvolge gradualmente il paese in uno scontro politico con il partito guidato dall’ex Primo Ministro Julia Tymošenko e con Janukovyč, un politico legato alle regioni dell’Est del paese che ha annunciato la sua intenzione di concorrere alle elezioni presidenziali del 2010.

Il patriarcato di Mosca e la crisi Ucraina

Nel 2008, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, che condente il primato sulle Chiese Ortodosse al Patriarca di Mosca, si reca a Kiev per la prima volta in 300 anni. A lui si chiede di dichiarare decaduta la decisione del 1686 con cui l’allora Patriarca Ecumenico Dionisio IV poneva la Metropolia di Kiev sotto la giurisdizione di Mosca, con un Atto
Patriarcale e Sinodale. Juščenko utilizza la sua presenza a Kiev di Bartolomeo per concordare con lui una “road map” per la concessione dell’autocefalia. [3] Alessio II, Patriarca di Mosca, si reca urgentemente a Kiev e ottiene un incontro non programmato con Bartolomeo, a seguito del quale il Patriarca Ecumenico rinvia la questione, in cambio della promessa partecipazione della Chiesa Ortodossa Russa a un Concilio convocato da Bartolomeo che avrebbe affrontato il problema della concessione dell’autocefalia. L’iniziativa è sostenta fortemente dagli Usa, che tengono in piedi il Patriarcato Ecumenico economicamente che rivendica la giurisdizione su tutti gli ortodossi della diaspora (sparsi nel mondo) e viene alimentato dalle rimesse economiche dagli ortodossi ad esso legati, residenti in USA, Canada e Australia. Questo organismo religioso (!), che non ha territorio e ha sede in Turchia, in locali in affitto concessi dal Governo turco, vive in realtà concedendo l’Autocefalia dietro compenso alle diverse Chiese nazionali e giocherà un ruolo essenziale sia nella
crisi Ucraina che nella strategia geopolitica USA.[2]
Nel 2010, eletto alla Presidenza della Repubblica Ucraina Janukovyč, in un primo momento, rallebnta il processo nell’Unione Europea, avrebbe profondamente mutato la collocazione strategica del paese e portato i confini dell’U. E. a ridosso di quelli con la Russia, facendo venir meno la funzione dell’Uvraina di Stato-cuscinetto.
Questa scelta è causa della politica dei due forni dei governi dell’Ucraina che, da un lato perseguivano il rafforzamento dei rapporti con l’Europa e la sua integrazione nel mercato economico europeo, dall’altro non intendevano recidere i rapporti con la Russia, che garantiva all’industria del paese energia e materie prime a basso costo. D’altra parte, è nota la cronica incapacità degli imprenditori ucraini di gestire le industrie facendo aggio sul basso costo delle materie prime, piuttosto che intervenire sugli altri costi di produzione. Come, ad esempio, il costo del lavoro, (tuttavia basso, ma a causa del cambio della Grivnia ucraina), dovendo mantenere la piena occupazione per ragioni politiche; da qui l’impossibilità di ridurre la dipendenza del paese da approvvigionamenti innaturalmente sotto costo, come quelli provenienti dalla Russia. In effetti l’accumulazione capitalistica in Ucraina si è fondata prevalentemente sulla trasformazione delle materie prime russe – spesso quasi gratuite – in prodotti finiti, da rivendere sul mercato mondiale.
Questo modello è divenuto con gli anni insostenibile per diverse ragioni; la principale è di politica economica e risiede nella deindustrializzazione dell’Ucraina, come effetto della crisi nella ristrutturazione del mercato internazionale del lavoro che si è accompagnata alla finanziarizzazione dell’economia, negli anni precedenti alla crisi mondiale del 2008 e alla dipendenza dal commercio estero. Ciò sfocia nella protesta conosciuta come Euromaidan che nasce per bloccare l’adesione del paese alla NATO, a causa della richiesta di rifiutare la firma di un accordo di associazione dell’Ucraina
all’Europa e dall’accettazione da parte del Governo di un prestito russo (acquisto di titoli di Stato per circa 15 miliardi di dollari), concesso dal Presidente Putin, che avrebbe legato il Paese alla Russia, rifiutando invece l’aiuto della Banca Mondiale e della finanza occidentale.
Il paese, messo di fronte a queste scelte, vede precipitare la situazione politica e, nel novembre 2013, una serie di manifestazioni e proteste popolari, all’inizio pacifiche, contro il Presidente Janukovyč, sfociano nell’occupazione di Piazza Maidan, nell’intervento di cecchini delle diverse formazioni paramilitari e della polizia con più di 100 morti. A livello sociale l’insofferenza della popolazione viene alimentata dall’arricchimento dei figli e dei parenti prossimi di Janukovyč, divenuti miliardari a spese dell’economia del Paese. A ciò si aggiunga lo smantellamento di alcuni settori
industriali trasferiti in Russia e la vendita di vasti terreni agricoli alla Cina, coltivati da manodopera cinese immigrata, a discapito di quella locale, che aveva creato ampie sacche di disoccupazione e malcontento nelle aree rurali dell’Ucraina.
Le proteste sono particolarmente decise e radicali a Leopoli e nelle province occidentali e centrali. Il Presidente cerca un compromesso con l’opposizione, ma l’accordo viene bocciato; i manifestanti chiedono elezioni anticipate e le dimissioni immediate di Janukovyč. Le Chiese si schierano e, in particolare, Filaret riceve e benedice i capi della protesta. Le confessioni religiose entrano pesantemente nello scontro politico e il Parlamento approva la mozione di impeachment per il presidente il 22 febbraio 2014. Il Presidente è costretto alla fuga.
Vladimir Putin interviene in Crimea e annette unilateralmente la penisola alla Federazione Russa, dopo averla occupata militarmente, sostenendo che la decisione di Chruščёv del 1954 aveva violato la Costituzione sovietica, cedendo una parte del territorio del Paese e compromettendo l’”inalienabile” unità del territorio della nazione russa. Il referendum indetto ha visto il 97% degli abitanti della Crimea [russi (72%), ucraini (12,2%), tatari di Crimea (9,9%), tatari (7,7%)] votare per l’adesione alla Russia. La campagna presidenziale che porterà Porošenko ad allearsi con quelle forze che avevano sostenuto Juščenko e a vincere le elezioni alla Presidenza nel giugno del 2014, facendo aggio sullo stesso blocco sociale e su formazioni di destra sempre più forti. Il 6 aprile 2014 esplode la crisi del Donbass: il 27 giugno 2014 il Presidente dell’Ucraina attua una scelta di campo in politica estera e firma l’accordo di associazione tra U.E. e Ucraina, ribadendo inoltre l’intenzione di Kiev di entrare nella NATO.

Alla ricerca dell’autocefalia

A questo punto l’autocefalia concessa a una Chiesa è una necessità assoluta dello Stato che merita ogni sforzo diplomatico e tutti gli attori politici fanno le loro mosse. Dal 20 al 26 giugno 2016 si svolge a Creta, il Concilio pan ortodosso, al quale non partecipano i rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa e, dopo la fine del Concilio,
Bartolomeo accoglie l’appello del Parlamento ucraino e istituisce una Commissione per esaminarne la richiesta di autocefalia. Non ha fretta e pone precise condizioni: le autorità ucraine avrebbero dovuto ripristinare la stauropegia (ambasciata) del Patriarcato Ecumenico a Kiev, che esisteva fino al 1686; chiede al governo ucraino di persuadere il Presidente turco Erdogan a restaurare il seminario ortodosso sull’isola di Halki, vicino a Istanbul; fornire supporto internazionale per l’indipendenza della Chiesa. Inoltre, Bartolomeo chiede che vengano di nuovo ordinati tutti i sacerdoti della UPC-KP e UAOC, della futura Chiesa indipendente.
Porošenko annuncia che l’indipendenza della Chiesa ucraina è una questione di sicurezza nazionale e una componente dell’indipendenza dello Stato, e questo, malgrado che la Costituzione Ucraina affermi che la Chiesa è separata dallo Stato, e quindi che esso non dovrebbe intervenire negli affari ecclesiastici. Invece tutto il 2017 ha visto la diplomazia dello Stato ucraino impegnata nei negoziati per lo sviluppo di una “road map” verso la fornitura del Tomos di emancipazione che il 17 aprile 2018. il Presidente Petro Porošenko, chiede pubblicamente e in forma solenne al Patriarca
Ecumenico di riconoscere che l’Ucraina ha diritto di avere una propria Chiesa ortodossa indipendente, così come avviene per la stragrande maggioranza dei paesi i cui cittadini sono ortodossi. Da parte sua il sinodo della Chiesa Ortodossa Russa, dichiara interrotta la comunione ecumenica con il Patriarcato di Costantinopoli. Da ora in poi non solo il
Patriarcato di Costantinopoli non verrà citato nel dittico recitato nelle Chiese afferenti al Patriarcato di Mosca e in quelle ad esso legate, ma è interdetto ai fedeli ricevere i sacramenti e mantenere qualsiasi rapporto con le Chiese afferenti al Patriarcato di Costantinopoli.
Il 3 novembre 2018 e il Presidente Porošenko e il Patriarca Bartolomeo firmano un accordo “Sulla cooperazione e l’interazione tra l’Ucraina e il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli” e 15 dicembre 2018 si celebrava il cosiddetto “Sinodo dell’Unità” per costituire un’unica Chiesa Ortodossa dell’Ucraina, autoproclamatasi “unica storica, erede canonica e legale, successore delle attività delle precedenti Chiese.”
Il Patriarcato di Costantinopoli, il 6 gennaio 2019, concede il Tomos dell’autocefalia alla nuova Chiesa e il 30 gennaio 2019, la nuova Chiesa viene registrata come “Organizzazione religiosa”, assumendo la denominazione di: Metropolia di Kiev della Chiesa Ortodossa dell’Ucraina. Il suo organo di governo è il Metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina, Epifanio (Dumenko Serhiy Petrovich), intronizzato nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev il 3 febbraio 2019. Il 20 maggio 2019 viene eletto nuovo Presidente della Repubblica Volodymyr Zelens’kyj.

I maneggi di Biden

I maneggi di Biden e famiglia cominciano ben prima delle elezioni USA, prova ne sia che Trump usa la diplomazia e i servizi segreti per indagare soprattutto sugli affari del figlio di Biden in Ucraina, senza venirne a capo.
Probabilmente perché cerca nel posto sbagliato, visto che già nel settembre 2018 Filaret, in visita pastorale nelle diocesi del Nord America, ha avuto incontri al Dipartimento di Stato, anche con esponenti del Partito Democratico sulla presenza
e l’attività USA in Ucraina. Inoltre, il Segretario di Stato Pompeo, ha dichiarato: “Gli Stati Uniti ribadiscono che sostengono la libertà religiosa e la libertà dei membri delle comunità religiose, inclusa la comunità ortodossa ucraina, di gestire la loro religiosità secondo le loro convinzioni e senza interferenze esterne (…) Esortiamo attivamente i
rappresentanti della Chiesa e del Governo a promuovere questi valori in relazione al movimento per creare una Chiesa Ortodossa Ucraina indipendente” e a sostegno dell’operazione ha accettato l’accreditamento presso la stauropegia (Ambasciata) degli Stati Uniti di un uomo di sua assoluta fiducia fell’attuale Patriarca, Elpidophoros (Lambranidis), esperto di questioni ucraine, con l’incarico di garantire al Patriarcato Ecumenico il sostegno finanziario USA in cambio dei servizi resi . Di lui si parla come del probabile successore di Bartolomeo. Il fatto vero è che la politica USA verso l’Ucraina è funzionale alle linee di fondo della politica strategica del Paese che ha come obiettivo quello di portare l’armamento nucleare alle frontiere della Russia, cosa che Putin non può accettare.

L’Ucraina e l’Occidente

Tutto questo avviene mentre Ucraina va incontro a una catastrofe demografica. Dall’indipendenza (1991) ad oggi la popolazione ucraina è diminuita del 23%, passando da 52 a 40 milioni, per effetto combinato della denatalità e dell’emigrazione. In questi anni il “beneficio” che l’Ucraina ha avuto dei rapporti con l’Occidente è stato l’emigrazione, soprattutto stagionale, verso i paesi vicini, soprattutto la Germania, che l’ha dotata di valuta pregiata, allentando le tensioni sociali; non è un caso che il Bundestag ha approvato nel 2020 una legge che consente di utilizzare circa 300.000
stagionali per il raccolto e che è stata estesa all’Ucraina, in considerazione delle crescenti difficoltà a reperire manodopera straniera. La paga oraria prevista è di circa 9 €, un trattamento decisamente vantaggioso in rapporto al costo della vita in Ucraina. ma conveniente per i datori di lavoro tedeschi.
È evidente, dunque, che la concessione della cittadinanza e, ancor di più, la liberalizzazione dei visti siano solo mezzi per attrarre manodopera a basso costo, poiché la necessità di diminuire il costo del lavoro nei paesi ricchi dell’UE richiede, per essere soddisfatta, un flusso costante di rifugiati ed immigrati non coperti dal Welfare State ordinario, meglio se stagionali; intanto il paese, impoverito nelle sue risorse umane, vede precipitare verso la crisi il proprio sistema pensionistico e la propria economia. In questo contesto la guerra, finanziata dall’occidente, prodigo di aiuto economico e di armi, è decisamente un buon affare.

Le popolazioni del Donbass

Alle popolazioni del Donbass va tutta la nostra solidarietà di comunisti anarchici. A loro ci lega un profondo legame affettivo e un debito di riconoscenza. Non possiamo e non vogliamo dimenticare che in quel territorio avvenne l’insurrezione partigiana della maknovicina che mobilitò le popolazioni che, armate, si opposero e sconfissero le truppe bianche di Simon Peltjura, Nikolaj Nikolaevič Judenič, Anton Ivanovič Denikin, Pyotr Nikolayevich Wrangel, finanziati dall’Intesa, per schiacciare la Rivoluzione Russa. In quell’occasione furono i comunisti anarchici a guidare le operazioni militari e difendere la Rivoluzione. Successivamente l’esercito bolscevico, guidato da Trotsky, li sconfisse con l’inganno, ponendo fine a un’esperienza rivoluzionaria di popolo. Da questi territori provengono molti militanti della lotta di classe che prima conobbero le persecuzioni dei proprietari terrieri, poi l’emigrazione, e infine le persecuzioni bolsceviche e ora i loro figli e nipoti devono affrontare le formazioni fasciste.
Sono schierati contro gli insorti i Battaglioni di Difesa Territoriale (BDT), dipendenti dal Ministero della Difesa (come l’Aydar, il Krivbass, il Kiyvska Rus, il Dnepropetrovsk per un totale di circa 10000 uomini; i Battaglioni Speciali di Perlustrazione (BSP), dipendenti dal Ministero degli Interni (come l’Azov, il Donetsk o il Dnipro-1) costituiti da volontari; i Battaglioni Speciali confluiti nella Guardia Nazionale (BGN), dipendenti dal Ministero degli Interni (come il Donbass). Delle circa 33.000 unità che compongono la Guardia Nazionale, almeno 7.000 sono volontari, provenienti dai movimenti di protesta di piazza Maidan e membri di partiti di estrema destra già addestrati e pronti all’impiego sul
campo. Costoro continuano a reclutare adepti per raggiungere le 60.000 unità; vi sono poi i gruppi paramilitari, non inquadrati ufficialmente all’interno dell’apparato militare e di sicurezza statale. Tra questi il Pravyi Sektor, braccio armato dell’omonima formazione politica e altri gruppi nazionalisti come lo Svoboda Party o il Patrioty Ukrainy, tutti finanziati da oligarchi locali, di cui proteggono gli interessi privati: degli autentici criminali.
Siamo quindi di fronte a una guerra civile, ma anche ad uno scontro tra superpotenze. La storia si ripete in un diverso contesto, e questo perché la configurazione fisica dei territori conserva le sue caratteristiche e quella del Donbass è una delle direttrici principali per invadere con truppe di terra la Russia o comunque tenerla strategicamente in scacco. Questi i fatti.

[1] Su queste vicende vedi: Milan Kundera, Un occidente sequestrato: ovvero la tragedia dell’Europa centrale, in “Nuovi Argomenti”, n. 9 (gennaio-marzo 1984).           [2] Sulla politica delle diverse confessioni religiose nella crisi ucraina: Giovanni Cimbalo, L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia, “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252 – 304.
[3] Vedi: Giovanni Cimbalo, Autocefalia vo’ cercando ch’è si cara, [Riv. Tel] Stato Chiese e pluralismo,(https://www.statoechiese.it), fascicolo n. 19 del 2020, pp. 24-61.

Giovanni Cimbalo