La tempesta nel bicchiere d’acqua

Da mesi e mesi gli elettori sono stati bombardati dall’imminente elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Via via che la scadenza si avvicinava il
clima si faceva parossistico; se l’uomo della provvidenza dovesse salire al Quirinale, cose ne sarebbe stato del Governo dei “migliori”? Avrebbe l’onnisciente garantito i timorosi mercati internazionali circa il PNRR ed i debiti contratti con l’Europa altrettanto efficacemente dal Colle come può fare da Palazzo Chigi? Chi lo poteva sostituire altrettanto efficacemente o, nella prospettiva più inquietante, operare sotto la sua ala protettrice?
Come avrebbe detto Shakespeare “Molto strepito per nulla”! Otto votazioni, una settimana convulsa, fiumi di parole, repentine salite agli onori della cronaca, cadute rovinose, nomi al vento, accordi e congiure, millantati crediti, convulse riunioni notturne; tutto per tornare al punto di partenza. Nulla di fatto! Ma come ne escono i protagonisti e soprattutto le forze politiche che essi guidano o pensano di guidare?

Il kingmaker

Salvini è stato in questa settimana onnipresente, onniparlante: ha inondato i mass media di dichiarazioni, di promesse, di assicurazioni, di decisioni, come quelle di Snoopy, tutte sbagliate. Si è gettato nell’impresa con la prosopopea di chi poteva dare e disfare, dimenticando che era stretto politicamente fra due schemi: quello elettorale (la
coalizione di centrodestra) cui si è attaccato e quello governativo che esigeva la  considerazione di altri partner; mentre lui continuava a pensare, a proporre candidati di estrazione culturale reazionaria, gran parte del suo partito pensava al proprio insediamento nell’esecutivo e nelle amministrazioni locali, ne è risultato un personaggio papetico, cui non serve un mojito per perdere la bussola. Anche l’ansia di arrivare primo a dare il nome candidabile ha contribuito a bruciare le sue proposte; e il riferimento non è a quella Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato per puro caso e per
scambio di cariche, che si è autoproposta solo in funzione della propria autostima, evidentemente mal riposta. Il “capitano” si è vantato di aver fatto decine di proposte, di aver partecipato a decine di vertici, di aver fatto innumeri incontri e consultazioni, senza rendersi conto che proprio questo suo procedere a tentoni, senza una strategia chiara in testa è quello che lo ha perduto. Nella Lega si faranno i conti della sua gestione fallimentare della vicenda (che per altro non è la prima), che ne ha reso evidente l’inconsistenza politica: la sua degradazione non è più così lontana.

La pattuglia dei sopravvissuti

I reduci dei fasti arcoriani (quelli dei festini sono armai archiviati dalle cronache) sono rimasti orfani del grande capo, vecchio e malato; la sua tardiva rinuncia al progetto irrealizzabile di scalare il Colle li ha lasciati attoniti e smarriti e per un po’ si sono accodati allo spaccone leghista. Poi hanno capito che se per loro un futuro era ancora possibile, lo era solo fuori dal recinto di centro destra e si sono smarcati nel finale della commedia. Quello che si prefigura è la creazione di un’area centrista, liberal conservatrice, in cui convergeranno i cosiddetti “cespugli” (UDC, Azione, Coraggio Italia, etc.) e i naufraghi di Italia Viva. Il loro peso elettorale non arriverà al 10%, ma permetterà ad alcuni di galleggiare per la prossima legislatura.

Il movimento oscillatorio

Uno dei grandi sconfitti di questi giorni è il Movimento 5 Stelle. Le sue innumerevoli anime si sono agitate in direzioni diverse e la linea non è mai risultata comprensibile; d’altronde non poteva essere che così per un “partito” cresciuto troppo in fretta, senza una classe dirigente e sull’equivoco volutamente mai risolto tra destra e sinistra. Nessuno dei suoi leader ne è uscito bene, neppure quel Conte che non aveva sfigurato come Presidente del Consiglio, e che si è rivelato incapace di gestire il magma del gruppo parlamentare; per di più il suo alternare vetrici con il centrosinistra (parola quanto mai inappropriata) e con la Lega, seguire indicazioni prese con quelli che dice essere i suoi alleati e contemporaneamente aprire mediazioni con il fronte opposto, lo hanno mostrato infido ed inaffidabile. L’asse Di Maio-Grillo ha, peraltro, mostrato più di una crepa e il pericolo di un’implosione diviene più concreto. Il peggio deve ancora
venire e Di Battista è in agguato.

La volpe

La vera vincitrice della partita è Giorgia Meloni. La piccola pifferaia romana ha fatto ballare l’orso milanese fino al suo sfinimento; ora che quest’ultimo si lecca le ferite che si è autoinflitto lei può ben dirsi di aver raggiunto i suoi scopi.
Non le elezioni anticipate, cui certo aspira per capitalizzare i vantaggi acquisiti in questi tre anni di opposizione, ma che non poteva ragionevolmente pensare di ottenere in questo frangente. Ha gettato la Lega nelle braccia della Grosse Koalition, svelando anche la pochezza del suo attuale leader, e spera in tal modo di lucrare ulteriormente sulle sue emorragie elettorali. Sfugge, però, alla machiavellica esponente della destra europea, che può arrivare al governo del paese solo se risultasse a capo del partito più votato del cartello costruito con Lega e Forza Italia; ma questo cartello è in crisi, i berlusconiani in fuoriuscita e i leghisti risucchiati nell’orbita moderata e filogovernativa; una situazione che la può veder aumentare i suffragi, ma che la condannerebbe ad essere la Le Pen Italiana e come la sua omologa francese perenne seconda e lontana dal potere.

La palude

I protagonisti in primo piano di questa sceneggiata dei grandi elettori hanno dimenticato che la grossa maggioranza di essi aveva interesse a non interrompere la legislatura, perché molti non hanno alcuna speranza di essere rieletti, complice anche la sciagurata legge di revisione costituzionale che ha ridotto di un terzo il numero dei parlamentari; i
pentastellati sono quelli che hanno sostenuto la riforma e sono anche quelli che più ne soffriranno. È così che la marea dei senza volto, della mandria da guidare, del gregge presunto perfettamente manipolabile, ha piano piano imposto la propria strategia per fare approdare tutta la vicenda al suo epilogo più semplice e scontato. Lo status quo. Non era difficile prevedere che Mattarella non poteva far altro che negare di aspirare ad una nuova elezione, ma che un coro unanime (o quasi) di richieste lo avrebbe convinto e che questo scenario, lasciando tutte le biglie nella propria collocazione, avrebbe
contentato tutti (o quasi), soprattutto gli onnipresenti mercati.

Gli spettatori

Poco da dire degli altri: escono dalla scena come vi si sono affacciati, da comparse. Sono stati sì sul palcoscenico, ma hanno solo assistito allo spettacolo; con un’altra metafora, sono scesi in campo, ma non hanno toccato palla. Non sono né vinti né vincitori, non hanno perso punti e non ne hanno acquistati. La scelta di non avanzare candidature, neppure di bandiera, seppur formalmente corretta ed in certe fasi opportuna, si è protratta oltre ogni ragionevole limite e si è trasformata in colpevole inerzia. LEU è ormai un ectoplasma del PD di cui non si capiscono più le ragioni dell’esistere ed il PD avvinghia il segretario nella morsa delle troppe correnti, condannando il partito all’acefalia.

Ma a noi?

Noi abbiamo assistito al “teatrino della politica”, consci non solo di non avere voce in capitolo, ma consapevoli anche che ove la potessimo avere, essa non ci servirebbe. Dobbiamo leggere gli avvenimenti che si verificano a livello istituzionale come specchio degli interessi profondi che agiscono nella società. Coloro che hanno sponsorizzato la salita di Draghi al Quirinale non hanno compreso il suo ruolo reale. Al di là delle aspirazioni che il taumaturgo poteva personalmente coltivare la sua funzione attuale è un’altra. Garantire la finanza internazionale per il buon (“buon” ovviamente dal suo punto di vista) utilizzo dei considerevoli fondi messi a disposizione dell’Italia; ai cosiddetti poteri forti, un tecnico di loro fiducia serve a Palazzo Chigi, dove si cucina il futuro del paese, e non sul Colle più alto, dove si moderano e smussano i conflitti. La situazione trovata è un compromesso temporaneo, ma sancisce un principio: gli affari
a chi ne capisce, gli onori a chi vi aspira.

La Redazione